Pmi chiamate alla svolta sulla buona governance
Il cuore del nostro tessuto produttivo, costituito dalle imprese di piccole e medie dimensioni, ha nella buona governance la leva per una crescita dimensionale e culturale in grado di rafforzare l'intero sistema Paese
“Investire nella governance è sempre una buona idea, anche nelle società a dimensione familiare perché fa sì che si crei un dialogo fra gli assetti proprietari e il modello di business che non è sempre scontato”. Anna Rita de Mauro, presidente del collegio sindacale Nedcommunity Value Srl, in apertura alla sessione dedicata proprio alle Piccole e medie imprese nel corso del Forum del Ventennale di Nedcommunity, , organizzato al Westin Palace di Milano, ha elencato i vantaggi di un moderno governo societario, anche per le imprese non quotate: superamento del paradigma dell’uomo solo al comando, introduzione di logiche di gestione del rischio strutturate che tengano conto anche di fattori Esg, pronta risposta alle sfide della transizione ecologica e digitale.
Le Pmi vivono di un approccio dinamico e quindi il modello di governance deve essere funzionale allo stadio di maturità dell’azienda e al settore di appartenenza. Assodato questo aspetto, ci sono dei passi obbligatori per tutti: allargare il board alla presenza di indipendenti che possono portare competenze importanti. La professionalità dei singoli ned, però, è una condizione necessaria ma non sufficiente. Nelle Pmi emerge anche una scarsa sensibilità sul tema dell’induction, unico strumento che consente di entrare maggiormente nel merito del business della singola impresa.
Ilaria A. Belluco, partner di CBA e delegata Chapter Nordest Nedcommunity, ha confermato che il tallone d’Achille delle piccole imprese, soprattutto nell’area geografica in cui opera, è proprio la presenza di un board impermeabile alla presenza di “estranei” al nucleo familiare. Da un certo punto di vista i board sembrano al passo con i tempi, compreso il rispetto delle quote di genere, visto che in consiglio siedono spesso parenti donne dell’imprenditore; alla fine, però, è quest’ultimo a prendere le decisioni. Sostanzialmente non esiste la collegialità e la verbalizzazione di qualsiasi opinione contraria alla propria è vista come il male assoluto da evitare in ogni modo. Tutto ciò rappresenta una grave mancanza per l’evoluzione delle Pmi e una cultura difficile da sradicare. Una leva per il cambiamento potrebbe essere rappresentata dall’adozione di statuti al passo con i tempi e adatti alle caratteristiche delle singole imprese che prevedano anche la presenza di ned.
Il mercato, del resto, spinge per l’adozione di una buona governance. Gabriele Tavazzani, ceo di Amundi Sgr, ha spiegato come un investitore che voglia impiegare i propri capitali in una logica di sviluppo e non semplicemente di mantenimento, guardi in primo luogo alla sostenibilità della capacità di produrre risultati in un mercato molto competitivo e in evoluzione.
In questo senso la normativa Csrd rappresenta una grande occasione: gli obblighi di comunicazione in chiave Esg che ricadano, infatti, sulle società quotate, si ripercuotono anche sulla supply chain, quindi sui fornitori di piccole dimensioni: questo aspetto si traduce in un’urgenza all’adeguamento di compliance ma anche in grandi occasioni. Se, infatti, si è in grado di anticipare questi obblighi di vedendoli come un vantaggio di business e non aspettando l’ultimo momento, si coglie l’occasione clamorosa di entrare in altre filiere più sviluppate dove si cercano fornitori al passo con i tempi. Tutto ciò rappresenta un’opportunità commerciale per le Pmi e per il Paese.
Ugo Loeser, ad e dg di Arca Fondi Sgr, si è soffermato sul modo in cui i gestori stimolano la buona governance in quelle operazioni in cui entrano dopo m&a e investimenti di equity, partendo da un punto incontrovertibile: aziende con una buona governance performano meglio. I motivi risiedono in due variabili soft e tre hard. Le prime sono la trasparenza (la funzione di monitoraggio del board spinge a “comportarsi” meglio); la seconda è la focalizzazione sul business (quando si può contare su un buon governo societario ci si concentra di più su quello che si sa fare meglio, senza distrazioni).
Le tre variabili più hard che beneficiano della buona governance:
- Processo di innovazione. È una fase nella quale molte aziende rischiano di fallire (green transition e innovazione digitale hanno costi colossali). Si pensi alle opportunità legate all’IA che sta alimentando investimenti di un ordine di grandezza difficile da quantificare (in generale è come se stessimo rifacendo tutte le ferrovie e le autostrade del mondo);
- Processo di internazionalizzazione. Le nostre aziende di eccellenza si sono sempre distinte per capacità di aggredire mercati nuovi. Farsi spazio all’estero, però, è complicato e molte volte aziende brillanti, proprio a causa di una cattiva governance, hanno fallito o hanno impiegato troppo nel conquistare la posizione che a loro spettava;
- Talent management. Unica garanzia di attirare e gestire nel miglior modo possibile i talenti necessari ad avere un vantaggio competitivo è una buona governance. Questo tema, assieme alla retention e alla compensation, sono ineludibili per tutti.
Per Andrea Falchetti, Head of Corporate Finance Mid Cap Divisione IMI CIB Intesa Sanpaolo, la buona governance e la presenza di indipendenti rappresentano elementi facilitatori per la quotazione in Borsa delle Pmi, strada a volte obbligata per superare lo scoglio dimensionale. Importante è il tema del pre-Ipo e dell’m&a: la Divisione IMI CIB di Intesa Sanpaolo, infatti, è a fianco delle società che si accingono allo sbarco in Borsa aiutandole ad adottare tutte le caratteristiche necessarie per accedervi. Ma non solo: spesso è necessario un supporto all’internazionalizzazione di queste imprese. Ad esempio, guardando a un campione di medie aziende italiane, rispetto al passato la percentuale dei ricavi fatti all’estero è di molto superiore rispetto a quella realizzata in Italia ed esiste quindi un’internazionalizzazione di tipo commerciale che l’azienda riesce a portare a termine da sola. Differente è il caso di operazione di m&a fuori dai confini che sono invece molto complesse. Per tale motivo la banca spesso interviene consigliando un’apertura di una quota di minoranza a un private equity con le giuste competenze e che sia in grado di aiutare a espandersi prendendo contatti con le controparti all’estero.
Una strategia di crescita – ma anche soltanto le sfide della transizione energetica e digitale – rappresentano opportunità ma pongono le aziende anche davanti a pericoli di nuova natura.Per questo motivo Emma Marcandalli, Managing director Protiviti ed esperta di sistemi di controllo interno di gestione del rischio, ha insistito sulla centralità di un corretto risk management anche nelle Pmi. Realtà come Nedcommunity, di concerto con le istituzioni e con le associazioni di categoria delle imprese, possono fare molto secondo l’esperta per mettere le Pmi nelle condizioni di sostenere i costi di implementazione di adeguati sistemi di controllo richiesti non soltanto dalla normativa ma anche dalla necessità di mantenere il business sostenibile nel tempo. Si pensi a temi complessi come cyber risk regolamentati dalla Nis2: come si può pensare che le Pmi che a volte non hanno neanche l’It manager possano affrontare un rischio di questa portata? Quindi, questo l’appello, le associazioni potrebbero lavorare a una sorta di cooperativa per mettere a disposizione delle Pmi queste competenze a costi relativamente bassi.
Alvise Biffi, vicepresidente Assolombarda, in chiusura dei lavori della sessione ha ricordato l’importanza strategia delle Pmi sottolineando come quelle di dimensioni media siano 50/60mila che unite alle piccole portano il numero a 200mila. Un mondo molto variegato al quale non è possibile imporre con provvedimenti normativi un corretto governo societario. È quindi necessaria una progressività delle misure di governance e di compliance che oggi non esiste. “Per fortuna sono sempre meno gli imprenditori per i quali i cda devono essere dispari e minori di tre” ma questo non basta, è soltanto il primo passo: è necessario strutturare la pressure normativa e legislativa all’insegna di una maggiore gradualità.