Ned: un lavoro a tempo pieno fatto di diplomazia
Nell'ambito dei Governance Talks organizzati da NedAlumni, Simonetta Iarlori ha approfondito temi molto attuali come dinamiche tra il cda, il presidente e l’ad, la fase della nomina del ceo ma anche le prerogative degli amministratori indipendenti
Getty ImagesLa vita del consigliere è tutt’altro che semplice, soprattutto se non esecutivo e indipendente. Ci vogliono competenza, capacità relazionali, diplomazia, puntualità e flessibilità, capacità di fare le domande giuste. In sostanzaparliamo di un lavoro a tempo pieno. Parola di Simonetta Iarlori, laureata in fisica con una lunghissima esperienza non soltanto in ruoli di top management in aziende del calibro di Unicredit, CDP, Leonardo ma anche come ned.
Rispondendo a Claudia Giambanco – componente di NedAlumni, il comitato che ha l’obiettivo di fidelizzare chi ha frequentato i corsi organizzati da Nedcommunity, diffondendo i principi della buona governance e favorendo anche le attività di mentoring – la manager che è attualmente Chief People & Governance Officer ALIA, ha snocciolato una lunga serie di utilissimi consigli, non soltanto per chi intenda svolgere la professione di consigliere, ma anche per chi questo ruolo lo ricopre già.
Un “ruolo complicato”, ribadisce, la cui prima funzione è quella “di facilitatore e di supporto al consiglio per far prendere le migliori decisioni dettate dai processi industriali sottostanti ma non da motivazioni politiche”. Ricordando la sua esperienza lavorativa in Sace, il gruppo assicurativo controllato da Cassa depostiti e prestiti, Iarlori ha sottolineato l’importanza di “istituzionalizzare incontri pre-cda, nei quali sia invitato anche il presidente del collegio sindacale, in cui si discuta e si sviscerino tematiche sulle operazioni più complesse. Una prassi che suggerisco soprattutto se si è un consigliere indipendente perché aiuta molto a veicolare messaggi che rientrano all’interno delle dinamiche fra presidente e amministratore delegato”.
Una delle fasi più delicate per un’azienda, continua Iarlori, è di certo quella della nomina dell’amministratore delegato. “In passato vedevo che venivano deliberati i compensi e, al limite, alcuni benefit ma le dinamiche relative a un’eventuale uscita prima della scadenza del mandato, in alcuni casi non erano perfettamente messi in chiaro nel verbale della delibera. Il mio suggerimento è di fare ordine e di tradurre in primo luogo la delibera in un contratto vero e proprio dove vengano presi in considerazione soprattutto gli elementi di chiusura del rapporto anche alla fine naturale del rapporto di lavoro”.
“Suggerisco di definire anche un processo per ridistribuire le deleghe in caso di uscita improvvisa dell’ad allo scopo di gestire meglio il sistema di transizione. Essere preparati al cambiamento nel mondo di oggi è estremamente importante. Ovviamente questi passaggi sono agevolati se c’è stata una specifica formazione al consiglio. Per questo motivo, soprattutto gli indipendenti freschi di nomina, dovrebbero chiedere un induction sui poteri derivanti dallo statuto e dai patti parasociali, oltreché ricevere spiegazioni sulle deleghe e cercare di entrare nelle dinamiche che si giocano sulla distribuzione dei poteri tra presidente e ad. Leggere bene lo statuto e fare domande è una cosa molto sana perché permette di capire dove si è finiti”.
Un altro consiglio sarebbe quello di fare in modo che il ruolo di segretario del comitato remunerazione, come avviene spesso nelle quotate, sia ricoperto dal responsabile della funzione risorse umane per la complessità e la tecnicità della materia e che ogni impresa si doti di un processo di successione ben strutturato.
Stiamo vivendo dei momenti di transizione molto veloci: in queste fasi abbiamo bisogno di amministratori delegati che abbiano capacità adattive per rendere le aziende sostenibili a lungo termine. Il consiglio deve avere una funzione di supporto all’ad, per fare in modo che la sua azione sia incentrata in primo luogo sulla creazione di valore per gli stakeholder e per la società stessa a lungo termine. Soltanto in questo modo si sarà certi di aver intrapreso correttamente la strada della sostenibilità. Tale cambiamento, infatti, passa in primo luogo dalle persone. Ecco perché per Iarlori nei comitati di sostenibilità “è fondamentale introdurre anche una visione più hr related”.
In una fase tanto vivace il ruolo dell’indipendente è in sostanza quello di portatore del challenge all’interno dell’azienda, al solo scopo di aiutare l’ad e l’azienda ad avere una visione più allargata. “Il challenge non può limitarsi soltanto al consiglio di amministrazione: se si hanno posizioni differenti bisognerebbe fare delle pre-riunioni. La condivisione preconsiglio – ma anche con il ceo – è una buona pratica anche se non sempre riesce ad ottenere dei risultati” continua Iarlori.
Pazienza, diplomazia e conoscenza degli equilibri interni dell’impresa, come detto, fanno del lavoro del consigliere una professione a tempo pieno. Per tale motivo è importante la definizione di un calendario del consiglio. “Spesso vengono condivisi all’inizio ma poi diventano disordinati. Il consigliere – conclude Iarlori – può quindi chiedere di poter disporre di maggiore programmazione. La seconda richiesta riguarda la conoscenza di quali siano i comitati e discutere con gli altri consiglieri per capire se sono previsti altri organi e i loro calendari”.