La lista del CDA uscente da best practice a legge
In Senato è stato presentato un ddl che mira a colmare un evidente vuoto normativo. L’iter dovrebbe concludersi entro la fine del 2022
GettyImagesÈ ormai sempre più diffusa anche in Italia la best practice, di origine anglosassone, di riconoscere al consiglio di amministrazione uscente di emittenti la facoltà di presentare una propria lista di candidati al rinnovo del board. Prassi non espressamente regolata dalla legge, ma che la letteratura prevalente considera legittima e la cui ratio è da individuarsi nella difficoltà per i soci, specie nelle società caratterizzate da una consistente frammentazione dell’azionariato, di presentare proprie liste.
Sappiamo tuttavia che la struttura proprietaria degli emittenti italiani è prevalentemente a capitale concentrato e non frammentato. Secondo i rilevamenti eseguiti a fine 2021, sono 48 le società italiane (tra le quali Tim, Prysmian Group, Mediobanca, Unicredit, Banco BPM, FinecoBank, ecc.) ad aver riconosciuto tale best practice nei propri statuti. Ciò nonostante, il fenomeno risulta ancora oggi non formalmente regolamentato né dal legislatore né dalle competenti autorità di vigilanza.
Tra le criticità che si segnalano vi è sicuramente quella del possibile occultamento dietro la lista presentata dal CdA di uno o più soci forti al fine di celare collegamenti di fatto o di attribuire a tale lista maggiore indipendenza e spessore. In particolare, il raggiungimento di una posizione condivisa sulla composizione della lista potrebbe integrare gli estremi di un’azione di concerto tra gli azionisti che li hanno espressi o designati, così esponendo i soci rappresentati in consiglio al rischio di dover promuovere un’OPA ex art. 106 TUF.
L’argomento ha assunto particolare spessore a seguito delle recenti vicende finanziarie concernenti Assicurazioni Generali e che traggono origine dalla contesa tra Mediobanca e alcuni azionisti rappresentanti il 14,59% del capitale(i soci Francesco Gaetano Caltagirone, Leonardo Del Vecchio e Fondazione Crt) che si sono opposti al deposito di una lista da parte del CdA. La Consob ha tuttavia riconosciuto la legittimità di detta facoltà del CdA, sottolineandone però i pericoli e suggerendo procedure rafforzate per mitigarne i rischi.
Come detto, la prassidi cui si discute non è disciplinata né dal TUF né da normativa secondaria, anche se presto potrebbe arrivare una stretta sui meccanismi di nomina dei CdA. E infatti, i senatori D’Alfonso del Pd e Fenu del M5S hanno di recente presentato in Senato un ddl volto a introdurre una (seppur minima) disciplina primaria che colmi un evidente vuoto di presidi. Tale ddl, il cui iter parlamentaredovrebbe concludersi entro la fine del 2022, mira a introdurre all’interno del TUF il nuovo art. 147-ter.1 “in materia di presentazione di liste di candidati da parte dei consigli di amministrazione uscenti delle società quotate” ed è finalizzato a porre precise regole procedurali e di trasparenza a tutela del mercato “in merito alle ipotesi nelle quali presso gli emittenti quotati sia il consiglio di amministrazione uscente a presentare una propria lista di candidati ai fini del rinnovo dell’organo di gestione”.
Il nuovo art. 147-ter.1 risulterebbe composto da 3 commi:
- il comma 1 attualmente prevede che (i) la lista che potrà essere presentata dal CdA uscente di una società quotata dovrà recare un numero di candidati pari o superiore al massimo dei posti disponibili, (ii) non potranno candidarsi soggetti in carica da sei o più anni, (iii) la lista del CdA uscente venga pubblicata con largo anticipo rispetto alle scadenze ordinariamente previste per le liste dei soci al fine di garantire un’adeguata pubblicità della medesima, (iv) ove la lista del CdA non risulti maggioritaria, la medesima non potrà accedere, come lista arrivata seconda, al riparto dei posti previsti dallo statuto, (v) ove la lista del CdA giunga prima, sia previsto un meccanismo che consenta all’assemblea di votare sui singoli nominativi proposti, superando il meccanismo distorsivo della lista bloccata;
- il comma 2 prevede norme suppletive volte a regolare gli effetti conseguenti all’ipotesi in cui non risulti eletto il numero minimo di amministratori necessario ad assicurare il rispetto di quanto previsto all’art. 147-ter, commi 1-ter e 4, in materia di quote di genere e indipendenza, ovvero il rispetto di eventuali ulteriori requisiti statutari;
- il comma 3, infine, risulta funzionale a estendere la qualificazione di parte correlata agli effetti di cui all’art. 2391-bis c.c. e della relativa disciplina di attuazione adottata dalla Consob in capo ai soci che abbiano partecipazioni pari o superiori all’0,50% del capitale.
Ad oggi, dunque, nelle more dell’iter parlamentare di approvazione e introduzione nel TUF del nuovo art. 147-ter.1, appare ancora indispensabile lo scrutinio concreto della clausola statutaria che riconosce al CdA uscente la facoltà in esame al fine di evitare abusi, predisponendo sempre in statuto adeguati presidi e tutele sufficienti a mitigare i rischi connessi a tale best practice.