Per una buona governance nel settore bancario europeo
Vorrei attirare l’attenzione degli Indipendenti su un aspetto che mi sta a cuore per la buona governance nel settore bancario europeo: quello della struttura degli organismi di controllo. Mi permetto anche di avanzare qualche dubbio sul loro modus
Nota edtoriale
Nel N.27 di questa Rivista, on-line il 1° maggio 2016, pubblicammo un articolo di Ivano Francesco Mattei (Responsabile del Governo dei processi amministrativi del Banco BPM di Verona) sulla fusione tra Banca Popolare di Milano e Banco Popolare. Oggi, a fusione avvenuta, Mattei riprende l’argomento esprimendo alcune critiche sul “modus operandi” delle autorità bancarie europee. Abbiamo deciso di ospitare questo articolo poiché riteniamo che le sue considerazioni possano essere utili in sede di approvazione dei nuovi ruoli europei.
In questa occasione, allo scopo di mantenere vivo un proficuo dibattito, rinnoviamo a tutti i lettori l’invito ad inviarci i loro commenti sui temi che trattiamo, nonché eventuali proposte di contributi alla rivista.
Enrico Colombi (direttore responsabile) [email protected]
Vorrei attirare l’attenzione degli Indipendenti su un aspetto che mi sta a cuore per la buona governance nel settore bancario europeo: quello della struttura degli organismi di controllo. Mi permetto anche di avanzare qualche dubbio sul loro modus operandi.
Sebbene oggi gli spunti sul tema delle banche siano tanti, vorrei focalizzare l’attenzione su
l’unica operazione di fusione bancaria italiana gestita dagli AD delle due banche coinvolte: il Banco Popolare e la Banca Popolare di Milano.
Volutamente ne parlo solo dopo che le Assemblee dei Soci hanno approvato il piano di fusione affinché le mie opinioni non possono venir interpretate come un’indebita ingerenza in un momento tanto delicato.
Il primo degli organismi europei intervenuto sulle banche, ovviamente, è stato la Vigilanza della BCE. Il fatto che la Vigilanza non risponda al Board della Banca Centrale Europea, di per sé, non soltanto non mi pare logico ma mi pare essere anche contrario agli accordi esistenti. Limitandomi agli effetti che ciò determina, non posso non rilevare che così viene vanificato lo scopo primario del quantitative easying attuato dal Board dei Governatori.
Le cause di ciò sono determinate dai fatti seguenti:
- l’innalzamento dei requisiti patrimoniali che penalizza le banche aventi al loro attivo prestiti rispetto a quelle che svolgono attività più rischiose;
- gli interventi sulla composizione dei Board delle banche controllate;
- gli inviti più o meno coercitivi ad accettare proposte industriali di competenza degli organismi aziendali (solo alcuni banchieri hanno avuto il coraggio di respingere questo tipo di ingerenze).
Non è un mistero che la Vigilanza BCE abbia imposto a Banco Popolare un aumento di capitale di 1 miliardo di euro svalutando ulteriormente i Non Performing Loans (i crediti deteriorati) presenti in bilancio. C’era allora chi sosteneva che l’eccesso di offerta generata dai tempi imposti, agevolava i fondi speculativi che offrivano somme risibili per crediti dotati di ben più alte possibilità di ritorno. Col senno di poi, mi sembra che le recenti transazioni stiano dimostrando che avevano ragione.
Tornando al Banco Popolare, esprimevo scetticismo sulla correttezza giuridica di un tale aumento di capitale per una banca quotata con bilanci certificati. La grandezza della somma rispetto alle quotazioni in borsa della banca rendeva plausibile il sospetto che i conti non fossero corretti e che la Magistratura o la CONSOB avrebbero potuto (o addirittura dovuto) accendere un faro su questi bilanci. A mio modesto parere, si sarebbero potute avanzare almeno due ipotesi:
- a) le valutazioni dei crediti erano errate, con le ovvie conseguenze in termini d’attendibilità dei bilanci,
oppure
- b) la richiesta di aumento di capitale era ingiustificata e rappresentava un’alterazione dei corretti corsi di borsa (volutamente non parlo delle conseguenti ipotesi di reato).
Con due ipotesi come queste è importante comprendere dove sia l’errore e chi lo ha commesso. Ed è quanto ha fatto l’EBA (European Banking Authority) che ha svolto una verifica sui bilancio al 31.12.2015, cioè il medesimo bilancio che la Vigilanza UE ha ritenuto eccessivamente benevolo nelle valutazioni dei NPL.
I risultati del’indagine hanno dimostrato che il Banco era adeguatamente “patrimonializzato”. Inoltre si deve tener conto che i metodi di valutazione utilizzati dai due organismi di controllo non sono omogenei: mentre la Vigilanza BCE nella valutazione della consistenza patrimoniale di una banca prende in considerazione tutte le operazioni che saranno poste in essere (“visione prospettica”), l’EBA mantiene una “visione statica” escludendo dalla sua valutazione ciò che è posto o sarà posto in essere in data successiva a quella della valutazione, e perciò dovrebbe essere più prudenziale.
Da tempo l’AD del Banco Popolare aveva espresso la volontà di cedere i NPL a prezzi congrui rispetto al valore effettivo dei crediti e mi chiedo perché questo elemento non sia stato preso in considerazione, anzi, sono state considerate depressive per il capitale della banca mentre l’EBA riteneva che i criteri valutativi dei NP espressi nel bilancio al 31.12.2015 rappresentassero adeguatamente l’equo valore di tali crediti.
Come è possibile che due Organismi di controllo possano valutare i fair values dei crediti deteriorati in modo così diverso? Mi sembra proprio che ciò non sia possibile, anche se si tratta di stime: i parametri utilizzati sono ben determinabili e pertanto chi ha sbagliato dovrebbe essere messo in condizione di non ripetere il suo errore che, per di più, è aggravato dalla delicatezza del settore in cui agisce e delle sue regole specifiche.
Rammentiamo che nel settore bancario la credibilità è l’unico asset realmente fondamentale, non sostituibile o rinnovabile. Un intervento maldestro può causare danni diretti e indiretti agli azionisti, agli obbligazionisti e persino ai clienti della banca. I danni diretti sono valutabili dalle variazioni delle quotazioni degli strumenti finanziari, quelli indiretti dalla fuga dei depositanti che può determinare l’aggravarsi della situazione patrimoniale dell’azienda sino a livelli insostenibili con il rischio del bail-in.
Sulla base anche di queste considerazioni, nel mio precedente articolo avevo sostenuto che la Vigilanza era divenuta il problema del settore bancario. Pertanto sono stato lieto di apprendere che la Commissione Europea, cioè il governo della UE, abbia dato il proprio “stop” (seppur formale) alla Vigilanza della BCE. Gli ispettori europei dovranno rispettare condizioni precise nell’espletamento delle loro funzioni e disporre di molto minor discrezionalità. In altre parole, sembrerebbe che la Commissione voglia evitare che i requisiti richiesti a ogni banca abbiano ripercussioni sulla capacità di erogare il credito alla clientela.
Comunque, in generale, penso che per espletare al meglio le proprie funzioni, la Vigilanza Ue dovrebbe essere dotata di un patrimonio di credibilità superiore a quello delle banche controllate. E tale patrimonio non si acquisisce per decreto o con nomine ma soltanto con un impegno costante e un’assoluta trasparenza delle procedure seguite
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