Recovery Fund, occasione per la ripresa
Il programma di sostegno delle economie colpite dal Covid rafforza l’UE e potrebbe rendere il nostro tessuto produttivo più moderno, digitale e sostenibile. Stefania Bariatti ne parla con La Voce
Un’opportunità unica che molti hanno paragonato al Piano Marshall, il programma di investimenti sovvenzionato dagli Stati Uniti d’America alla fine della Seconda Guerra Mondiale per far ripartire l’economia di un’Europa devastata materialmente e moralmente dal conflitto. Il Recovery and Resilience Facility, comunemente detto Recovery Fund, non rappresenta soltanto un aiuto economico finanziato attraverso l’emissione dei cosiddetti recovery bond a sostegno dei Paesi dell’Unione colpiti dall’epidemia di Coronavirus. Questo strumento, infatti, proprio in virtù della garanzia sottostante rappresentata dal bilancio comunitario 2021-2027, assume anche un valore profondamente simbolico legato in particolare al fatto che consiste in una vera condivisione europea del debito. Era dai tempi del varo della moneta unica che non si assisteva a un nuovo concreto passo nella direzione di un rafforzamento dell’Ue.
Inizialmente il Recovery Fund potrà contare su una “potenza di fuoco” di 750 miliardi di euro, 209 dei quali prenderanno la strada dell’Italia. Un fiume di denaro che il governo dovrà decidere, sulla base di un piano concordato con Bruxelles, come spendere. Per molti una grande occasione da non sprecare che potrebbe consentire di traghettare il Paese verso una nuova era.
Ma come spendere al meglio questo denaro, in quali imprese e settori? E che ruolo potranno svolgere i cda nell’indirizzare i piani strategici delle aziende nel breve e lungo termine? Lo abbiamo chiesto a Stefania Bariatti, socio di Nedcommunity ed ex presidente di Mps, oggi consigliere di A2A e di BNL.
Quali settori industriali dovrebbero essere messi in cima alla lista degli interventi e perché?
“La Recovery and Resilience Facility rappresenta un’occasione straordinaria (in tutti i sensi) per risolvere alcuni nodi irrisolti che hanno rallentato la crescita del Paese negli ultimi anni e così assicurare un futuro alle giovani generazioni. Il Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza è dunque cruciale, ma dovrà intervenire con le priorità e nelle aree indicate dalla raccomandazione rivolta all’Italia da parte della Commissione europea. La raccomandazione, come è noto, individua alcune linee di miglioramento di carattere generale, rinnovando inviti già rivolti in passato all’Italia, quali, per esempio migliorare l’efficienza del sistema giudiziario e della pubblica amministrazione, ridurre i ritardi di pagamento della PA, assicurare la sostenibilità del debito pubblico, adottare misure di sostegno e formazione ai lavoratori. Questi obiettivi sono accompagnati dall’invito ad adottare le politiche e sostenere i progetti di investimento green e di digitalizzazione da parte delle imprese e dello stesso Stato. Si tratta dunque di obiettivi e condizioni di carattere trasversale, che incidono appunto in tutti i settori e su tutte le attività. Oltre che in settori industriali specifici, quindi, si deve intervenire per la modernizzazione e la digitalizzazione dei processi produttivi, si deve accompagnare la transizione delle imprese verso l’utilizzazione di energie rinnovabili e la sostenibilità, si deve sostenere e incentivare la ricerca e l’innovazione in tutti i settori industriali, per rispondere alla sfida dell’accelerazione delle tecnologie e delle competenze di riferimento. In questo quadro servono poi infrastrutture adeguate, che permettono un più ampio e immediato accesso alle opportunità e alla conoscenza anche per le imprese che si trovano oggi alla periferia del Paese. I settori trainanti, di conseguenza, dovrebbero essere quello energetico, che riveda la produzione di energia in funzione di decarbonizzazione e di incentivo all’economia circolare, quello dei trasporti, quello delle infrastrutture, comprese le reti di telecomunicazione, e non ultimo il settore sanitario, che ha mostrato alcune debolezze di fronte alla pandemia e richiede che sia modificato l’approccio generale e siano modernizzate le strutture pubbliche di assistenza. Il tutto, evidentemente, con il supporto dello Stato, che deve alleggerire i percorsi di approvazione dei progetti, in funzione, appunto di supporto e non di ostacolo. I piani presentati nei giorni scorsi, tra gli altri, da CDP e da M&M – Idee per un paese migliore, danno indicazioni chiarissime sulla direzione da prendere con decisione”.
Che compito hanno svolto i cda nell’indirizzare le scelte strategiche nel corso dell’emergenza sanitaria e che peso avranno nel mettere le aziende nelle condizioni di agganciare la ripresa che si spera arrivi con il Recovery Fund?
“Nella mia esperienza i cda hanno svolto un importante ruolo di stimolo e controllo nella fase dell’emergenza, in linea con quanto a loro richiesto dalla normativa e dalla prassi. L’ambito e l’efficacia concreta dell’azione dei cda dipendono ovviamente dai settori di attività: diverso è stato il compito richiesto ai cda delle banche e delle istituzioni finanziarie, in prima linea fin dai primissimi giorni per mettere a terra gli interventi di supporto alle imprese attraverso le moratorie, i finanziamenti, ecc., da quello dei cda delle imprese – tra cui le stesse banche per quanto riguarda la gestione “interna” della loro attività – nella revisione dei processi organizzativi, nella gestione dei dipendenti, alla ricerca di soluzioni compatibili con l’emergenza e spesso di fonti di approvvigionamento diverse in considerazione di difficoltà analoghe di propri fornitori e clienti. Credo che in questa fase si sia dimostrata l’importanza e l’utilità della diversificazione delle competenze nei board, che ha fatto emergere esperienze e competenze che magari non erano state finora sollecitate in modo specifico. Il secondo punto che mi preme evidenziare riguarda l’inquadramento del rischio Covid nell’ambito degli scenari di rischio ai quali le imprese, in misura diversa secondo i settori di attività, sono esposte. L’impatto è molto significativo, ovviamente, sui piani industriali, la politica dei dividendi, le politiche retributive e la protezione dei dipendenti, per menzionare solo alcuni aspetti. La disponibilità dei vaccini, la possibilità di nuovi lockdown, il coinvolgimento minore o maggiore di certe aree del mondo nei prossimi mesi sono elementi di incertezza che devono essere approfonditi e monitorati giorno per giorno con attenzione. Il tutto in un quadro geopolitico internazionale complesso, che vedrà certamente effetti significativi, per limitarci al breve periodo nel mondo occidentale, dalle elezioni americane e dall’uscita (hard?) del Regno Unito dall’Unione europea. Il Covid è un elemento centrale di rischio, ma certamente non l’unico, che influenzerà la ripresa e la sua ampiezza ed è innegabile che in questo quadro d’insieme il nostro Paese può risentire negativamente di uno scenario così incerto e complesso”.
Alla luce della rapida evoluzione dei rischi, su quali competenze sarebbe opportuno poter contare all’interno dei cda per essere preparati a ogni evenienza?
“È difficile generalizzare. Certo per la ripresa e per il futuro ‘sostenibilità’ è la parola chiave. L’ampliamento delle competenze che possono incidere positivamente sulla politica di sostenibilità e il raggiungimento degli obiettivi ESG, diversi per ciascuna impresa secondo la propria matrice, è auspicabile al fine di garantire il perseguimento degli obiettivi e la piena consapevolezza dei cda, che hanno un ruolo cruciale e ampia responsabilità in proposito. In questo ambito generale è importante migliorare e ampliare la gestione dei rischi e le relative competenze, in particolare quelli connessi al climate change, per la cui misurazione si stanno valutando modelli e strumenti. Infine, alla luce della raccomandazione della Commissione per l’ottenimento dei fondi della RRF, è importante aumentare le competenze in materia di digitalizzazione”.
Quali sono i punti di forza e quali i punti di debolezza della governance delle aziende italiane emersi nel corso di questi delicati mesi?
“Non ho sperimentato problemi particolari sotto il profilo della comunicazione, al di là del fatto oggettivo che lo svolgimento delle riunioni online riduce l’interazione nel corso del cda. Restano invece le debolezze del sistema imprenditoriale italiano sotto il profilo governance, alle quali il nuovo Codice di autodisciplina cerca di rimediare nel quadro dell’aggiornamento generale del sistema. Mi riferisco in particolare alle imprese che hanno un gruppo familiare come azionista di riferimento, che dovrebbero aprirsi alle competenze esterne, anche se non sono quotate, garantendo poi la piena partecipazione di queste competenze alla definizione delle strategie. In secondo luogo, ritengo utile la discussione in corso sull’attribuzione al cda uscente del potere di presentare una lista all’assemblea al momento del rinnovo, così come ritengo spesso opportuno un mutamento solo parziale dei membri del consiglio, al fine di garantire continuità di conoscenza dell’impresa, salvo ovviamente quando l’obiettivo è proprio la discontinuità”.