La meritocrazia salverà il Paese
Roger Abravanel, ospite del primo appuntamento di “Due punti sulla nuova governance” moderato da Maria Pierdicchi, indica la direzione per la nascita di un nuovo capitalismo
Getty ImagesNanismo dell’impresa, scarsa meritocrazia, un sistema universitario ingessato e un diffuso clima di sfiducia dominante. Sono questi i mali di un Paese, l’Italia, che stenta a ritrovare se stesso, il suo dinamismo, la strada per la crescita e che, in breve, rischia di sprecare le grandi opportunità offerte da un cambiamento epocale accelerato anche dalla pandemia di Coronavirus. Il primo appuntamento con la nuova rubrica di Nedcommunity curata al presidente Maria Pierdicchi dal titolo Due punti sulla nuova governance, è partita dal saggio dell’ospite Roger Abravanel, Aristocrazia 2.0. Una nuova elite per salvare l’Italia, per analizzare in maniera critica gli ostacoli allo sviluppo del Paese e per cercare di evidenziare come una delle soluzioni sia interna proprio alle aziende e passi attraverso una buona governance e un ruolo sempre più centrale dei consiglieri indipendenti.
UN POTERE DA PRIVILEGIATI
Roger Abravanel nel suo saggio ricorda che se in passato, nell’antica Grecia, il termine aristocrazia indicava il “governo dei migliori”, nel tempo questa definizione si è trasformata passando a indicare il “potere dei privilegiati”, soprattutto per nascita. L’Italia di oggi soffre proprio per la presenza di questa cattiva aristocrazia responsabile del suo cronico impoverimento.
Le nostre imprese hanno bisogno del capitale umano selezionato e formato necessario per sfruttare e realizzare la transizione da economia industriale a post industriale e poi all’economia della conoscenza che oggi è accelerata dalla pandemia. Per questo più che mai si sente il bisogno di una nuova aristocrazia del talento e dell’istruzione, presente da tempo nel mondo anglosassone ma anche in Asia, che crei per i giovani migliori e concrete opportunità di crescita per se stessi e la nostra società. In breve abbiamo bisogno di un’Aristocrazia 2.0.
“Ma da noi – spiega Abravanel nel corso del webinar – la meritocrazia non è mai decollata davvero: siamo il Paese con meno laureati in Europa, siamo privi di veri incentivi al talento e all’istruzione. Le nostre Università si sono chiamate fuori dalla competizione globale del sapere. Infine l’Italia è gravata da una burocrazia che strangola lo sviluppo per colpa di un’atavica paralisi decisionale e di una forte sfiducia nello Stato e da un potere giudiziario che deve essere più responsabile nei confronti dei cittadini. Abbiamo bisogna dell’Aristocrazia 2.0, mentre siamo fermi a un’aristocrazia 1.0 nella quale i legami famigliari e amicali sono preminenti”.
UNA SFIDA DA VINCERE
Non a caso Abravanel sottolinea come la sfida che l’Italia oggi è chiamata a vincere, pena il rischio di “un’ecatombe di imprese da un lato e del ritorno di un forte statalismo dall’altro” è quella della crescita dimensionale delle aziende e della loro apertura al mondo. “In questa fase sono proprio queste aziende che stanno aumentando il loro peso e potere. Sono loro che vincono nell’economia della conoscenza. Chi ci ha portato il vaccino sono stati dei colossi. Il capitalismo famigliare che conosciamo, invece, rappresenta un freno se non è in grado di inserire il giusto management, anche esterno, nell’azienda, unico modo per crescere e diventare grandi. Siamo di fronte a una grande opportunità: dobbiamo sfruttare il post Covid e il Recovery Fund per far nascere un nuovo capitalismo. Il paradigma italiano, legato alle piccole imprese è inadeguato a farlo, ecco perché abbiamo bisogno anche di una governance con la G maiuscola. Sono convinto che l’economia della conoscenza necessiti di board competenti che, grazie anche alla presenza dei consiglieri indipendenti, siano in grado di indirizzare il management verso il cambiamento. Un obiettivo raggiungibile nella misura in cui si faranno proprie quelle che chiamo “5 C”: compliance, controllo, coach dell’ad, contribute, challenge”.
IL RUOLO DEI NED
Un concetto ribadito anche da Pierdicchi che rivendica per i consiglieri indipendenti un ruolo centrale e strategico nel quale “i ned siano in grado di osare, di avere il coraggio di mettere in discussione modelli di business obsoleti e dannosi”. Per realizzare questo obiettivo, però, è necessario “arruolare giovani preparati a fare parte di questa nuova aristocrazia, preparati e dotati di adeguati soft skills che mettano al centro in particolare il lavoro di gruppo e che, ovviamente, siano adeguatamente compensati per il tempo che dedicano al lavoro nel cda. Siamo chiamati a investire in queste risorse e a fare in modo che attraverso un sistema meritocratico possano cambiare l’attuale sistema di valori”.
In questo senso il ruolo che le Università sono chiamate a svolgere deve essere centrale secondo Abravanel. La possibilità che il Paese riesca a risollevarsi passa anche, se non soprattutto, attraverso la trasformazione del mondo accademico: “Quello che mi rende ottimista è il potenziale dimostrato dagli italiani 2.0 che quando sono all’estero fanno cose straordinarie. Per replicare questo modello anche da noi le Università italiane devono accettare la meritocrazia e accettare un sistema basato sulla competizione. All’estero gli Atenei sono i templi della meritocrazia e della competizione, in Italia, al contrario rappresentano il bastione del nepotismo. Gli istituti migliori devono ottenere maggiori finanziamenti, soltanto così si potrà spingere tutti gli altri verso un’offerta didattica al passo con i tempi e orientata al lavoro”.
E il mondo del lavoro e delle imprese oggi ha bisogno in primo luogo di competenze digitali. “Il board, soprattutto delle aziende piccole e media – conclude Abravanel – deve stimolare il management verso l’evoluzione digitale e un consigliere dovrebbe sempre avere il coraggio di spingere verso questo cambiamento, esponendosi senza nascondersi nel gruppo e usando, quando necessario, anche l’arma delle dimissioni. Soltanto in questo modo le imprese famigliari potranno fare un salto di qualità e dimensionale mentre sappiamo che oggi paradossalmente le aziende più grandi e al passo con i tempi sono quelle pubbliche”.