Punti di vista

Rischio Climate change e banche: quanto lavoro c’è ancora da fare

Sei banche su dieci non sono ancora preparate adeguatamente a valutare i rischi legati ai cambiamenti climatici. E su questo i consiglieri indipendenti possono e devono svolgere un ruolo centrale, come spiega Silvia Stefini, presidente Chapter Zero Italy

Credit: GettyImages

Bene, ma non benissimo. Il mondo bancario capisce che il clima è un fattore importante di rischio anche per il business finanziario ma è lento nell’adeguarsi a quella che è ormai diventata un’emergenza. Lo racconta l’evoluzione degli ultimi mesi.

La BCE nel 2021 ha infatti avviato un monitoraggio sul sistema bancario per verificare quanto e se gli istituti europei stessero internalizzando il calcolo dei rischi legati ai cambiamenti climatici sul business finanziario. Il questionario di autovalutazione riguardava 13 aspettative in materia di gestione dei rischi climatici e ambientali a cui far seguire un piano d’azione operativo con obiettivi intermedi verificabili. Ma non solo. Dal 2022 la BCE ha incluso i rischi climatici anche negli stress test nell’ambito SREP (Supervisory Review and Evaluation Process, ovvero il processo di valutazione del rischio di ogni singola banca) stringendo sempre di più la vite su questo tema e inviando un’indicazione chiara alle banche sulla sua importanza e sulla centralità del prendere azioni concrete in merito. Presto diventeranno informazioni e provvedimenti strutturali. Da cui sarà impossibile tirarsi indietro. 

I MOTIVI DEL RITARDO

I risultati di questa prima indagine “2022 Climate Risk Stress Test” sono stati pubblicati l’8 di luglio (si possono consultare qui). Hanno riguardato 104 banche europee, di grandi dimensioni, che hanno risposto ai questionari valutando la propensione a inserire i rischi climatici nei loro modelli di rischio. “Il quadro che ne esce vede il 60% delle banche ancora non preparate adeguatamente per introdurre il clima negli stress test” spiega Silvia Stefini, presidente Chapter Zero Italy. “Emerge una grande consapevolezza generalizzata sul tema del clima. Tutti gli istituti si sono attrezzati per monitorare il problema e incorporarlo nelle procedure di rischio anche con persone dedicate a questa analisi. Ma tutto questo non basta. I modelli di rischio adottati non riescono ancora a incorporare in modo corretto e preciso il “clima” nel portafoglio”.
 
Il motivo di questo ritardo non è imputabile solo a un interesse tardivo da parte delle banche. “A differenza di assicurazioni (che misurano il rischio fisico da tempo), società energetiche e molte realtà industriali che hanno già incorporato nei loro portafogli il rischio clima in modo strutturato, per le banche è più complicato perché sui loro bilanci questo rischio è indiretto: dipende da quanto incide sulle aziende clienti” chiarisce Stefini. “La disponibilità dei dati delle controparti e la loro analisi è dunque molto più complessa”.
È per questo che ciò a cui le banche stanno maggiormente lavorando è proprio “migliorare il database di informazioni a loro disposizione per far sì che i modelli si possano basare sempre di più su dati corretti piuttosto che su stime”.
Anche perché questo porta le banche a poter valutare meglio i rischi/opportunità di ciascun business e quindi anche a come intervenire meglio per aiutare le aziende clienti ad affrontare i problemi legati alla transizione richiesta dai cambiamenti climatici. Basti pensare al settore agricolo bisognoso sicuramente di finanziamenti che servano a mettere in atto quei cambiamenti necessari a una trasformazione in ottica green o sostenibile.

NON CI SONO SCUSE

Il tema non è però nuovo. E i ritardi non facilmente biasimabili. Si parla di disclosure sul clima dagli accordi di Parigi delle Nazioni Unite del 2015. Nel 2017, inoltre, la Task Force for Climate Disclosure (TFCD) aveva emesso linee guida sul reporting dei rischi climatici per tutto il mondo produttivo a cui hanno fatto seguito, nel 2019 il primo rapporto sul clima della Network for Greening the Financial System (NGFS, A Call for Action: Il cambiamento climatico come fonte di rischio finanziario) e nel 2020, le linee guida della Bce per il mondo finanziario.
“Era evidente da tempo che il clima avrebbe giocato un ruolo centrale nell’analisi dei rischi e il fatto che oggi il 60% delle banche non sia ancora pronto, allarma sulla sottovalutazione di un problema che invece si sta mostrando quanto mai centrale” aggiunge il presidente di Chapter Zero Italy. “Il report sul Climate Risk Stress Test della BCE identifica come debolezza più diffusa tra le banche oggetto dell’analisi la governance: la mancanza di una chiara struttura di governo del rischio climatico, la scarsa importanza del clima nella definizione del Risk Appetite Framework (RAF) e la sostanziale assenza della funzione di internal audit nel validare il framework.”   

IL RUOLO DEI CONSIGLIERI INDIPENDENTI

In questo il ruolo dei consiglieri indipendenti all’interno dei cda è molto importante. Serve a portare una visione aggiuntiva a quanto sta facendo il management e a stimolare attività che sono messe in secondo piano rispetto al core business. “Proprio in base ai risultati di questi stress test, il ruolo degli indipendenti deve essere quello di stimolare sempre il management, di chiedere e ottenere dei comitati di rischio ad hoc con tabelle di marcia interne, di capire come stimolare soprattutto le banche di piccole e medie dimensioni che fanno ancora più fatica delle grandi” dice Stefini. “Ma a volte gli stessi amministratori indipendenti non sono così consapevoli o così convinti della forza dell’impatto del clima sul business e delle sue tempistiche”.

Il climate change in realtà è sempre sembrato qualcosa contro cui il singolo può fare poco, ed è facile pensare di rimandare al domani le soluzioni perché tanto “impatta nel medio periodo”.
È sbagliato. E se è pur vero che le priorità di un’azienda sono molte e in questi ultimi anni tra pandemia, crisi energetica, conflitto russo-ucraino, le crisi da affrontare sono state (e sono tutt’ora) diverse, tutti devono capire che il climate change è un’emergenza di oggi. A partire dai consiglieri indipendenti che possono e devono fare un lavoro che può fare la differenza.

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