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La Natura entra nei board

Dopo il cambiamento climatico anche la biodiversità diventa centrale nella corretta pianificazione strategica delle aziende. Una sfida che vede coinvolti, in primo luogo, i cda e i suoi amministratori. Il valore del nuovo framework TNFD

Integrare le considerazioni sulla natura nei framework di governance e nella supervisione in carico ai consigli di amministrazione. È questa la nuova frontiera per modelli di business sostenibili e resilienti secondo i partecipanti a un convegno organizzato da ChapterZero Italy – The Nedcommunity Climate Forum e da Deloitte. Per gli esperti riunitisi il 19 novembre a Milano, come emerge dall’ultima COP16 sulla biodiversità di Cali, in Colombia, la protezione della natura è centrale esattamente come sta accadendo per il cambiamento climatico: in entrambi i casi, infatti, si pongono rischi ma anche grandi opportunità di business.

Per questo motivo i consigli di amministrazione sono chiamati a svolgere un ruolo proattivo affinché anche la natura sia inserita a pieno titolo nella pianificazione strategica. Una sfida non di poco conto come ha sottolineato Stefano Pareglio, presidente Deloitte Climate & Sustainabilityper il quale si notano già degli evidenti passi in avanti in questa direzione come l’adozione della TNFD, una “disclosure, al momento del tutto volontaria proprio su questi temi”. Per Pareglio è immaginabile che i board affronteranno il tema della natura in maniera sempre più stringente: per tale motivo, esattamente come è accaduto per il clima, saranno necessarie metriche adeguate fermo restando che l’impatto su un territorio è difficile da misurare.

Il framework TNFD

La disclosure di cui parla Pareglio è basata sul framework TNFD, Taskforce on Nature-related Financial Disclosures, una serie di raccomandazioni e linee guida in materiadi informativa che incoraggiano e consentono alle aziende e alla finanza di valutare, segnalare e agire sulle loro dipendenze, impatti, rischi e opportunità correlati alla natura. Al momento, come ha spiegato nel suo intervento Daniele Strippoli, partner Climate & Decarbonization, Nature, Circular Economy at Deloitte Climate & Sustainability,nel corso della presentazione del report Nature in the boardroom realizzato con UNEP FI, 502 aziende e istituzioni finanziarie hanno ora aderito al framework con un aumento del 57% rispetto a gennaio 2024.

Anche Strippoli ha ribadito la necessità di poter contare su adeguati strumenti di misurazione ricordando nel corso della presentazione che il WBCSD (World Business Councilfor SustainableDevelopment) sta guidando un’iniziativa per semplificare la misurazione e la rendicontazione dell’impatto delle imprese sulla natura, che culminerà con il lancio di un Nature Metrics Portal user-friendly alla COP30, nel novembre 2025.

Del resto, mettere la natura al centro delle proprie strategie conviene, anche, se non soprattutto, dal punto di vista economico: si pensi che secondo il WEF, il World Economic Forum, circa 44 trilioni di dollari, pari al 50% cento del Pil mondiale, sono moderatamente o altamente dipendenti dalla natura. Inoltre, più del 7% del Pil mondiale ogni anno viene perso a causa del cambiamento dell’uso del suolo e del suo progressivo degrado. Eppure, come ha spiegato Strippoli meno dell’1% delle aziende sanno quanto le loro attività dipendano dalla natura e dai sistemi ecosistemici che essa fornisce mentre meno del 5% hanno valutato come le loro operazioni impattino sulla natura e sulla biodiversità.

Consigli di amministrazione al centro

La chiave di tutto diventa allora la corretta comprensione: identificando, valutando e gestendo in modo proattivo le dipendenze, gli impatti, i rischi (e le opportunità) legati alla natura, le aziende possono prepararsi a fare engagement con gli investitori istituzionali e ai requisiti regolatori e normativi imminenti, pianificando azioni prioritarie che riducano gli impatti negativi sulla natura e gestendo in modo resiliente le dipendenze lungo tutta la catena del valore. Una strategia che deve necessariamente essere guidata dal board. Il cda, dal suo canto, è chiamato ad avere una capacità di analisi accurata e specifica di come l’impresa si interfaccia con la natura e deve poter contare su figure adeguatamente competenti.

Secondo Manuela Macchi, componente dello Steering Committee Chapter Zero Italy e associata Nedcommunity, dal 1970 al 2020 abbiamo assistito a una grande perdita di biodiversità. Un dato emerge chiaramente: se confrontiamo queste evidenze con quelle del global warming notiamo un certo livello di correlazione. Sono, infatti, chiare le prove che il cambiamento climatico porta al degrado della natura (scioglimento ghiacciai, impoverimento foreste, etc), riducendo la capacità di quest’ultima di sequestrare il carbonio (leva importante per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi).

Anche secondo Macchi in questo scenario i board devono trattare il tema della natura e adottare il framework TNFD basato sul rispetto di principi del WEF quali accountability, inclusione di competenze diverse nel board, buona frequenza di discussione di questi temi, integrazione nella strategia e nelle remunerazioni, disclosure & reporting e scambio tra peer.Non solo in chiave di risk management ma anche per sfruttare le numerose opportunità che sono a portata di mano. Si pensi alla possibilità di entrare in nuovi mercati grazie all’agricoltura rigenerativa, alla creazione di nuovi prodotti e al contenimento di costi. La transizione verso modelli di business a minor impatto sulla natura può portare vantaggi economici per oltre 10 trilioni di dollari e 395 milioni di posti di lavoro a livello globale entro il 2030.

Il punto di vista delle aziende

La natura, secondo quanto dichiarato da Enrico Maria Bignami, membro del Comitato di Controllo sulla Gestione di Masi Agricola e associato Nedcommunity, partecipante della tavola rotonda moderata da Roberto Race, senior advisor Comunicazione e Relazioni Istituzionali di Deloitte, , deve essere considerataun nostro stakeholder “perché se io voglio avere un’azienda che sta sul mercato il più a lungo possibile devo essere in generale sostenibile. Come ned il mio obiettivo è di fare in modo che l’azienda abbia, partendo dal vertice, un’attenzione spasmodica alla natura”.

Esattamente come deve avvenire da parte degli investitori istituzionali. Severine Nervoort, Global Policy Director – Sustainability, Governance and Stewardship ICGN, NED Banca Popolare di Sondrio ha spiegato che “i rischi legati alla natura sono molto importanti per chi investe a lungo termine perché diventano rischi finanziari e sistemici”. Ma gli investitori istituzionali come possono mitigarli? Disinvestire è un’opzione ma non è la preferita: altro strumento è lo stewardship per spingere le società investite verso pratiche più sostenibili.

Valentina Zadra, presidente del consiglio di amministrazione di Alternative Capital Partners SGR, e associata Nedcommunity, ha ribadito cheil punto di vista del private capital è molto diverso da quello degli istituzionali per la prossimità alle aziende in cui investono e per la capacità di accompagnarle passo dopo passo nella valorizzazione dell’elemento natura. Zadra ricorda che nel mercato italiano la maggior parte dei gestori dichiara di aver costituito almeno un fondo che si occupi di attività nature positive, c’è quindi una richiesta che sta evolvendo in quella direzione.

Anche le imprese finanziarie devono e possono diventare protagoniste di questo cambio di prospettiva. Per Annapaola Negri-Clementi, socio Studio Pavesio e Associati with Negri-Clementi, ned al Monte Paschi di Siena, e membro del Comitato Scientifico di Nedcommunity, la protezione della natura e la lotta contro i cambiamenti climatici diventano priorità fondamentali anche per le aziende finanziarie che mediante gli investimenti possono indirizzare i capitali a favore di progetti che tutelino la natura e i suoi equilibri mitigando i rischi connessi e sviluppando le relative opportunità, garantendo così resilienza al suo modello di business e a quello delle aziende finanziate e agli ecosistemi. Le aziende finanziarie dovranno seguire l’approccio in parte già sviluppato sul tema del cambiamento climatico, a cui in questa prima fase si è data priorità a livello globale, con le dovute differenze legate alle caratteristiche del tema della natura. Questo approccio non potrà che essere progressivo, proporzionato e pragmatico vista la complessità della materia e la pressante esigenza di creare consapevolezza, competenze e diffusione degli impatti/rischi e opportunità legati a tali temi.

L’importante, spiega Silvia Stefini, chair Chapter Zero Italy, consigliere indipendente e associata Nedcommunity è capire il contesto specifico in cui la propria azienda opera.  E per farlo ci vuole un cda “capace di guardare il flusso di informazioni con distacco e di individuare quello che è davvero rilevante”.

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