Editoriale

Le sfide future della corporate governance  

Viviamo anni di grandi trasformazioni che impongono un adeguamento del concetto di corporate governance e una nuova idea di capitalismo come è emerso nel corso del primo Forum annuale di Nedcommunity

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Le sfide future della corporate governance che sono emerse dal Forum Nedcommunity 2022 possono essere riassunte sotto tre titoli, che intersecano orizzontalmente i temi delle tre sessioni parallele del Forum: corporate purpose, composizione e funzionamento del board, remunerazione degli esecutivi.

Corporate purpose

1. Il corporate purpose esprime una delle principali funzioni del governo societario, che è ormai orientato non solo alla creazione di valore per gli azionisti, bensì anche alla creazione di valore sociale. Lo scopo dell’impresa si colora di sostenibilità ambientale e sociale ed incontra gli stakeholder. La riflessione sullo scopo dell’impresa si collega con quella sul capitalismo responsabile, che a sua volta riflette un nuovo umanesimo. Non solo il profitto, ma anche valori più alti guidano (o almeno dovrebbero guidare) i vertici delle imprese, l’insieme dei loro collaboratori e gli investitori istituzionali che attraverso l’engagement esercitano sugli emittenti una pressione nella direzione della sostenibilità.  

La trasformazione dello scopo dell’impresa è resa possibile dall’approccio dello Enlightened Shareholder Value (ESV). La creazione di valore azionario avviene in una dimensione temporale di medio-lungo termine, la quale consente all’impresa di tenere conto degli interessi dei principali stakeholder. Infatti, il soddisfacimento di tali interessi costituisce un presupposto indispensabile per il “successo sostenibile” dell’impresa come definito dal nuovo codice di autodisciplina delle società quotate. L’approccio dello ESV trova ulteriore ed interessante specificazione nella pratica dello shared value. L’innovazione tecnologica e quella organizzativa consentono alle imprese di massimizzare, in un numero crescente di situazioni, sia il loro valore economico sia quello sociale. Pensiamo ad un’impresa di trasporti che attraverso il rinnovamento dei propri veicoli in senso più ecologico riesca a ridurre tanto le emissioni di anidride carbonica a beneficio dell’ambiente, quanto i costi di esercizio incrementando l’utile. Pensiamo ancora ad un’impresa di servizi che, attraverso una serie di interventi in favore dei propri collaboratori diretti a migliorarne il trattamento economico ed il welfare complessivo, riesca a migliorare il clima aziendale e quindi ad accrescere la propria produttività e il livello di soddisfazione dei clienti. In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad incrementi sia del valore dell’impresa sia del valore sociale creato; secondo l’immagine proposta da Alex Edmans in Grow the Pie, aumenta la torta complessiva da dividere tra azionisti e stakeholder con beneficio per entrambe le categorie.

L’applicazione sempre più frequente dello shared value, grazie allo sviluppo tecnologico ed alle innovazioni organizzative, ci fa sperare che le imprese possano farsi carico di molte esternalità negative create sia rispetto all’ambiente che nei confronti della società. Ma dovremmo anche augurarci che, quando non sia possibile creare valore condiviso, i dirigenti dell’impresa muovano in favore della sostenibilità sotto la spinta di motivazioni etiche. Alcuni decenni di CSR ci confermano che la logica del profitto non deve permeare ogni azione imprenditoriale e che l’etica degli affari va rispettata anche a costo di minori profitti per l’impresa. In altri termini, la massimizzazione del valore azionario deve avvenire attraverso comportamenti conformi ai valori propri dell’impresa, agli standard etici di una determinata società ed a quelli riconosciuti a livello globale.

Sostenibilità

2. I consigli di amministrazione definiscono lo scopo dell’impresa facendo del governo societario una “governance of purpose”, secondo la felice espressione coniata da Colin Mayer in Prosperity. Essi inseriscono la sostenibilità nelle loro strategie, nella loro comunicazione e nelle attività di monitoraggio, tenendo conto dell’impatto delle attività aziendali sulle varie categorie di stakeholder. Come afferma il codice di autodisciplina delle società quotate, il successo sostenibile “guida l’azione dell’organo di amministrazione e … si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società”. La composizione dei consigli è dunque importante. I consiglieri devono essere, nel loro insieme, professionalmente competenti in relazione ai diversi capitali che l’impresa gestisce: finanziario, umano, naturale (ambiente), materiale e intellettuale (tecnologia), sociale (comunità). Una parte dei consiglieri devono anche essere indipendenti rispetto agli esecutivi ed agli azionisti di controllo. Questo requisito protegge non solo le minoranze azionarie, bensì gli stessi stakeholders che potrebbero essere danneggiati da conflitti di interesse degli esecutivi e degli azionisti di controllo.

In via generale, peraltro, i conflitti tra azionisti e stakeholders vanno risolti dal board nel suo complesso in un modo che contemperi gli interessi delle varie parti coinvolte, con una logica di massimizzazione del valore nel medio-lungo termine e nel rispetto di standard etici che in alcuni casi potrebbero far preferire gli interessi di certi stakeholders. Il che conferma l’importanza di un board professionale nella conciliazione dei diversi interessi coinvolti dall’impresa, come quelli di collaboratori, clienti e fornitori, oltre che degli azionisti. Troppo spesso in passato i consigli di amministrazione hanno seguito una logica esclusivamente finanziaria in favore degli interessi a breve termine degli azionisti, spinti anche dagli investitori istituzionali alla ricerca continua di rendimenti.

Per ottenere una composizione ottimale del board, i meccanismi della sua elezione sono importanti. La discussione sul voto di lista e sulla possibilità che il board presenti una propria lista lo conferma. La lista del board attribuisce al consiglio la regia della elezione di una parte dei propri membri e verosimilmente accresce le probabilità di nomina di membri competenti. Naturalmente è presente il rischio di conflitti di interesse, ma questo può verificarsi pure nella presentazione di liste da parte degli azionisti. Se il board ha la regia delle scelte, come avviene nella maggior parte dei Paesi, possiamo immaginare che i consigli siano composti in modo equilibrato che assicuri la presenza di tutte le competenze richieste nell’interesse sia degli azionisti che dei principali stakeholder. Il voto di lista assicurerà comunque un certo livello di indipendenza del board tutelando le minoranze azionarie secondo i meccanismi ben noti.

Remunerazione

3. La remunerazione degli esecutivi continua a far parlare di sé e in prospettiva pone nuovi temi e problemi. Anzitutto, il livello delle remunerazioni raggiunte dai vertici aziendali presenta con maggiore insistenza il tema della congruità delle stesse con le remunerazioni degli altri dipendenti. Se il rapporto tra remunerazione del CEO e remunerazione media nell’impresa è troppo sbilanciato, la coesione sociale in azienda risulta più difficile da conseguire, soprattutto nelle imprese in cui il capitale umano ha un ruolo molto rilevante e l’organizzazione tende ad essere orizzontale. Un divario eccessivo tra le remunerazioni del vertice e quelle del resto dell’azienda getta un’ombra sulla qualità della governance e potrebbe danneggiare la reputazione aziendale.

Inoltre, la sostenibilità merita considerazione anche a livello di incentivi dei dirigenti. Questo si verifica già nei piani di incentivo a lungo termine, visto che la massimizzazione del valore dell’impresa nel medio-lungo termine richiede che si presti attenzione, ad esempio, ai temi ambientali attraverso una gestione del rischio che aumenti la resilienza dell’impresa e ne riduca l’impatto sull’ambiente esterno. La logica del valore condiviso dovrebbe consentire a manager adeguatamente motivati di massimizzare il valore economico dell’impresa pur producendo valore sociale. Quando poi il board intenda focalizzare l’attenzione dei dirigenti su certi aspetti della sostenibilità, quale ad esempio la parità di genere tra i dipendenti, possono essere giustificati anche incentivi specifici. Questo accade in un crescente numero di casi nei quali una parte della remunerazione incentivante, generalmente intorno al 20 per cento, viene collegata ad obiettivi di sostenibilità ambientale o sociale.

Si tratta di un tema ancora controverso. Alcuni autori ed investitori istituzionali hanno criticato tale pratica dicendo che essa aumenta le remunerazioni complessive dei manager in valore con la scusa della sostenibilità, che spesso è difficile da misurare e quindi consente di camuffare incrementi retributivi che non sarebbero altrimenti giustificati. Altri difendono questa pratica affermando che essa consente di incentivare lo sforzo dei manager nei settori della sostenibilità che più interessano all’impresa. Le difficoltà di misurazione dei target sono in parte superabili e comunque richiedono maggiori controlli da parte dei board e dei loro comitati di remunerazione. Si tratta, in definitiva, di un tema sul quale le competenze professionali e l’indipendenza degli amministratori non esecutivi dimostrano, una volta di più, la loro importanza visti gli accresciuti margini di discrezionalità nei parametri di valutazione.

Le considerazioni appena fatte portano a sottolineare il ruolo del comitato remunerazioni che, come ha osservato Sandro Cattani, svolge sempre più spesso le funzioni di un comitato risorse umane. Visione che si concilia molto bene con la prospettiva della sostenibilità, la quale richiede di mettere a fuoco non solo il tema degli incentivi monetari della dirigenza, bensì anche quello delle motivazioni che possono indurre il vertice dell’impresa ed i suoi collaboratori a perseguire il corporate purpose nel modo migliore, secondo i criteri illustrati nella prima sezione di questo articolo.

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