Punti di vista

Monitorare i rischi della globalizzazione

La globalizzazione ha portato una stretta interconnessione delle economie di tutto il pianeta e ormai nemmeno la più piccola delle aziende locali può dirsi esente dai rischi geopolitici

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Nel corso dei secoli i popoli si sono spinti sempre più lontano per trovare occasioni di commercio. Fin dai tempi dei romani la via della Seta collegava occidente e oriente, così come la Via del Sale collegava l’Africa. A partire dal 1.500 lo sviluppo dei traffici marittimi oceanici ha creato sempre maggiore interdipendenza tra le economie di ogni luogo, una tendenza inarrestabile che è aumentata dopo la Seconda guerra mondiale. Con la fine della Guerra fredda, e in particolare con l’apertura al commercio della Cina, il fenomeno è cresciuto esponenzialmente.

Ormai è praticamente impossibile trovare un oggetto qualunque prodotto interamente in un solo luogo, i prodotti sono diventati sempre più complessi e i luoghi di produzione di ogni parte distribuiti in tutto il globo. Se ciò vale per la supply chain non è meno vero per quanto riguarda i mercati di destinazione. Proprio a causa dell’interconnessione, i prodotti finiti riprendono il viaggio per i luoghi da cui sono arrivate le materie prime e le parti che lo compongono. Tra il 1991 e il 2007, gli Stati Uniti sono diventati l’unica superpotenza, senza rivali in grado di sfidarli e la stabilità garantita da Washington ha permesso un rapido aumento della globalizzazione. Se tra il 1970 e il 1990 il KOF Globalisation Index, l’indice che misura il grado di globalizzazione, era aumentato da 37 a 43 (+16%), tra il 1990 e il 2010 è aumentato da 43 a 59 (+37%). Nel decennio successivo le spinte revisioniste di Russia e Cina hanno cominciato ad alterare il quadro internazionale rallentando l’incremento della globalizzazione. L’indice di KOF tra il 2010 e il 2020 è passato da 59 a 61, di appena il 3%.

Le cose sono peggiorate con la pandemia di Covid-19 del 2020, ma soprattutto con l’invasione russa dell’Ucraina del 2022. Da quel momento tanto le materie prime quanto i generi alimentari hanno cominciato ad essere utilizzati come armi da affiancare alla forza militare. Avere una visione dei potenziali rischi geopolitici non è più solo una necessità per aziende impegnate in costruzioni di infrastrutture in paesi poco stabili o in settori particolari come l’energia o la difesa. Il corollario dell’instabilità internazionale è la possibile interruzione della supply chain, con alti costi e difficoltà per trovare fonti di approvvigionamento alternative o la repentina chiusura di ricchi mercati, come la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Nella consapevolezza dell’impossibilità di incidere sugli eventi, l’azienda deve essere preparata a fronteggiare situazioni che possono emergere dalle crisi geopolitiche.

Il consiglio di amministrazione ha la responsabilità di comprendere non solo il contesto concorrenziale, tecnologico e macroeconomico, ma anche quello geopolitico. Prima è necessario coinvolgere il management in una disamina dei luoghi di provenienza diretti e indiretti dei propri acquisti, in modo da identificare i potenziali punti di debolezza. In seguito devono essere valutate le tensioni internazionali che possono sfociare in crisi con forte impatto sull’azienda. Per questo tipo di analisi sarebbe opportuno che il consiglio avesse al suo interno specifiche competenze, in modo da far emergere i rischi nell’ambito delle proprie discussioni, e in mancanza ricorresse a consulenti esterni in grado di tracciare un quadro specifico.

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