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Mercato, concorrenza e Modelli 231

I quindici anni che ci separano dall’entrata in vigore del D. Lgs. 231/2001 sono un tempo che comincia ad essere lungo a sufficienza per fare qualche riflessione sull’impatto che ha avuto sulle aziende e sul suo futuro. Il Decreto ha permesso di colmare

di Stefano Modena(*)

Introduzione

I quindici anni che ci separano dall’entrata in vigore del D. Lgs. 231/2001 sono un tempo che comincia ad essere lungo a sufficienza per fare qualche riflessione sull’impatto che ha avuto sulle aziende e sul suo futuro. Il Decreto ha permesso di colmare un vuoto normativo importante. Le società, infatti, sono diventate gli strumenti più sofisticati attraverso i quali vengono commessi i crimini. Il loro valore supera di gran lunga quelli commessi dalle persone fisiche, e quindi una norma che permettesse la loro repressione e punizione era indispensabile.

Cultura della legalità

Visto in prospettiva storica, si coglie decisamente meglio il legame con “Tangentopoli” e il terremoto politico, economico e giudiziario che ha comportato.
Nei primi anni ’90 molte aziende sono finite sotto processo per fatti corruttivi, la pratica era così diffusa che nel corso dei processi fu coniato il termine di “dazione ambientale”, per definire la prassi diffusa alla quale bisognava conformarsi per stare sul mercato. Sicuramente le persone oneste avevano molte difficoltà a rimanere tali e allo stesso tempo, al loro posto.
Viene da chiedersi, cosa sarebbe successo se il Decreto fosse già stato in vigore? Certamente quelle stesse persone avrebbero avuto qualche possibilità in più di evitare la commissione di reati, ma la differenza sarebbe stata soprattutto di natura culturale.
Visto a distanza di 25 anni, sembra che il D.Lgs. 231/2001 sia arrivato subito dopo Tangentopoli, e faccia parte del nostro sistema normativo da sempre. Possiamo dire che sia servito a debellare la piaga della corruzione? Sono in molti, inclusi quelli che indagarono allora, come Piercamillo Davigo, a sostenere che non sia cambiato niente, al massimo che il sistema sia sofisticato. Crediamo sarebbe riduttivo fermarsi a queste considerazioni. Dai tempi dei romani si è sempre parlato di corruzione, sicuramente anche prima, probabilmente se ne sa solo di meno. Sembrerebbe che il fenomeno sia connaturato all’agire umano e all’abuso di potere di chi, nelle organizzazioni complesse, deve controllare. Al Decreto bisogna comunque riconoscere il grande merito di aver contribuito alla crescita della cultura della legalità. La cultura, sia quella del singolo che quella aziendale, è la base per un corretto confronto delle imprese sul mercato, non falsato da pratiche illegali. Va poi ricordato che il catalogo dei reati si è arricchito in questi anni, andando ad incidere su molte fattispecie non diversamente imputabili alle aziende.

Sviluppo del risk management

Sappiamo bene come l’applicazione del Modello,231 in azienda non sia risultato semplice, proprio per come è stato scritto il Decreto. Da questo punto di vista, le Linee guida emesse dalle organizzazioni di categoria sono state la vera guida pratica. Questo lavoro ha permesso una profonda riflessione sull’argomento che si è poi trasposta nelle aziende. A prescindere da quanti reati abbia potuto evitare l’adozione dei Modelli 231, sicuramente ha portato la cultura e le tecniche del risk management.
Non si tratta di un risultato marginale, ma di una grande conquista per le organizzazioni in cui questo tema è sempre stato vissuto come specialistico o residuale. La diffusione, attraverso il Modello 231, di questa metodologia, sta diventando un asset strategico. Nell’attuale situazione di continua incertezza la possibilità di individuare, valutare e gestire i rischi è infatti un valore inestimabile, come avere la bussola mentre si naviga in una tempesta. Tra l’altro, con i migliori sistemi di risk managent, è possibile anche individuare nuove opportunità.

Utilità del modello e dei controlli

Ma serve davvero il Modello 231? L’opinione corrente e che la sua utilità sia molto bassa. Si tratta di un convincimento che nasce dall’osservazione della quantità di casi in cui è riuscito ad evitare sanzioni alle aziende indagate. Un ragionamento fortemente riduttivo che non tiene conto di quanti reati non sono stati commessi grazie al fatto che era stato adottato il Modello. L’introduzione e la razionalizzazione dei sistemi di verifica, il disegno di organizzazioni capaci di autocontrollarsi, l’incremento del senso etico, sono entrati nelle imprese e hanno prosperato anche grazie all’applicazione dei Modelli 231, che è stato soprattutto un agente di cambiamento culturale e di miglioramento dell’efficienza.
E’ difficile misurare quanto risparmio abbia portato, ma siamo sicuri che il bilancio sia ampiamente positivo.

Modelli per PMI

Fino ad ora i Modelli sono stati adottati soprattutto dalle grandi aziende. Cultura, risorse e soprattutto sensibilità hanno creato un divario, anche competitivo, tra queste due categorie. L’adozione del Modello 231 costituisce una grande occasione per strutturare le aziende più piccole e dotarle di sistemi di gestione che possono aiutarle a crescere. Non si tratta certo dello scopo principale, ma gli effetti non devono essere trascurati. Il fatto che i Modelli non siano differenziati sulla base delle dimensioni dell’azienda costituisce un limite all’applicazione nelle società più piccole.

Proposte per il futuro

Di recente è stata costituita dai Ministeri della Giustizia e dell’Economia e delle Finanze una Commissione di studio per la modifica del decreto legislativo n. 231/2001 con l’obiettivo di procedere ad una ricognizione del testo a quindici anni dalla sua entrata in vigore, al fine di formulare proposte di modifiche normative e rilanciare le politiche di prevenzione dei fenomeni di criminalità economica e distorsione del mercato. La decisione rende manifesta l’attenzione del Governo verso la messa a punto di strumenti legislativi di contrasto ad attività illegali che minano le corrette dinamiche di concorrenza.
Si tratta anche di un’occasione per introdurre nella norma quegli aspetti pratici sviluppati dall’esperienza di questi anni. I punti che dovrebbero essere rivisti sono, in primo luogo, la standardizzazione della Parte Generale, in modo da poter avere Modelli il cui valore esimente sia definito a priori, focalizzati sulla sostanza anziché sulla copertura di ogni possibile aspetto legale.
In secondo luogo dovrebbero essere definite in modo prescrittivo le modalità di mappatura e valutazione dei rischi. Si avrebbe così la ragionevole certezza di Modelli realizzati in modo personalizzato rispetto ai reali rischi 231 di ogni soggetto e strumenti concreti di messa a punto di sistemi di controllo in grado di evitare la commissione di reati e renderne particolarmente difficile l’aggiramento.
Da ultimo, dovrebbero essere definiti i contenuti minimi dell’attività dell’Organismo di Vigilanza.
L’esperienza di questi anni ha dettato una serie di regole pratiche che dovrebbero essere codificate. In particolare temi quali il numero di riunioni, le modalità di verbalizzazione dei lavori, il contenuto della relazione al Consiglio di Amministrazione aiuterebbero a dare certezza dell’operato degli OdV, sottraendo questi punti da un eventuale giudizio.

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(*) Stefano Modena, Managing Partner di Governance Advisors e membro dei Comitato Scientifico di Nedcommunity ([email protected]).


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