Più donne nei cda per una leadership più moderna
La legge Golfo-Mosca ha consentito di colmare il gap di rappresentanza. Adesso si attende un salto di qualità sul fronte della leadership
Getty ImagesL’equilibrio di genere negli organi di amministrazione e controllo è tornato al centro del dibattito UE, forse complice l’emergenza legata alla diffusione del virus Covid-19 che ha mostrato che i Paesi che hanno reagito meglio sono quelli guidati da donne (fra cui Germania, Finlandia, Norvegia, Danimarca e Nuova Zelanda). È, infatti, finalmente ripreso il cammino della proposta di Direttiva COM (2012) 614 final, «riguardante il miglioramento dell’equilibrio di genere fra gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate in Borsa e relative misure».
È utile quindi fare sinteticamente il punto, anche con riferimento alla regolamentazione del nostro Paese, che con la L. 120/2011, ha imposto l’obbligo di assicurare al genere sottorappresentato una quota dei posti di amministratore e di membro dell’organo di controllo delle società quotate e a controllo pubblico, quota recentemente innalzata, per le società quotate, dalla legge di bilancio n. 160/19 a 2/5 dei posti.
La L. n. 120/2011, così come la proposta di Direttiva del 2012, muovono dal convincimento che il genere femminile incarni valori e qualità diverse da quelle rappresentate dal genere maschile ed esaltano la gender diversity. Nelle norme italiane, tuttavia, i motivi ispiratori non sono espressi.
Per le società quotate, le relative disposizioni sono contenute negli artt. 147-ter e 148, c. 1-bis TUF 58 del 1998, che sono state dapprima modificate dalla L. Golfo-Mosca e successivamente riscritte dalla L. 160/2019. Le relative previsioni assicurano al genere sottorappresentato una quota dei posti nell’organo di amministrazione e in quello di controllo, originariamente nella misura di 1/3 e oggi di 2/5. Le disposizioni sono declinate in modo neutro, perché operano a favore del genere sottorappresentato e dunque non necessariamente di quello femminile, anche se è evidente che sino ad ora la sottorappresentazione ha riguardato le donne. Hanno inoltre natura temporanea: con la legge di bilancio n. 160/2019 si è disposto che le relative disposizioni restino in vigore per ulteriori 6 mandati, a far data dai rinnovi successivi al 1/1/2020. Alle prescrizioni imperative si aggiungono le indicazioni del Codice di autodisciplina delle società quotate, elaborato dal Comitato per la Corporate Governance istituito presso la Borsa Italiana S.p.A.: già nella versione del 2018, ma ancora più nel Codice di Corporate Governance 2020 è stato adottato il principio della diversità di composizione degli organi sociali, anche se, inspiegabilmente, si e mantenuto il riferimento alla quota di 1/3 dei posti a favore del genere sottorappresentato negli organi sociali. Va però segnalato che il Codice, del tutto condivisibilmente, ha sollecitato l’introduzione di un’effettiva parità di trattamento e di opportunità dei generi all’intera organizzazione aziendale (art. 2, Racc. 8).
Il motivo conduttore degli interventi in materia di quote di genere è espresso dalla Direttiva 2013/36/UE (c.d. CRD IV), che nel Considerando n. 60 afferma emblematicamente che «per favorire l’indipendenza delle opinioni e il senso critico, occorre che la composizione degli organi di gestione degli enti sia sufficientemente diversificata per quanto riguarda età, sesso, provenienza geografica e percorso formativo e professionale, in modo da rappresentare una varietà di punti di vista e di esperienze». Nel Considerando 8 della proposta di Direttiva del 2012 si legge che «a livello di imprese è largamente riconosciuto che la presenza di donne nei consigli migliora il governo societario […]».
La normativa italiana si rivolge alle società italiane con azioni quotate in mercati regolamentati italiani (e UE) e alle società controllate da P.A. Non riguarda le PMI non quotate, le Fondazioni o altri enti di diritto privato, né le Casse previdenziali, anche se non mancano proposte dirette ad estendere tali previsioni (v. proposta di NRD “Norme per l’equilibrio di genere nelle società”, in www.noidonne.org). L’ambito di applicazione della proposta di Direttiva, a sua volta, è circoscritto alle sole società quotate ed essa è volta ad impegnare gli Stati al conseguimento dell’obiettivo comune del 40% di amministratori non esecutivi del sesso sotto rappresentato. Sono escluse le PMI.
Un aspetto su cui riflettere è, infine, quello del modello di leadership che le donne devono portare all’interno dei CdA affinché le conquiste rappresentate da queste norme non siano soltanto formali. L’auspicio è che il genere femminile mostri maggiore sensibilità di quella che è stata riservata finora ai temi dell’ambiente, dell’ecologia, della sostenibilità, delle energie rinnovabili, al rispetto dei diritti umani e alla effettiva parità di genere all’interno dell’organizzazione aziendale, anche declinata come conciliazione tra vita e lavoro. Un’importante occasione è data dal d.lgs. 254/16 che impone alle società tenute a redigere la dichiarazione di carattere non finanziario, di includervi informazioni riguardanti almeno l’utilizzo di risorse energetiche, le emissioni di gas ad effetto serra, l’impatto sull’ambiente nonché sulla salute e la sicurezza, rispetto dei diritti umani.
In questa prospettiva, si può ricordare la risposta di V. Woolf nel ‘38 a un avvocato che le chiedeva come le donne potessero contribuire a prevenire la guerra: «Entrambi siamo decisi a fare il possibile per distruggere il male […]. Voi con i vostri metodi. Noi con i nostri […]: il modo migliore per aiutarvi a prevenire la guerra non è di ripetere le vostre parole e di seguire i vostri metodi, ma di trovare nuove parole e inventare nuovi metodi». Anche nella materia della corporate governance, ma anche nella gestione dell’emergenza in corso, le recenti crisi dimostrano che è giunto il momento di aprire a nuovi metodi e a nuove parole.