Le azioni di sviluppo: opportunità e rischi per la governance
La riforma del diritto del 2003 ha aperto la possibilità di emettere categorie di azioni diverse dalle ordinarie e di creare, quindi, nuovi strumenti finanziari capaci di adattarsi meglio alle necessità delle imprese e del mercato. Questi strumenti finanziari agiscono regolando i diritti impliciti nelle azioni sulla base dell’interesse delle parti nel contesto economico e aziendale specifico del momento.Le azioni di sviluppo sono una categoria di azioni che risponde a questa necessità. Da un lato troviamo l’imprenditore, o il socio di riferimento, che pur avendo promettenti progetti, non può fare fronte autonomamente agli investimenti necessari; dall’altro gli investitori alla ricerca di impieghi redditizi. Gli investitori finanziari, d’altro canto, sono sensibili ai dividendi e al capital gain, più che alla gestione di cui raramente si occupano. La soluzione più ovvia sarebbe un aumento di capitale riservato al mercato. L’emissione di nuove azioni ordinarie, che contengono tutti i diritti patrimoniali e di voto, vengono viste come potenzialmente rischiose dall’imprenditore che rischia di rendere l’azienda contendibile. In quest’impasse l’azienda è condannata a perdere competitività. Le azioni di sviluppo, che possono essere emesse sia da società quotate che non quotate, possono aiutare a risolvere questo problema, consentendo di aumentare fino a 4 volte le risorse finanziarie. Infatti, partendo da una situazione di controllo totalitaria, con un aumento di capitale riservato a terzi con emissione di azioni ordinarie, la quota di maggioranza può scendere fino al 51%. Una nuova emissione di azioni di sviluppo, senza diritto di voto, di importo pari al capitale consente di raddoppiarlo. A questo punto l’azienda può ricorrere al credito e mantenendo lo stesso rapporto debt/equity può arrivare a disporre quasi il quadruplo delle disponibilità finanziarie iniziali, mentre l’’imprenditore mantiene il controllo con poco più del 25% del capitale. Le azioni di sviluppo vogliono consentire di far affluire capitale su progetti innovativi di lungo termine, offrendo maggiori dividendi ai possessori di questa categoria di azioni, escludendoli però dalla gestione. Fino a qui lo schema è molto simile a quello delle azioni privilegiate: la differenza sta nel fatto che gli investitori diventano veramente soci dell’imprenditore, finanziano cioè un progetto specifico, illustrato al momento della sottoscrizione. L’imprenditore continua a controllare la società con una quota di minoranza ma, in caso di passaggio di proprietà della quota di controllo, le azioni sviluppo si trasformano in azioni ordinarie con tutti i diritti. La conversione automatica tende a proteggere dai possibili abusi dell’imprenditore che, nel momento della cessione della propria quota, in fondo di minoranza, potrebbe disinteressarsi dei soci che l’hanno sostenuto nel processo di crescita. Questo meccanismo, seppure ben congegnato, non è sufficiente. L’evidenza viene dal fatto che pur essendo stato messo a punto da diversi anni, non è stato di fatto utilizzato. Eppure è palese che in momenti storici come quello che stiamo attraversando da diversi anni, è fondamentale far affluire ingenti capitali su progetti innovativi, tanto che sono nati anche fondi pubblici con questo specifico scopo. Altrettanto chiaro è che grandi progetti, che misurano le proprie necessità finanziarie nell’ordine di miliardi di euro, non possono essere finanziati dal singolo imprenditore o socio di riferimento. Le domande di fondo sono quindi, perché le azioni di sviluppo non hanno funzionato come collettore di fondi su progetti innovativi? Cosa bisognerebbe fare per farle decollare? Le possibili risposte riteniamo che siano da ricercare proprio nelle implicazioni sulla governance, in grado di apportare positive soluzioni su tre versanti: la partecipazione alle decisioni, il controllo dell’attività svolta, la partecipazione alla vita sociale. Troppo spesso infatti i diritti dei possessori di azioni ordinarie non sono stati rispettati in operazioni che hanno visto i soci di maggioranza essere trattati più generosamente rispetto agli altri. Come è possibile quindi pensare di arrivare ad essere i maggiori finanziatori dell’azienda, come categoria, e potersi accontentare del solo diritto di conversione obbligatoria delle azioni o di un maggior dividendo, non garantito, e deciso dagli altri soci? Queste debolezze implicite potrebbero essere mitigate consentendo a questi azionisti almeno di presentare una lista, e quindi avere un proprio rappresentante in consiglio e nel collegio sindacale. In questo modo si garantirebbe maggior trasparenza alle decisioni e maggior controllo sull’operato, mantenendo lo spirito di lasciare la gestione all’imprenditore e consentendogli di realizzare il progetto per cui ha richiesto i finanziamenti.
Un ulteriore punto di miglioramento potrebbe essere la possibilità di nominare un rappresentante comune per intervenire in assemblea, dove l’esclusione dal diritto di voto non dovrebbe precludere né la possibilità di ascoltare né quella di prendere la parola e contribuire positivamente alla conduzione della società.
Ulteriori miglioramenti potrebbero poi essere apportati attraverso la formalizzazione nello Statuto di presidî di governance in grado di assicurare i possessori di azioni di sviluppo sulla qualità della gestione. In particolare, visto che i finanziamenti vengono richiesti per effettuare investimenti, dovrebbe essere creato in seno al consiglio un comitato, del quale faccia parte un amministratore nominato dai possessori di azioni di sviluppo, che ne segua l’andamento, verifichi la tempistica, controlli i risultati ottenuti. Il comitato dovrebbe poi avere spazio nell’ambito dell’attività consiliare per relazionare sulle conclusioni e soprattutto su come affrontare le inevitabili differenze tra preventivo e consuntivo. Infine, dell’andamento dei progetti di sviluppo potrebbe essere data ampia informativa in bilancio.
L’insieme di queste azioni potrebbe contribuire a ridurre lo scetticismo e a far sentire gli investitori maggiormente tutelati rispetto al socio di controllo e quindi a partecipare ad un progetto di sviluppo confidando, non solo sulla buona fede dell’imprenditore, ma anche su meccanismi che, ben prima di arrivare al momento della conversione delle azioni in ordinarie, permetta di seguire, magari anche con passione, il proprio investimento.
Gli strumenti di governo efficace ed efficiente delle società esistono, ma vanno opportunamente studiati ed utilizzati. La governance della società è uno strumento dinamico che va utilizzato per sostenere l’azienda, deve essere un’opportunità e non un vincolo.
Le azioni di sviluppo possono costituire un ottimo banco di prova per coniugare le necessità di governo societario con l’incessante evolvere degli strumenti finanziari.
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