Un “nuovo” capitalismo che davvero nuovo non è
La tradizionale lettera di Larry Fink agli investitori punta a premere sull’acceleratore dello stakeholder capitalism. Tutto nuovo? Non proprio. Concentrarsi su questa evoluzione è l’approccio più capitalista che ci sia. Ne abbiamo parlato con l’economista e docente universitario Luciano Canova
Un appuntamento molto atteso, con cadenza annuale, da ceo e investitori: stiamo parlando della tradizionale lettera agli azionisti di BlackRock firmata dal ceo in persona, Larry Fink. Le righe vergate da una delle personalità simbolo del capitalismo finanziario (la sua azienda gestisce qualcosa come 10mila miliardi di dollari) sono in grado di fornire spunti di riflessione fondamentali per capire in che direzione sta andando l’economia globale e soprattutto quali sono le tendenze future. E il futuro, secondo Fink, è della “sostenibilità” e della centralità riconosciuta dalle aziende a tutti gli stakeholder coinvolti nel processo produttivo e di creazione del valore. Un controsenso parlare di sostenibilità e business? Si tratta della fine del capitalismo? Non proprio. Fink lo scrive esplicitamente: “Ci concentriamo sulla sostenibilità non perché siamo ecologisti, ma perché siamo capitalisti e siamo legati da un rapporto fiduciario verso i nostri clienti.”
Ne abbiamo parlato con il noto economista e divulgatore scientifico, nonché insegnante di Economia Comportamentale presso la Scuola Enrico Mattei, Luciano Canova.
La tradizionale lettera di Larry Fink ai ceo in cui si fa appello a uno stakeholder capitalism rappresenta un esempio di cambio di passo, almeno teorico. Quanto è realmente interpretato in maniera pratica dai ceo statunitensi in primo luogo ma anche europei?
“Può sembrare paradossale, ma il cambio di passo è in parte il riconoscimento di qualche pensiero che economisti un po’ marginalizzati del passato avevano posto al centro della loro idea di sviluppo. Karl William Kapp è uno dei padri dell’economia ecologica, che considera l’interazione con ambiente e risorse naturale cruciale per un’idea di sviluppo virtuosa. E nell’idea di ambiente di Kapp le imprese sono parte integrante (e non esterno) di esso (istintivamente, si è portati a considerare il mondo industriale come intrinsecamente ostile alle risorse naturali che vengono sfruttate fino a esaurimento). Come parte del contesto economico e sociale, le imprese sono un elemento di connessione tra cittadini e ambiente e lo stakeholder capitalism mi pare che porti al centro di questa cornice tale idea con una parola chiave: responsabilità e impatto sociale positivo (di qui anche la fioritura continua delle B-corp come entità legali). Il mondo statunitense ed europeo, e l’Italia è in prima linea, stanno adattandosi rapidamente a un contesto in cui finalmente prevale una visione multidimensionale e complessa del progresso e dei rapporti tra cittadini, imprese, istituzioni: sentiremo parlare più spesso di simbiosi industriale, rigenerazione, eco-design. Ma è per l’appunto non un rifiuto del capitalismo ma il business che si fa profittevole soltanto con uno sviluppo sostenibile”.
Le imprese ottengono più risultati quando sono consapevoli del loro ruolo all’interno della società e quando agiscono nell’interesse dei loro dipendenti, clienti, comunità e azionisti. Secondo lei è vero? Esistono dati che lo dimostrano?
“Oltre a una vasta letteratura delle scienze sociali che testimonia l’associazione sempre più marcata tra produttività dei lavoratori e benessere, il mondo ESG testimonia la crescita del valore di mercato delle imprese più virtuose, quelle cioè che sono sempre più attente (e misurano con dati pubblici e condivisi) ai temi della sostenibilità a 360 gradi (i rapporti di MSCI sono molto interessanti su questo punto), i flex benefit come strumento non monetario di remunerazione, le modalità flessibili di lavoro da casa, l’attenzione marcata al COME si lavora oltre che al quanto si viene pagati. Infine, un mio pallino: il World Happiness Report ONU, che misura felicità in più di 150 paesi del mondo, da anni testimonia questa idea di prosperità multidimensionale: i paesi a più elevato capitale sociale sono quelli più felici, e non a discapito dello sviluppo economico e reddituale”.
Nessun altro rapporto è stato così cambiato dalla pandemia come quello tra i datori di lavoro e i loro dipendenti. Quindi la S è centrale. Quanto lo sono anche la E e soprattutto nel nostro caso la G di governance?
“La E è forse il pavimento su cui poggia il tema vasto della sostenibilità. Immediatamente, quando pensiamo alla parola ‘sostenibile’, la mente corre alle risorse naturali e alla crisi climatica. Giusto, dunque, che tra i 17 obiettivi SDG dell’Agenda 2030, il 13 su CLIMATE ACTION sia sempre quello più citato e che riceve le maggiori attenzioni. La chiave è nel cogliere le interconnessioni tra le dimensioni della sostenibilità: senza una G di governance attenta e visionaria, i benefici sociali di uno sviluppo tecnologico che migliora produttività e prospettive di reddito possono essere compromessi. Faccio un esempio attuale con le politiche di licenziamento di questi giorni delle hi-tech: lasciare a casa percentuali rilevanti di lavoratori via mail, per quanto possa essere legittimo (e in alcuni casi è da verificare, tanto che partono class action degli stessi dipendenti), che impatto produce sull’identificazione di chi resta con la cultura aziendale e il suo modello di business? La S di social degli indicatori ESG è sempre la più delicata anche perché gli indicatori seguono molto l’attualità e le battaglie per i diritti che evolvono con la società: Black Lives Matter ha chiaramente impresso un’accelerazione sul tema della discriminazione e, in positivo, sulle politiche di inclusione e diversità che, di nuovo, sono cruciali per un business anche profittevole. Il gender gap (SDG 5), la lotta alla povertà estrema e alla disuguaglianza (SDG 1 e SDG 10). In un contesto inflattivo dove il potere d’acquisto è messo a repentaglio dalle dinamiche di mercato, la visione integrata delle tre dimensioni è la chiave giusta per uno sviluppo di lungo periodo equilibrato e sano”.