Ruoli chiave in una democrazia moderna
Il governo presieduto da Giuseppe Conte, sostenuto dal connubio 5 Stelle-Lega, mal tollera le Autorità Indipendenti (AI) e altre istituzioni che, non comprese nella Pubblica Amministrazione in senso proprio, hanno ruoli chiave in una democrazia moderna
Il governo presieduto da Giuseppe Conte, sostenuto dal connubio 5 Stelle-Lega, mal tollera le Autorità Indipendenti (AI) e altre istituzioni che, non comprese nella Pubblica Amministrazione in senso proprio, hanno ruoli chiave in una democrazia moderna.
Le principali AI sono Consob, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm), Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom); fra le altre entità essenziali nel nostro assetto istituzionale spiccano Banca d’Italia, Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (Inps) e Istat, Istituto Nazionale di Statistica.
L’efficace funzionamento di tali istituzioni richiede, in chi le guida, schiena dritta, indipendenza di giudizio ed elevate competenze tecniche, necessarie per assumere, con cognizione di causa e senza l’influenza di interessi particolari, decisioni di grande impatto. È normale che un governo cerchi di nominarvi persone di cui si fida, ma esse devono soprattutto possedere quelle doti.
AI e enti non rispondono al governo; è normale che il “manovratore” non gioisca per la loro indipendenza. È l’ovvia fisiologia di un rapporto ove i contrasti sono “strutturali”. Dalla fisiologia si passa però alla patologia se governo e maggioranza li attaccano duramente, interferiscono con il loro funzionamento o addirittura ne fan decadere i vertici. Il “governo del cambiamento”, lungi dal migliorare la prassi di quei rapporti, sempre tormentati, l’ha peggiorata.
L’Istat, già accusato dalle attuali forze di maggioranza, allora all’opposizione, di “truccare” i dati per compiacere il governo precedente, subisce poi l’accusa di farlo per nuocere al successivo. Ora che a guidarlo va una persona scelta da questo, auguriamoci che lavori bene, senza che l’attuale opposizione lo ripaghi di egual moneta, per riflesso condizionato.
La Banca d’Italia era già stata attaccata da Renzi, allora segretario del Pd; volendo impostare sulle crisi bancarie una campagna elettorale allora agli inizi, cercò di bloccare, all’ultimo minuto, il rinnovo del mandato al governatore Ignazio Visco, fin lì scontato. Meno male che il governo di Paolo Gentiloni ignorò la richiesta.
I crac bancari han messo Banca d’Italia e Consob nel mirino anche del nuovo governo. Intervenuti a Vicenza, nello scorso febbraio, ad un raduno di investitori nelle banche venete finite in liquidazione coatta amministrativa, i due vice presidenti del Consiglio dei ministri han detto che esse andavano “azzerate”: la colpa dei crac, hanno affermato, è di Banca d’Italia e Consob, che non han vigilato. Son subito passati ai fatti, stoppando la conferma del vice direttore generale, Luigi Federico Signorini, reo d’aver fornito al Parlamento dati reali sì, ma non allineati con la “narrazione” del governo. La nomina, al 15 marzo, è ancora appesa e altri due componenti del Direttorio di Via Nazionale stanno per scadere; tre membri da rinnovare sono certamente un piatto ricco: peccato che ci siano polverose procedure da rispettare!
Sulla Consob il governo s’era già portato avanti a settembre, forzando all’uscita il presidente Mario Nava, arrivato appena cinque mesi prima, distaccato dalla Ue, dove era responsabile della sorveglianza dei sistemi finanziari. Al di là dei formalismi sulla permanenza nei ruoli Ue, usati a mo’ di cortine fumogene, la sua colpa era d’esser stato nominato dal governo Gentiloni, prima dell’uscita di scena per la sconfitta elettorale del 4 marzo ’18. Dopo mesi di liti intestine, è stato designato presidente Paolo Savona, fin lì ministro per gli Affari Europei. In sintesi, è stato espulso come corpo estraneo un uomo di grande esperienza e reputazione, che Luigi Di Maio aveva elegantemente definito: “un servitore … della finanza internazionale”, sostituito da un anziano professore, sottratto ai prediletti studi di macroeconomia e che nella sua carriera non ha dato grandi prove dell’attaccamento a correttezza e trasparenza che, come presidente Consob dovrà promuovere. Pochi lo sanno, ma quello di presidente Consob è un ruolo somigliante più a un direttore generale, responsabile del quotidiano funzionamento della struttura, e richiede grandi energie e abilità organizzative.
Anche nei rapporti con l’Inps presieduto da Tito Boeri il governo Conte ha mostrato insofferenza per le voci critiche, o non disposte a cantare sullo spartito dei reggitori. Come molti altri, anche Boeri è stato rudemente ammonito: se non è d’accordo con il governo, si dimetta e si presenti alle elezioni. Altrimenti, che si acconci a obbedire al manovratore. I rapporti di Boeri non erano più idilliaci nemmeno con il governo Renzi, che pure l’aveva nominato, ma la situazione non aveva portato a scintille simili. Un Paese serio non tratta con tale sciatteria istituzionale temi così delicati.
Si vuol forse dire che le AI, e gli altri enti citati, fan sempre al meglio il loro lavoro? No, e tante critiche van mosse al loro operato, però sbaglia chi gli addebita responsabilità dirette nelle crisi bancarie. Esse son legate, oltre che alla lunghissima crisi economica, a decisioni dei dirigenti e dei Consigli d’Amministrazione; qui si mischiano errori di valutazione, con l’ostinato rifiuto di prendere atto della realtà, con rapporti malati, clientelari, di collusione e di corruzione. Si passa poi alle responsabilità di sindaci e revisori che non han visto, o voluto vedere. Solo poi entra in gioco l’omessa, o insufficiente, vigilanza; neanche in questi enti sono mancati, purtroppo, rapporti malsani e corruzione.
I vice presidenti del Consiglio a Vicenza han promesso a chi ha comprato azioni di banche andate in crisi di restituirgli il 30% dell’investimento, ma tanti investitori in azioni di banche tuttora vive e vegete han perso ben più del 70%! Spetterà anche a loro tale grazioso regalo? E i guadagni ottenuti dagli investitori su altri titoli saranno equamente spartiti con lo Stato?
L’errata percezione della realtà porta anche altre distorsioni. Le leggi vigenti proibiscono il passaggio dal mercato alle AI, eppure chi compisse tale passo non sarebbe, ipso facto, più influenzabile di un accademico (io lo feci nel ’96, spero senza disonore). Se egli avvantaggia i suoi colleghi di ieri, fa cosa altrettanto grave di un magistrato che faccia lo stesso con un amico. Altra cosa, e giusta, è prevedere un periodo in cui, finito il mandato, non si possa lavorare per i “soggetti vigilati”. Anche qui serve però realismo: se fare il commissario Consob impedisse per periodi troppo lunghi a chi proviene dal mercato di ritornarvi, accetterebbe l’incarico solo chi è ricco del suo, o ne ignora il funzionamento.
L’economia e il mercato finanziario non vivono nel vuoto. Han bisogno di un contesto in cui gli attori possano muoversi, conoscendo norme e sanzioni per chi le vìola.
Serve un assetto politico non soggetto all’arbitrio del principe: è la democrazia, una pianta che non cresce spontanea nei prati, un fiore raro, prezioso, prodotto di secoli di innesti e cure, può avanzare ma anche arretrare, o addirittura scomparire.
“Va va, povero untorello, non sarai tu quello che spianti Milano“, dice un monatto a Renzo Tramaglino nei “Promessi Sposi”.
Non sarà certo un solo governo, pur così diviso e incapace, a spiantare la democrazia, ma i danni che questa preziosa pianta subisce, certo non solo in Italia, in questo momento storico, possono essere tali da richiedere, come rimedio, decenni di cure.
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