Regolamentazione e imprese potranno fermare il climate change
L’impegno per una reale transizione energetica parte dal cda ma dovrà essere supportata anche da un’adeguata cornice normativa. Se ne parla per nuovo libro “Business Law and the Transition to a Net Zero Economy”
UnsplashLe imprese svolgono e svolgeranno sempre più un ruolo cruciale per la riduzione degli effetti negativi del climate change e la governance, in questo processo, può dare un contributo importante. Ma non basta: è necessario un impegno corale degli investitori istituzionali, dei membri dei board, in particolare degli indipendenti, del management e ovviamente di chi è chiamato a modificare il quadro normativo nella direzione di una vera e reale transizione verde.
Questo il senso del messaggio contenuto nel libro Business Law and the Transition to a Net Zero Economy, emerso nel corso del webinar di presentazione del testo, il 24 marzo scorso, coordinato da Guido Ferrarini, presidente del comitato scientifico di Nedcommunity
Uno degli autori, assieme A. Engert, W.G. Ringe, U. Varottil, T. Wetzer, è Luca Enriques, professore di diritto societario all’Università di Oxford, e membro del comitato scientifico Nedcommunity. È proprio lui a parlare della genesi del “piccolo volume” nato riunendo i contenuti di un “convegno svoltosi nel maggio del 2021”. “Stiamo parlando di un fenomeno reale, quello del climate change, che dipende anche dal comportamento dell’uomo e delle sue organizzazioni e che per essere gestito in modo da evitare conseguenze catastrofiche richiederà modifiche nei comportamenti dei singoli e delle organizzazioni stesse. Fare qualcosa, però, è molto difficile. Questo libro cerca di individuare come il cambiamento possa essere realizzato e pone l’accento sul ruolo che il diritto commerciale può giocare”.
Pericolo greenwashing
Il volume, diviso in quattro sezioni (trasparenza societaria in tema di rischi climatici, efficienza informativa ed efficienza allocativa; il ruolo degli azionisti: exit e voice; il ruolo dei cda; il ruolo della litigation), vuole indicare il corretto percorso che i singoli attori chiamati in causa possono e devono intraprendere per raggiungere un obiettivo concreto anche perché, come ha spiegato Enriques, “il pericolo del greenwashing è sempre dietro l’angolo. Per questo motivo le società devono porsi il problema di una vera transizione green senza attendere la politica pur essendo chiaro che il quadro normativo e regolamentare rimane cruciale”.
Coalizioni favorevoli
Il libro lancia quindi l’idea di “coalizioni favorevoli alla realizzazione di passi significativi nella direzione della net zero economy. Questa alleanza dovrà includere fondi ESG, investitori che adottano una visione di lungo periodo e si pongono il problema di come le singole società in cui investono saranno posizionate quanto la transizione diverrà reale ma anche i cosiddetti proprietari universali, ovvero i grandi investitori istituzionali, i quali hanno interesse che gli emittenti di Co2 riducano le loro emissioni per evitare le conseguenze negative del cambiamento climatico sui loro portafogli”. Per rendere però l’impegno verso la net zero economy credibile possono essere utili delle c.d. green pills, ossia delle strategie che si concretizzino per esempio attraverso la stipula di green covenants, impegni contrattuali a raggiungere gli obiettivi verdi.
Alice Bordini Staden, advisory panel member, Financial Reporting Council, associata Nedcommunity, ha spiegato come nel lungo percorso verso un’economia a impatto carbon zero “l’engagement abbia risultati reali rispetto al divestment. Basti pensare a quanto progresso è stato fatto dalle aziende in materia di ESG. Il numero delle aziende che adesso prendono impegni credibili di decarbonizzazione al 2050, basati su piani articolati e completi di strategia, obiettivi intermedi, e governance a supporto, è salito enormemente negli ultimi anni, ed è stato guidato dall’engagement degli azionisti. Non c’è dubbio che se ci fosse più regolamentazione si andrebbe più veloci, e ci sarebbe chiarezza normativa per le società, ma aspettando quella adesso sono gli investitori a guidare il progresso. Un altro esempio di quello che l’engagement ha prodotto nell’ultimo anno è l’iniziativa Say on Climate, sulla quale ho fatto engagement con diverse società europee, inclusa Atlantia SpA che sarà la prima azienda italiana a metterlo in agenda volontariamente alla Assemblea del 2022. Per il divestment, certamente quando il fondo pensione giapponese ha venduto 500 mld di dollari di BlackRock per insufficienza di attenzione nei confronti dei temi Esg, la più grande società di investimenti al mondo è stata costretta a cambiare rotta ma i tempi sono lunghi e di tempo non ne abbiamo più molto. In tutto ciò il ruolo della governance continua ad essere fondamentale”.
Sensibilizzare tutto il cda
Secondo Paola Schwizer, professore ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari all’Università di Parma, presidente onorario di Nedcommunity e componente dello Steering Committee di Chapter Zero Italy, ha posto l’accento proprio sul ruolo che la governance e i consiglieri indipendenti possono e devono giocare: “La nostra idea è che i ned, in particolare quando il management non agisce, debbano esercitare una leadership forte per spingere verso una transizione alla net zero economy. Attenzione però: non sono convinta che nominare degli esperti in seno al cda faccia una grande differenza. Secondo il mio parere e la mia esperienza è più utile sensibilizzare tutti gli amministratori, esecutivi e non, verso il problema. Questo libro si concentra su modelli ed esperienze raccolte in UK, Australia, Stati Uniti e Singapore ma questo non vuol dire che l’Italia sia indietro su questo tema. Anche qui ci stiamo avvicinando a un modello di governance efficace, non sempre solo su autonoma iniziativa delle società, ma spesso anche su spinta di azionisti, regolatori e opinioni pubblica. Di certo l’impegno profuso non è omogeneo. Si possono infatti notare diversi approcci con cui il tema è affrontato all’interno del cda. Quello compliance driven: si fa disclosure perché, ad esempio, esiste l’obbligo di pubblicare la Dnf; quello dell’opportunità competitiva, aspetto che apre però al greenwashing. Infine, esiste un ultimo modello, il più desiderabile, in cui si assiste a una integrazione delle politiche Esg nel business model che evolve per adattarsi allo scenario. Fare eccessivo affidamento sulla governance, però, è un rischio molto elevato. Condivido le conclusioni di alcuni autori del libro secondo i quali finché non si renderà conveniente per le imprese andare verso la net zero economy non ci si potrà aspettare un movimento uniforme e compatto in questa direzione. In quest’ottica soltanto un adeguato quadro normativo potrà fare la differenza”.