Riduzione gender pay gap avanti piano
Nonostante i concreti passi avanti la retribuzione delle donne rimane inferiore a quella degli uomini anche per un accesso più "limitato" delle prime alle posizioni di vertice
Getty ImagesQualche luce è evidente ma le ombre continuano a essere prevalenti. Sul fronte del gender pay gap, ovvero della differenza di retribuzione percepita da uomini e donne che svolgono la stessa mansioni, l’Italia deve ancora fare molta strada per mettersi al pari con altre Nazioni avanzate. Sulla base dei dati riportati nel primo Rapporto tematico di genere “Laureate e laureati: scelte, esperienze e realizzazioni professionali”, realizzato dal Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea, “a cinque anni dalla laurea, gli uomini percepiscono, in media, circa il 20% in più” rispetto alle donne, a parità di titolo.
Il primo ostacolo che sembra ancora oggi debba essere superato riguarda la presenza di donne ai vertici delle aziende. Sono, infatti, ancora una minoranza che giustifica, solo in parte, le differenze di retribuzione. Sulla base dei dati forniti dalla seconda edizione del Rapporto sulla corporate governance in Italia firmato da FIN-GOV, il Centro di ricerche nato nel luglio del 2021 su iniziativa di un gruppo di studiosi della Facoltà di Economia dell’Università Cattolica, emerge che per quanto riguarda le aziende di grandi dimensioni appartenenti al FTSE Mib, le dirigenti sono il 23% del management. Un dato che non si discosta da quello messo in evidenza in un recente articolo del Sole 24 Ore, pubblicato a gennaio. La principale testata finanziaria del Paese, infatti, ha messo in evidenza, limitatamente alle banche italiane, che a fronte di una presenza di donne sull’organico dei dipendenti pari al a circa il 47,5%, le dirigenti sono appena il 18%.
Tornando al pay gap questo, come scrive il report di FIN-GOV “verosimilmente collegato a differenze di ruolo nell’organigramma aziendale, è apprezzabile”. Si nota, infatti, che le donne percepiscono in media l’89% della remunerazione dei colleghi maschi, percentuale che scende all’86% se si prendono in considerazione i dirigenti. Anche in questo caso si nota che a livello generale, la differenza risulta maggiore tra le società piccole (85% contro 92% tra le grandi) e nel settore non finanziario (88% contro 92% tra le finanziarie). Tra i dirigenti, invece, il pay gap è più contenuto tra le società piccole e nel settore non finanziario.
In sostanza si assiste a uno scenario in grande evoluzione nel quale il cambiamento deve ancora realmente concretizzarsi e in cui il consiglio di amministrazione può giocare un ruolo di primo piano. Ne è convinta Laura Cavatorta, associata Nedcommunity e amministratore indipendente di diverse società quotate: “Il CdA può innanzitutto alzare il livello di attenzione sul tema, chiedendo una rilevazione del contesto retributivo con il supporto del management e di un advisor specializzato, utile per l’impostazione metodologica e le necessarie analisi di correlazione. Inoltre, insieme al capoazienda, deve assumersi il commitment strategico per traguardare un sistema organizzativo, e relativi processi HR, ‘a prova’ di gender pay gap, individuando obiettivi e azioni per azzerarlo laddove esista, ma soprattutto per eliminarne le cause alla radice. L’inserimento di tali obiettivi nei sistemi di incentivazione del management, specie di lungo termine, è un’azione concreta, di discreta efficacia”.