Politica di remunerazione: un tema di buona governance
Una corretta compensation assicura ai cda i consiglieri migliori, un discorso che deve valere anche se non soprattutto per i ned
Getty ImagesI compensi dei consiglieri indipendenti in Italia? A prescindere da una valutazione rispetto alla loro adeguatezza, soprattutto se confrontati con quelli dei colleghi europei, il nodo della politica di remunerazione rientra a pieno titolo nel dibattito relativo a una buona governance. Un tema di cui bisogna parlare, come è emerso nel corso del convegno organizzato da Nedcommunity con WTW il 13 febbraio scorso dal titolo “La politica di remunerazione dei consiglieri non esecutivi”.
A ricordare immediatamente come l’argomento sia tabù, infatti, è stata proprio la past president di Nedcommunity, Maria Pierdicchi, che ha parlato di un “argomento spesso omesso almeno in Italia. Eppure, in questi anni la remunerazione non è stato un tema trascurato dalle aziende. All’interno delle società sono stati compiuti molti passi in avanti con inclusione dei parametri Esg e aggiustamenti importanti sulle remunerazioni degli esecutivi ma spesso non su quelle dei ned. Anche per loro, però, vale il principio secondo cui una remunerazione equa e comparabile vuol dire poter attrarre i migliori talenti, ex manager o professionisti. Per tutti gli stakeholder di un’azienda, dagli azionisti che possono contare su buone competenze passando per i manager fino ad arrivare ai lavoratori, un compenso equo e adeguato dei ned, è molto importante: spesso sono loro che pongono molte problematiche e portano avanti istanze a favore dei dipendenti nei cda sul fronte del work life balance, delle condizioni di lavoro e anche della retribuzione”.
Secondo Enor Signorotto, senior advisor executive compensation e corporate governance WTW, associato Nedcommunity, che ha presentato i risultati di un report su questo tema, “esistono grandi differenze fra i principali Paesi europei sia per quanto attiene il livello dei compensi sia per quanto attiene l’impostazione delle politiche di remunerazione. I compensi previsti per i ned in Italia appaiono generalmente inferiori alla media dei paesi europei, anche in considerazione del maggiore impegno richiesto nelle quotate italiane”.
Massimo Belcredi, professore ordinario di Finanza aziendale e direttore Fin-Gov, Università Cattolica del S. Cuore, associato Nedcommunity ha ribadito come il convegno abbia avuto il merito “di tirare il sasso nello stagno. Si tratta di un tema di cui bisogna parlare e noi lo stiamo facendo. I ned sono pagati poco, come il presidente non esecutivo e i sindaci se guardiamo a un rapido confronto europeo. D’altro canto, le variabili in gioco sono tante ed esistono molte differenze fra un Paese e l’altro: penso all’azionariato delle imprese (da noi molto concentrato), alla loro dimensione (in Italia le aziende sono più piccole), al numero di riunioni (da noi superiore a quelle dei principali Paesi)”.
Non a caso Annachiara Svelto, consigliere Enel e Credem, consigliere direttivo, moderatrice della tavola rotonda, ha sottolineato che il tema di una corretta politica di remunerazione non ha lo scopo di portare avanti una “rivendicazione salariali ma quello di affrontare un argomento che esula la questione meramente economica: il tema è di governance. Cercare le persone più giuste per svolgere un ruolo complicato e difficile e di responsabilità quale il consigliere di amministrazione. Questo il tema da valorizzare: se cerco una persona con determinate skils e background per affrontare il ruolo devo prevedere una retribuzione corretta. Come del resto quando si fa una ricerca di un manager o un consulente. Si deve cercare il migliore non quello che accetta”.
Gianluca Antipasqua, head of Southern European Research presso Institutional Shareholder Services (ISS) ha ribadito che quando si parla di compensi “è necessaria in primo luogo trasparenza. I compensi non devono essere eccessivi e il pacchetto non dovrebbe prevedere trattamenti di fine mandato o pensionistici. In generale dobbiamo capire che spesso esistono grandi differenze fra l’Italia e gi altri Paesi: in Italia registriamo livelli retributivi più bassi in tutto il mercato del lavoro e le aziende sono caratterizzate da un azionariato concentrato al quale spesso fa comodo avere a volte dei consiglieri sottopagati o non favorire il governo dei migliori”.
Secondo Oriana Bastianelli, head of analysts and ESG Kairos “dal punto di vista dell’azionista, la remunerazione dipende da come si lavora. Il punto vero è che gli azionisti non possiedono gli strumenti per valutare le referenze dei futuri consiglieri e dedurne la qualità del compito svolto all’interno dei board. Le informazioni sulla società quotate sono riservate e gli azionisti hanno le informazioni pubbliche ed anche i resoconti sulle board review non danno indicazioni in questo ambito. Non dimentichiamo poi che ci sono persone disposte ad accettare consigli più piccoli – perché il ruolo del consigliere per varie ragioni è ambito – e quindi remunerazioni più basse”.
Rosalba Casiraghi, presidente illimity bank, presidente del collegio sindacale Eni, past president Nedcommunity, ha messo il dito nella piaga: “I nostri ned sono pagati meno, al di là del diverso potere di acquisto, per ragioni strutturali tipiche del nostro Paese. Non dimentichiamo che anche per gli amministratori esiste un mercato. La domanda è andata scemando perché molte società hanno portato la sede legale in altri Paesi o sono uscite dal listino, ma l’offerta si è allargata. Quindi sono molti coloro i quali ambiscono a occupare un posto in una società quotata e la remunerazione non diventa il driver più importante. Spesso quello che attrae di una società, non dimentichiamolo, è anche la possibilità di poter partecipare a una nuova iniziativa entusiasmante. Per quanto riguarda i presidenti, in generale penso che le retribuzioni italiane siano adeguate ma deve cambiare il modo di lavorare. Il codice ci chiede di avere un ruolo diverso”.
Ma a prescindere dall'”assegno staccato”, quale deve essere il profilo del buon consigliere? Secondo Tiziana Del Vecchio, managing partner di Management Search, associata Nedcommunity “nel cercare i profili dei ned la strategia è diversa rispetto a quella adottata per i manager. I consiglieri devono possedere delle caratteristiche uguali per tutti e altre specifiche a seconda delle società in cui sono chiamati a operare. Intanto un ned deve poter contare su onorabilità, professionalità, indipendenza di giudizio e disponibilità di tempo, standing, seniority, esperienza comprovata in aziende che ci interessano e delle dimensioni paragonabili a quelle per le quali cerchiamo una figura. Inoltre, deve essere in grado di acquisire competenze richieste, intelligenza sociale, buona energia, capacità relazionale. Non dimentichiamo che il consiglio, però, bisogna comporlo: quando si cerca un consigliere è necessario capire chi sono anche gli altri. Poi ci sono i requisiti specifici per ogni azienda. Per quanto riguarda gli emolumenti di certo sono bassi in Italia, questo è un dato di fatto. Ma bisogna sottolineare che nei cda non siedono solo consiglieri bravi e adeguati. Bisognerebbe, quindi, essere attenti e molto selettivi nella loro ricerca. Molti non leggono, non studiano, arrivano impreparati nei cda. Bisogna spendere in persone attente e qualificate, anche perché oggi stare in un cda è più complicato di una volta”.
Roberto Nicastro, presidente di Banca Aidexa e di Officine CST Europe Senior Adv. Cerberus, associato Nedcommunity, ha invitato a evitare semplificazioni e ha posto l’accento su “gli aspetti di soft skills: un buon consiglio di amministrazione e degli ottimi ned, devono lavorare in una prospettiva di gestione costruttiva delle conflittualità. L’indipendenza, però, non è solo questione di approccio ma ci sono anche hard skills da tenere in considerazione: la capacità analitica di andare a leggere i dati con giudizio imparziale è una delle principali qualità, anche se non l’unica ovviamente. Inoltre se guardiamo dal punto di vista di una banca, in maniera crescente i regolatori pongono sugli organi di gestione e controllo una responsabilità diretta sulle decisioni. Se persiste un delta da colmare sul fronte delle remunerazioni, è però necessario anche confrontare il costo di una governance indipendente. Per esempio, all’estero le strutture di governance sono meno numerose, anche per questo la remunerazione da noi è più bassa. Una seconda riflessione da fare è relativa al tema dell’uso delle azioni nella compensation. Nel private equity, in società non quotate, è molto frequente. È quindi impossibile immaginare un assetto bilanciato di azioni anche per i non esecutivi e gli indipendenti? Penso a pacchetti che non possono essere ceduti prima della fine del mandato, allineati agli obiettivi di breve termine dell’impresa”.