Punti di vista

La nuova normativa UE in materia di CG

Basilea 3

Il 27 giugno 2013 sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il Regolamento (UE) n. 575/2013 e la Direttiva 2013/36/UE, con i quali l’Unione Europea ha dato attuazione agli accordi di Basilea del 2010 (Basilea 3) in materia di vigilanza e disposizioni prudenziali per le banche e le imprese di investimento.

La Direttiva contiene, tra l’altro, una sezione di disposizioni dedicate ai “Dispositivi di governance” degli enti vigilati (Sezione II, Sottosezione 3, articoli 88-96), che la Direttiva riconosce come cruciali al fine di garantire una gestione prudenziale e un corretto presidio dei rischi.

In particolare, le carenze dei sistemi di governance degli intermediari sono indicate quale fattore determinante della crisi sia a livello di singola impresa, sia a livello di sistema: “le carenze del governo societario in una serie di enti hanno contribuito ad una assunzione di rischio eccessiva e imprudente nel settore bancario che ha portato al fallimento di singoli enti e a problemi sistemici negli Stati membri e a livello mondiale” (considerando 53). A tale riguardo, nel medesimo considerando, si rileva che “le disposizioni estremamente generali sulla governance degli enti e la natura non vincolante di una parte consistente del quadro sul governo societario, basato essenzialmente su codici di condotta volontari, non hanno facilitato in maniera sufficiente l’attuazione efficace di prassi solide in materia di governo societario da parte degli enti”, e che “il ruolo non chiaro delle autorità competenti nella sorveglianza sui sistemi di governo societario degli enti non ha permesso una vigilanza sufficiente sull’efficacia dei processi interni di governance”.


L’Organo di gestione

Dato il punto di partenza, l’intervento normativo si concentra, essenzialmente, su due aspetti: (i) funzione, composizione e articolazione interna dell’organo di gestione, e (ii) remunerazione dei componenti dell’organo di gestione e del personale la cui attività è suscettibile di avere un impatto sul profilo di rischio dell’ente.

Quanto al primo aspetto, la Direttiva (art. 88) dispone anzitutto che l’organo di gestione definisca dispositivi di governance che assicurino un’efficace e prudente gestione dell’ente, ne sorvegli l’attuazione e ne risponda. In particolare, spettano all’organo di gestione, tra l’altro: la responsabilità generale dell’ente e l’approvazione e la sorveglianza in continuo sull’attuazione degli obiettivi strategici, della strategia in materia di rischi e della governance interna; la garanzia dell’integrità dei sistemi di contabilità e di rendicontazione finanziaria; la sorveglianza del processo di informativa e della comunicazione; la sorveglianza sull’alta dirigenza; nonché l’adozione dei principi generali della politica di remunerazione, di cui si dirà più avanti.

Quanto alla composizione, la Direttiva (art. 91) detta una serie di disposizioni di rilevante dettaglio in materia di requisiti e caratteristiche dei singoli componenti. Anzitutto, oltre a ribadire la necessità del possesso dei requisiti di onorabilità, la Direttiva dispone che i membri dell’organo di gestione “possiedono le conoscenze, le competenze e l’esperienza necessarie per l’esercizio delle loro funzioni”. In secondo luogo, gli amministratori “dedicano tempo sufficiente all’esercizio delle loro funzioni in senso all’ente”: in questo ambito, la Direttiva prevede un limite secco al cumulo degli incarichi, disponendo che, come regola generale (e salvo alcune eccezioni specificate nel testo), i membri dell’organo di gestione degli enti significativi per dimensioni, organizzazione interna e per la natura, ampiezza e complessità delle loro attività, possono cumulare soltanto (i) un incarico di amministratore esecutivo e due di amministratore non esecutivo, oppure (ii) quattro incarichi di amministratore non esecutivo. 

In terzo luogo, la Direttiva dispone che “ciascun membro dell’organo di gestione agisce con onestà, integrità e indipendenza di spirito che gli consentano di valutare e contestare efficacemente le decisioni dell’alta dirigenza, se necessario” e comunque di controllarne l’operato. 

Gli Stati membri “impongono” agli enti di attenersi a un’ampia gamma di qualità e competenze nella selezione dei membri dell’organo di gestione e di promuovere una politica che promuova la diversità in seno all’organo stesso. Sul punto, la Direttiva impone comunque che gli enti significativi istituiscano in seno all’organo di gestione un comitato per le nomine, formato da amministratori non esecutivi, con penetranti funzioni istruttorie e consultive in materia di composizione dello stesso organo di gestione nonché in materia di selezione e nomina dell’alta dirigenza. Il comitato, tra l’altro, “tiene conto, per quanto possibile e su base continuativa, della necessità di assicurare che il processo decisionale dell’organo di gestione non sia dominato da un singolo o da un gruppo ristretto di persone in un modo che pregiudichi gli interessi dell’ente nel suo insieme” (art. 88).

La politica di remunerazione

Sotto il profilo della remunerazione, la Direttiva contiene una serie nutrita e articolata di disposizioni. Sul piano dei principi, la politica di remunerazione deve riflettere e promuovere una gestione sana ed efficace del rischio e non deve incoraggiare rischi superiori al livello tollerato dall’ente, e deve essere in linea con “gli obiettivi, i valori e gli interessi di lungo termine dell’ente” e comprendere misure contro i conflitti di interesse. La remunerazione del personale con funzioni di controllo, poi, deve essere conforme agli obiettivi delle funzioni stesse e indipendente dai risultati degli ambiti dell’impresa soggetti al loro controllo. La politica di remunerazione, inoltre, deve in generale prevedere criteri che distinguano chiaramente tra una componente fissa di base che dovrebbe riflettere l’esperienza professionale e le responsabilità assegnate, e una componente variabile che rifletta le “prestazioni sostenibili e corrette per il rischio e le prestazioni che vanno oltre il lavoro richiesto per rispondere alla descrizione delle funzioni” (art. 92). Specifici principi sono poi previsti con riferimento alla componente variabile della remunerazione (art. 94), tra cui: la remunerazione variabile deve essere commisurata ai risultati sia individuali sia generali, e i risultati devono essere valutati in un quadro pluriennale; la remunerazione variabile “garantita” è eccezionale e tendenzialmente non conforme a una sana gestione del rischio. Inoltre, il mix tra fisso e variabile deve essere tale da consentire di modulare effettivamente la componente variabile della remunerazione fino al limite di non riconoscerne alcuna. I membri del personale “sono tenuti a impegnarsi a non utilizzare strategie di copertura personale o assicurazioni sulla remunerazione e sulla responsabilità volte ad inficiare gli effetti di allineamento al rischio insiti nei loro meccanismi di remunerazione”.

Infine – per limitarsi alle disposizioni che paiono più rilevanti – negli enti significativi, la Direttiva impone la presenza all’interno dell’organo di gestione di un comitato per le remunerazioni con il compito di preparare le decisioni in materia di remunerazioni. Di interesse la previsione per cui nell’elaborazione di tali decisioni il comitato deve tenere conto, oltre che degli “interessi a lungo termine degli azionisti, degli investitori e di altre parti interessate dell’ente”, anche “dell’interesse pubblico” (art. 95).


L’impatto sulla governance

Molte altre disposizioni della Direttiva meriterebbero analisi e commento, ma dati i vincoli di spazio mi pare piuttosto utile abbozzare qualche spunto per la comune riflessione.

Sul fronte dell’impatto delle singole disposizioni della Direttiva in materia di governance, in sé e per sé considerate, la Banca d’Italia ha rilevato, nel primo documento di consultazione sull’attuazione della Direttiva (pubblicato nell’Agosto 2013), come il quadro normativo interno sia già in grandissima parte compliant con le nuove disposizioni (che, peraltro, anche a livello europeo sono per alcuni profili specificazione di norme già esistenti).

Su un piano più generale, il crescente intervento imperativo della legge sul disegno della governance (di cui la Direttiva è evidente esempio) sottolinea la necessità di ripensare, almeno in parte, alcuni dei punti di riferimento sui quali, per lungo tempo, si è basato il dibattito in materia di governance, e soprattutto il ruolo dell’autoregolamentazione e dei meccanismi di mercato nella selezione delle pratiche di buon governo delle imprese (anche finanziarie). Aspetto specifico è quello del ruolo dell’autodisciplina: di fronte ad un legislatore che entra, con norme in gran parte imperative, nella disciplina anche minuta di aspetti quali il mix di competenze all’interno dell’organo gestorio, o che arriva ad imporre per legge il possesso di requisiti come “l’indipendenza di spirito”, quale ruolo resta alla best practice? E infine – ma non in ordine di importanza – quali ripercussioni ha una impostazione normativa di questo tipo sul piano dell’applicazione e dell’enforcement? Ad esempio, come si riverberano norme come quelle che ho sopra elencato sulla disciplina della responsabilità degli amministratori?

Il dibattito è aperto.


© RIPRODUZIONE RISERVATA


  • Condividi articolo:
button up site