Dura lex

La “sostituzione” degli amministratori di società quotate cessati in corso di mandato: voto di lista, principio maggioritario

L’appena passata stagione delle assemblee di approvazione del bilancio ha fatto sì che tornassero attuali (come ciclicamente accade) le riflessioni sul voto di lista e sulla problematica “sostituzione” degli amministratori – di minoranza e non – di società quotate decaduti in corso di mandato.

Il tema, come si è avuto modo di anticipare, concerne le modalità di sostituzione di uno o più membri del consiglio di amministrazione a seguito della cessazione dalla carica (per qualsivoglia ragione) prima della scadenza del termine del mandato nelle società quotate che per legge sono soggette alla disciplina del voto di lista. Ci si interroga, infatti, se la sostituzione dell’amministratore cessato debba avvenire con il meccanismo del voto di lista previsto dall’art. 147 ter del d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (di seguito il “TUF”) ovvero se si debbano prendere in considerazione diverse discipline, quali quelle contenute nello statuto (ossia il codice organizzativo e contratto sociale vigente tra i soci ed efficace verso terzi) o il criterio generale del diritto societario del voto secondo principio maggioritario.

Per quanto concerne la disciplina codicistica, l’art. 2386 c.c. prevede – nell’eventualità in cui uno o più membri del consiglio di amministrazione cessino anzitempo dalla carica rispetto alla naturale durata del loro mandato – due diverse modalità di sostituzione: i) quando la maggioranza dei consiglieri rimasti in carica sia sempre costituita da amministratori nominati dall’assemblea (che è l’organo che ha la prerogativa esclusiva in tema di noma dei membri dell’organo gestorio), tale maggioranza provvede a sostituire l’amministratore o gli amministratori cessati «con deliberazione approvata dal collegio sindacale», in tal caso la norma dispone che gli amministratori cooptati rimangono in carica, salvo loro conferma, sino alla prima assemblea dei soci successiva alla nomina per cooptazione; mentre ii) quando viene meno la maggioranza degli amministratori nominati dall’assemblea, quelli rimasti in carica «devono convocare l’assemblea perché provveda alla sostituzione dei mancanti».

La cooptazione, rappresentando un rimedio temporaneo e pratico che non può togliere la competenza assembleare della nomina dei consiglieri prevista dall’art. 2364, comma 1, n. 2, c.c., permette di raggiungere un punto di equilibrio tra l’esigenza di mantenere il rapporto fiduciario che si instaura tra amministratori e soci e l’esigenza di non sovraccaricare la vita sociale con l’obbligo dell’immediata convocazione dell’assemblea ogniqualvolta dovesse venire meno un amministratore.

L’art. 2386, comma 4, c.c. prevede inoltre la possibilità che lo statuto contenga la cd. clausola simul stabunt simul cadent, vale a dire quella disposizione per cui la cessazione di taluni amministratori determina la decadenza dell’intero organo amministrativo; in tal caso i consiglieri rimasti convocano d’urgenza l’assemblea dei soci affinché sia ricostituito il consiglio di amministrazione. In alternativa, ai sensi dell’art. 2386, comma 5, c.c., lo statuto potrà anche prevedere una clausola simul stabunt simul cadent che determini la cessazione immediata (e non successiva alla ricostituzione del consiglio di amministrazione) di tutti i consiglieri, con conseguente convocazione d’urgenza dell’assemblea da parte del collegio sindacale, al quale spetterà medio tempore l’ordinaria amministrazione della società.

Analizzata per sommi capi la disciplina generale contenuta nel codice civile in tema di sostituzione degli amministratori, si rende ora necessaria l’esame della specifica normativa di cui al d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 dettata per le società quotate in materia di nomina del consiglio di amministrazione.

L’art. 147-ter del TUF, nell’intento di rafforzare nelle S.p.A. con azioni quotate in mercati regolamentati e rendere più efficace la tutela del risparmio investito in strumenti finanziari dispone che lo statuto preveda sistemi di elezione dei componenti del consiglio di amministrazione fondati sul cd. “voto di lista” e codifica quale nuovo ed ulteriore principio generale proprio delle società quotate quello per cui, anche l’organo amministrativo, oltre all’organo di controllo, possa essere espressione delle “diversità” della compagine sociale.

La norma non impone che in ogni consiglio di amministrazione di società quotata sieda almeno un consigliere di “minoranza”, bensì offre in astratto tale facoltà/diritto del socio di minoranza, essendo il risultato dell’elezione di un candidato dalla minoranza, comunque subordinato alla circostanza che in concreto gli azionisti di minoranza si “organizzino” per presentare una o più liste di propri candidati.

Si precisa poi che la norma lascia al contempo ampio spazio all’autonomia statutaria per disciplinare analiticamente le precipue modalità di presentazione delle liste, tra cui, i termini, i luoghi di pubblicazione delle liste ed i requisiti di legittimazione, con l’unico limite della soglia minima di capitale rappresentato dai soci presentatori, che non può essere fissata dalla statuto in una percentuale superiore al quarantesimo del capitale sociale (2,5%) o alla diversa misura stabilita dalla consob (tenuto conto della capitalizzazione, del flottante e degli assetti proprietari delle società quotate).

L’art. 147-ter TUF – concernente l’ipotesi della nomina dell’intero consiglio di amministrazione – non fornisce alcuna indicazione per poterne dedurre un’applicabilità anche in ipotesi di sostituzione di uno o più consiglieri cessati. Tale lacuna ha fatto quindi sorgere la discussione se in tali casi – in assenza di norme statutarie al riguardo – sia applicabile, oltre la cooptazione di cui all’art. 2386 c.c., il sistema del voto di lista ai sensi dell’art. 147-ter TUF o, invece, il principio maggioritario (ferma restando la competenza dell’assemblea).

Mentre il ricorso al meccanismo del voto di lista tutela evidentemente gli interessi della minoranza, il ricorso al principio maggioritario consente di non sovraccaricare quelle che sono le attività ed i costi connessi alla sostituzione dell’amministratore o degli amministratori.

Nello specifico, in assenza di soluzione normativa espressa ed in assenza di previsione statutaria espressa, la dottrina ha individuato diverse possibili soluzioni, fra loro alternative: 

secondo l’orientamento maggioritario si applicherebbe il principio del voto maggioritario senza necessità alcuna di individuare il sostituto fra i non eletti di cui alla lista di minoranza; secondo altra dottrina, il “nuovo” amministratore dovrebbe essere individuato con le maggioranze ordinarie nell’ambito dei canditati proposti con la stessa lista dalla quale era stato scelto l’amministratore cessato (sia esso derivante da liste di minoranza o maggioranza);

secondo un’altra tesi, il voto di lista troverebbe sempre applicazione (ciò anche in caso di cessazione dalla carica in corso di mandato): a sostegno di tale tesi si è ragionato anche in termini di analogia con quella che è la disciplina della sostituzione dei sindaci cessati in corso di mandato di cui al TUF e alla normativa di attuazione Consob (cfr. artt. 148, comma 2, TUF e 144-sexies del Regolamento Emittenti);

secondo un diverso orientamento, la cessazione del consigliere di minoranza comporterebbe la decadenza dell’intero consiglio, come se si fosse in presenza di una clausola simul stabunt simul cadent, con la conseguente nomina di un nuovo consiglio secondo il sistema del voto di lista ai sensi dell’art. 147-ter TUF.

Alla luce di quanto precede, se, in mancanza di un’espressa clausola statutaria deve ritenersi applicabile il principio maggioritario è vero anche che lo statuto può sicuramente disciplinare diversamente la sostituzione degli amministratori cessati, specie allo scopo di rafforzare la tutela delle minoranze sottesa al meccanismo delle liste di cui all’art. 147-ter TUF. In tal senso gli statuti potrebbero prevedere una clausola simul stabunt simul cadent(imponendo, a questo punto, il ricorso al sistema del voto di lista per il rinnovo dell’intero consiglio), ovvero un meccanismo di cooptazione “vincolata” finalizzata alla nomina (non meramente temporanea come nella cooptazione di cui all’art. 2386 c.c.), qualora fosse possibile, degli altri candidati non eletti della lista di minoranza dalla quale era stato scelto l’amministratore cessato, oppure tramite un’automatica sostituzione del cessato con il primo soggetto disponibile dei non eletti della lista medesima (una delle previsioni più comuni degli statuti delle società quotate che hanno scelto di prevedere di regolare espressamente tale vuoto normativo).

In considerazione del fatto che sono ancora molte le società quotate italiane che non regolando statutariamente la sostituzione dell’amministratore cessato in corso di mandato, si trovano frequentemente ad affrontare tale delicata (e per un certo profilo onerosa, in termini di tempo e costi) questione e non avendo la presunzione di poter offrire una soluzione incontrovertibile della problema, non si può che rammentare come le società possono sempre, nell’ambito della propria autonomia regolamentare prevedere una disciplina ad hoc che tenga conto delle varie ed eventuali “patologie” connesse al paradigma del “voto di lista”.

Quindi, ora che le società con azioni quotate in mercati regolamentati sono chiamate a mettere mano ai propri statuti per conformarsi alle novità introdotte e, se del caso, per cogliere le opportunità messe a disposizione dal d. lgs. 27 gennaio 2010, n. 27 “Attuazione della direttiva 2007/36/CE, relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate”, le stesse potrebbero profittarne anche per prevedere statutariamente una disciplina compiuta della sostituzione degli amministratori cessati anzitempo. 


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