La fuga dalle alleanze pro-clima non ferma gli investimenti Esg
Nonostante le numerose defezioni da parte di blasonati nomi della finanza, soprattutto nordamericani, l'attenzione nei confronti del climate change sembra, al momento, non calare

Un voltafaccia di massa che però non significa la scomparsa degli obiettivi di contenimento del climate change dal radar dei principali attori finanziari. La fine del 2024 e l’inizio del 2025 hanno visto allungarsi l’elenco di istituzioni finanziarie ritiratesi da una delle principali alleanze per il clima, la Nzba (Net zero banking alliance). Hanno infatti gettato la spugna le più grandi banche statunitensi (JPMorgan Chase, Bank of America, Citigroup, Wells Fargo, Goldman Sachs e Morgan Stanley) e canadesi (TD Bank, Bank of Montreal, National Bank of Canada, Canadian Imperial Bank of Commerce e Scotlandbank) lasciando i big europei soli a presidiare la principale coalizione degli attori finanziari promossa dalle Nazioni Unite.
Sullo sfondo un nodo giuridico
Altre note alleanze, a furia di perdere aderenti, hanno anche interrotto la loro attività in attesa di tempi migliori. È questo il caso della Nzam (Net-zero Asset Managers Initiative) sospesa a gennaio del 2025, qualche mese dopo l’addio del gigante del risparmio Blackrock. Secondo gli esperti, però, nonostante la vittoria del repubblicano Donald Trump e la sua crociata contro le iniziative “pro-clima”, le ragioni di queste uscite non sono ideologiche ma pratiche e di opportunità.
Come ha ricordato Sabrina Bruno, membro del governing board di Chapter Zero Italy-The Nedcommunity Climate Forum nel corso di un webinar sul tema, “esistono motivi di carattere giuridico. Alcuni procuratori generali di Stati americani a guida repubblicana hanno prospettato azioni legali sostenendo che queste alleanze potrebbero costituire violazione della disciplina antitrust come boicottaggio illegittimo dell’industria del fossile. Il Texas già nel 2021 aveva adottato un provvedimento che vietava di firmare contratti con chi promuove azioni carbon zero”.
Di recente sempre il procuratore generale texano, insieme ad altri dieci colleghi, ha avviato un’indagine contro BlackRock, Vanguard e State Street: i tre gestori patrimoniali sono stati accusati di aver abusato della loro influenza per spingere le aziende a ridurre la produzione per favorire obiettivi climatici. Questa mossa avrebbe aumentato i costi energetici per i consumatori. Di fatto quindi la fuga dalle alleanze per il clima risponde all’esigenza di evitare di essere trascinati in tribunale.
La convenienza della lotta al climate change
Un rischio che però non fa dimenticare quello, molto grave, legato ai cambiamenti climatici: come ricorda Bruno ” il 2024 è il terzo anno peggiore dal 1980 per perdite da catastrofi naturali, intere aree degli Usa non sono più assicurabili e anche a Davos la lotta al cambiamento climatico è rimasta al centro tanto che le maggiori imprese al mondo hanno confermato il loro impegno per contrastarlo. I numeri, del resto, sono dalla parte della lotta al surriscaldamento terrestre:
- i prezzi delle fonti fossili sono superiori al costo dell’energia rinnovabile
- si calcola che l’inerzia nel contrasto al climate change eroderebbe fino al 7% degli utili ad anno fino al 2035;
- ogni dollaro speso in misure di mitigazione può generare fino a 19 dollari di perdite evitate senza contare opportunità di crescita;
- i mercati green passeranno da 5 trillioni di dollari nel 2024 a 14 entro il 2030.
Non a caso, mentre la California è divorata dagli incendi e Trump ha annunciato l’uscita dagli Accordi di Parigi, l’Alleanza per il clima degli Stati Uniti che riunisce 24 governatori di qualsiasi colore politico e che rappresenta quasi il 60% dell’economia e il 55% della popolazione statunitense, ha assicurato che continuerà il proprio lavoro per centrare gli obiettivi fissati nel 2015 in Francia.
Come ha ricordato Francesca Fraulo, componente del Chapter Zero Italy-The Nedcommunity Climate Forum è vero che molti soggetti hanno deciso di uscire dalle alleanze ma alcuni ceo di grandi istituzioni come il numero uno di BofA e di Citigroup, pur dicendo addio alla Nzba, hanno mantenuto i loro impegni all’interno della Glasgow Financial Alliance for Net Zero (gruppo formatosi durante la conferenza sul clima COP6 come una coalizione globale di importanti istituzioni finanziarie impegnate ad accelerare la decarbonizzazione dell’economia).
Sostenibilità faro delle scelte di investimento
Quel che è certo è che anche dal punto di vista delle aspettative degli investitori al momento la sostenibilità rimane un faro che guida le loro scelte. Lo conferma Francesco Surace, head of corporate governance Italy di Georgeson, che ha sottolineato come sulla base dell’engagement con il mercato nulla è cambiato e l’investment policy andrà in continuità per questa stagione: remunerazione, diritti degli stakeholders e climate transition rimangono le priorità nel 2025.
Tutto bene quindi? Non proprio. Qualche segnale d’allarme inizia ad emergere: dalle 41 delibere sui piani di transizione climatici sottoposti al voto degli azionisti del 2022 si è passati a 22 nel corso del 2024. Un passo indietro non necessariamente legato a un minore interesse degli investitori sulle tematiche climatiche.
Al momento, però, i grandi investitori istituzionali hanno le mani libere nel sostenere società bancarie che adottano criteri Esg: secondo una survey di Georgeson condotta fra 15 soggetti (incluso BlackRock) il 60% non ha ricevuto indicazioni di limitare gli investimenti in istituti che scommettono sulla sostenibilità.
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