La CSRD come acceleratore della transizione climatica
Tra le molte novità introdotte dalla nuova direttiva europea sulla reportistica di sostenibilità, la sistematizzazione della materia climatica e ambientale porterà a una esplicitazione dei piani di transizione mettendo in evidenza le società più virtuose
Getty ImagesLe novità rappresentate dalla CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) sono molteplici. Alla base vi è il concetto per cui le informazioni relative alla sostenibilità hanno un impatto finanziario e sono intrinsecamente connesse con le scelte strategiche e i risultati economici: da ciò discende l’abbandono della terminologia “informativa non finanziaria” e l’integrazione dei contenuti all’interno della relazione sulla gestione con obbligo di coerenza rispetto alle voci di bilancio anche in termini di capex e opex. Le informazioni da pubblicare sono state standardizzate (negli European Sustainability Reporting Standards a cura dell’EFRAG) – ciò garantisce comparabilità tra le varie società europee -, e sono soggette ad una assurance esterna. Nella bozza di decreto di recepimento italiano (la scadenza del 6 luglio è stata rinviata al 10 settembre) è prevista l’attestazione del dirigente preposto e del CEO circa la conformità agli standard di rendicontazione di legge. È una rivoluzione che porta alla creazione di nuovi processi interni, nuovi strumenti di governance e ad un dialogo maggiore con gli stakeholder. Entro il 2026 la CSRD si applicherà a tutte le società destinatarie (e cioè anche le PMI quotate ad eccezione delle microimprese): da quest’anno è già in vigore per le società soggette alla disciplina della DNF.
Climate change al centro: il ruolo della governance
Tra le tematiche di sostenibilità, il cambiamento climatico è quello che vedrà importanti passi avanti sin da quest’anno potendo contare su una raccolta dati e sistematizzazione delle informazioni da più lunga data. Per quanto riguarda la doppia materialità, il calcolo degli impatti della società sull’ambiente (es. le emissioni) e, viceversa, del cambiamento climatico sulla società (es. eventi metereologici sui risultati finanziari) possono fare riferimento a dati storici già all’attenzione dei sistemi di controllo interno delle società di maggiori dimensioni. Inoltre, la pubblicazione di informazioni forward looking può fare leva su scenari climatici di diversa tipologia, con sempre più solidi fondamenti scientifici e accettazione internazionale. Le informazioni derivanti dalla tassonomia europea entrano a fare parte integrante della relazione sulla gestione; i KPI relativi allo scope 3 diventano obbligatori, portando le tematiche relative all’intera catena di fornitura al rigore delle analisi di bilancio. Si allarga l’orizzonte di riferimento a maggiori indicatori ambientali: inquinamento, utilizzo dell’acqua, impatto sulla biodiversità, economia circolare.
Ma la conseguenza forse più rilevante per i consigli di amministrazione sarà l’adozione dei piani di transizione climatica: le società (alias, il cda) dovranno dichiarare se hanno un piano, descrivere come il loro modello di business e la strategia siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile, il contenimento del riscaldamento globale entro 1,5°C e la neutralità climatica al 2050, indicando le azioni di attuazione ed i relativi piani finanziari e di investimento, articolando il piano negli anni e monitorandolo in modo sistematico. Le implicazioni dal punto di vista della governance sono molte: maggiori responsabilità per gli amministratori e quindi maggiore competenza ma anche la possibilità di monitorare gli obiettivi ambientali in modo più preciso e di utilizzare gli indicatori climatici nei piani di incentivazione per gli esecutivi.