La trappola dei derivati negli enti locali
Intervista di Morganti a Corritore
Davide Corritore è Direttore Generale del Comune di Milano. Ha acquisito sul campo una grande esperienza sul tema dei derivati in capo agli enti locali, avendo condotto, prima dai banchi dell’opposizione, la battaglia contro i derivati sottoscritti dalle giunte di Albertini e Moratti e poi avendo dovuto gestire i derivati superstiti in capo alle finanze comunali. Ha accettato di rispondere alle domande di Franco Morganti, nostro coordinatore editoriale.
D. Da quando i Comuni italiani sono cascati nella trappola dei derivati? Non è stato lo stesso ministro Tremonti ad aprire e a chiudere successivamente la valvola? E adesso?
R. La trappola dei derivati ha origini ben precise, e cioè una circolare dell’allora neo Ministro Tremonti, che nel dicembre 2001 regolamentò definitivamente l’utilizzo dei derivati lasciando maglie larghissime. Tali da incentivare molte banche straniere a proporre un’offerta quasi seriale di prodotti derivati a centinaia comuni italiani che rimasero attratti dalla possibilità di utilizzare questi strumenti per generare liquidità immediata ma “artificiale”, perché da restituirsi nel tempo con l’aggiunta di rilevanti rischi finanziari. Ciò che in Inghilterra era stato vietato da dieci anni (e cioè l’utilizzo dei derivati da parte degli enti locali), fu consentito invece in Italia con così poche regolamentazioni da spingere un Comune su cinque a farne utilizzo.
D. Quali potrebbero essere i rimedi per evitare che soprattutto i piccoli Comuni restino vittime, col miraggio della liquidità, di pratiche aggressive delle banche
R. Quando in Italia è esploso il bubbone dei derivati, è stato bloccato l’uso di questi strumenti da parte degli enti locali in attesa di una circolare ministeriale correttiva che non è mai arrivata. Nel frattempo sono consentite solo operazioni per chiudere derivati esistenti. Il che è un vero paradosso: si sono aperte le porte quasi senza limiti, e ora sono chiuse da anni senza consentire ai comuni di ristrutturare le operazioni in essere per calibrare meglio i rischi. Il rimedio è un legislazione nuova, che consenta un uso dei derivati con l’esclusivo scopo di hedging, cioè di copertura dei rischi e senza altre finalità. Ad esempio, derivati sui tassi di interesse che neutralizzino i rischi di crescita dei tassi di interesse pagati sui mutui a tasso variabile.
D. L’Ufficio analisi quantitative della Consob, costituito nel 2007, aveva suggerito l’adozione di scenari probabilistici per valutare i rischi dei derivati, che poi la Consob ha accantonato, come spiegato dallo stesso presidente Vegas in un’audizione alla Camera il 25 ottobre 2012 adducendo come motivo al riguardo lo scarso rilievo della stessa Unione europea. Sarebbero utili questi scenari?
R. Certo che sarebbero utili, ed è una cosa che è mancata. Confrontare scientificamente diversi scenari, con il supporto di adeguate strumentazioni utilizzate in tutto il mondo, consentirebbe senz’altro di fare una valutazione più razionale sui rischi del futuro, superando la tendenza consolidata a immaginare che il futuro sia un presente proiettato nel tempo. Atteggiamento che costituisce il rischio più grave per chi ha a che fare con i mercati finanziari.
D. Si ha un’idea quantitativa dell’ammontare dei derivati in capo agli enti locali e più in generale al Tesoro dello Stato?
R. Secondo gli ultimi dati resi pubblici da Bankitalia, gli enti locali detengono un valore nozionale di circa 23 miliardi di euro, con perdite potenziali pari a oltre 6,5 miliardi di euro. Il numero delle operazioni in essere è sceso negli ultimi anni, ma colpisce naturalmente l’elevato rischio finanziario occulto che grava sui bilanci futuri dei comuni.
D: E come portare allo scoperto la gran massa di derivati scambiati direttamente fra banche, come quelli emersi dal caso Monte Paschi di Siena? Si parla di una clearing house, ma finora non c’è riuscito neppure Obama. Lei è più ottimista?
R. Io credo che il Governo futuro avrà anche la responsabilità di affrontare strutturalmente questa tematica, non solo con le commissioni di inchiesta, ma con soluzioni che consentano di affrontare strutturalmente il problema. Ci vuole una nuova legislazione per il futuro, ma soprattutto un’operazione di assoluta trasparenza sulle operazioni in essere e una forte presa in carico del problema da parte delle istituzioni centrali. Credo cioè che si dovrebbe creare un organismo ad hoc al quale gli enti locali possano affidarsi per trovare soluzioni con il sistema bancario. Anche perché il potenziale operativo di un ente centrale che operi per conto di tutti accrescerebbe senz’altro la possibilità si gestire al meglio la valutazione dei rischi e la relazione con il sistema bancario. Intendo dire, insomma, che i comuni non possono essere lasciati soli a gestirsi il problema perché il tema è troppo complesso e il rischio è che il tema dei derivati venga tenuto in naftalina o gestito pensando solo a contenziosi giudiziari.