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PMI e CSRD: corsa contro il tempo per essere pronti

La normativa forza i tempi e richiede alle piccole e medie imprese già oggi di pensare e iniziare a inserire un adeguamento significativo nella governance. Come costruire una cultura aziendale basata sulla sostenibilità? Sfruttando la competenza degli indipendenti

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La Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) dell’Unione Europea rappresenta una svolta significativa, anche per le piccole e medie imprese (PMI), in termini di reporting sulla sostenibilità. La CSRD, infatti, estende i requisiti di rendicontazione a un numero importante di aziende, richiedendo report dettagliati sulle questioni ambientali, sociali e di governance (ESG): nel tempo, arriverà a dover essere applicata alla maggior parte delle imprese.

Le questioni ESG non partono solo dalla CSRD, ma il mercato e gli stakeholder le richiedono con forza e sono quindi elementi imprescindibili per ogni azienda per essere competitiva nel lungo termine: ogni giorno è sotto gli occhi di tutti come il nostro mondo stia andando in questa direzione.

La normativa, però, forza i tempi e richiede alle piccole e medie imprese già oggi di pensare e iniziare a inserire un adeguamento significativo nella governance (che, comunque impostata, guida tutto quello che succede in un’impresa) e nelle strategie aziendali: infatti, dietro alla normativa CSRD sta un problema di grande sostanza, e cioè che la rendicontazione necessita di una realtà sottostante, appunto, da rendicontare.

Di conseguenza, la mossa fondamentale per le PMI – e in generale per ogni impresa – è quello di integrare la sostenibilità nel proprio modello di business. Diventare un’impresa sostenibile è quasi sempre un processo trasformativo lungo e complesso – spesso epocale per l’impresa – che implica un’analisi profonda di come i contenuti e le pratiche sostenibili possano/debbano essere incorporate nel proprio modello di business, a partire dai prodotti, ma in generale in ogni aspetto dell’attività aziendale, per esempio alla supply chain, al marketing, alla compliance, al modo in cui le persone partecipano all’attività dell’impresa.

Per ottenere questo, è essenziale guardare lontano e costruire, assimilare e far assimilare una cultura aziendale incentrata sulla sostenibilità, che parta e sia interiorizzata dal vertice – quindi dal consiglio di amministrazione e dal capo azienda – e sia diffusa a tutti i livelli dell’organizzazione: se tutti hanno ben capito e sono son entrati sugli obiettivi, tutto è più semplice e verosimile che accada.

Bisogna stabilire obiettivi di sostenibilità chiari e renderli misurabili. Questi obiettivi dovrebbero essere specifici, realistici (e anche allineati con gli standard richiesti dalla CSRD); e ci vuole naturalmente un impegno autentico per evitare di incorrere nel greenwashing (pratica ingannevole utilizzata per dare l’impressione di essere impegnati nella sostenibilità, ma senza effettività).

Comunicazione, trasparenza e reporting (e su questo ci indirizza la normativa) adeguati sono poi elementi fondamentali, e il dialogo con gli stakeholder aiuta a consolidare pertinenza e accoglienza delle proprie pratiche di sostenibilità.

In tutto questo, gli amministratori indipendenti possono svolgere un ruolo fondamentale nella governance delle PMI: portano visione, competenze ed esperienze diverse – e anche specifiche in materia di sostenibilità –, svolgono un’attività importante di challenge al capo azienda e agli esecutivi e aiutano significativamente migliorare valutazioni e decisioni, contribuendo al successo dell’impresa; la loro presenza è indice forte della volontà di migliorare la governance e quindi rafforzano la fiducia degli stakeholder. L’adozione di questi approcci da parte delle PMI non solo le preparerà alla conformità con la CSRD, ma le rafforzerà significativamente, trasformando virtuosamente un obbligo normativo in una chiave del successo.

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