Toni depressi alla Tavola Rotonda AIAF sul Sistema bancario italiano
Il 26 novembre scorso ho “moderato” parte del convegno Aiaf su “Banche, valore e riflessioni sul sistema”. Non c’era bisogno di moderazione, i toni erano già depressi per conto loro. Difficile in questo contesto cercare di tenere al centro della discussione le questioni di policy nella prospettiva dell’interesse pubblico.
È stata messa in luce la scarsa confrontabilità dei bilanci di banche di Paesi diversi. Sapevamo che il single rule book è esigenza assai sentita dai regolatori e la discussione ne ha offerto con chiarezza le ragioni. Conforta che la Banca d’Italia, rappresentata al convegno da Fabio Panetta, vice direttore generale, tenga la guardia alta evitando interpretazioni disinvolte.
È confermato quel che già era chiaro a tutti: il periodo in cui le banche facevano bilanci d’oro e tutto sembrava andare bene è finito e non tornerà. Sofferenze e incagli sono in aumento. Di più, buona parte degli utili 2012 delle nostre banche verranno dalle attività di trading, proprio quelle che i regolatori di tutto il mondo sono (giustamente) intenzionati ad inibire loro. Si pensi alla “Volcker Rule” negli Usa, al rapporto Vickers nel Regno Unito, a quello di Liikanen nella Ue. Tutti prevedono gradi più o meno stringenti di separazione fra attività di banca commerciale e negoziazione di titoli per conto proprio: quella appunto che oggi rimpolpa gli scheletrici utili bancari. Auguri!
Ha destato preoccupazione nei rappresentanti delle banche presenti all’incontro l’attività di shadow banking, che in un altro convegno – successivo di qualche giorno a quello dell’Aiaf e tenutosi a Roma – è stato definito come “provvista sul mercato monetario di finanziamenti fatti sul mercato dei capitali”. Se a Milano si sono levate voci per una regolamentazione dello shadow banking analoga a quella dell’attività bancaria ordinaria, i rappresentanti di Banca d’Italia al convegno romano hanno detto che già da decenni Via Nazionale lo fa.
Per guadagnare le banche dovranno fare efficienza e tagliare i costi; non potranno più contare su quel cross selling che Mc Kinsey e tutti i consulenti hanno “venduto” alle nostre banche intorno alla fine del secolo scorso. È una buona notizia, si spera finiscano così anche i furti con destrezza compiuti alle spalle di risparmiatori troppo ignoranti sì, ma il cui principale torto è stato di fidarsi di banche di cui non dovevano fidarsi. Sono troppi i casi nei quali il capitale di fiducia che le banche avevano accumulato lentamente è stato velocissimamente dilapidato.
Le poche banche globali sistemiche saranno al centro dell’attenzione, per i riflessi sul sistema legati alle loro complicate interconnessioni. Era ora che, in tema, si passasse dalle parole ai fatti. Tali istituti sono facile fonte di contagio e l’effettivo controllo dei loro rischi è quasi impossibile. Si pensi solo agli innumeri casi di trader che hanno creato ammanchi clamorosi: da Baring (Leeson) a SocGen (Kerviel) a Abodoli (Ubs), alla “Balena londinese” di JPMorgan.
La crisi induce i regolatori nazionali a voler “recintare” la liquidità delle banche all’interno dei confini. Questa “balcanizzazione” del mercato monetario, il più liquido, e quindi mobile, che esista, è un assurdo insulto al mercato unico, cui solo la realizzazione dell’unione bancaria, nelle sue varie componenti, può porre fine.
Grande e generale è la preoccupazione sulla stretta del credito, che i dati disponibili confermano. Stenta però ad affermarsi la piatta verità: se le banche sempre meno finanzieranno l’economia, dovrà essere sempre più il mercato a farlo: sottoscrivendo titoli di debito, certo, ma anche e soprattutto azioni. Serve più capitale di rischio; se davvero vogliamo sviluppo bisogna che una parte non trascurabile di ricchezza che oggi resta oziosa si metta al servizio dell’economia reale. Senza un ricorso massiccio a tale finanziamento, le imprese non cresceranno e le banche saranno afflitte da altissime incidenze di crediti dubbi.
La conciliazione delle due contrastanti esigenze, quella di finanziamento dell’economia reale, e quella di riduzione dei rischi bancari, richiederà però abilità diaboliche, solo ricorrendo alle quali possiamo sperare che, magari in un giorno non troppo lontano, possano essere le banche a finanziare l’economia, e non viceversa.