La Corporate Governance degli altri: Giappone
Verso la fine del 2014 Il Financial Service’s Agency e il Tokyo Stock Exchange (TSE) hanno annunciato un piano di revisione dell’allora vigente Corporate Governance Code giapponese. Conclusa la consueta procedura di consultazione e licenziata la versione
Verso la fine del 2014 Il Financial Service’s Agency e il Tokyo Stock Exchange (TSE) hanno annunciato un piano di revisione dell’allora vigente Corporate Governance Code giapponese. Conclusa la consueta procedura di consultazione e licenziata la versione finale del testo, è stata quindi annunciata l’entrata in vigore delle nuove regole del nuovo Codice di Autodisciplina, con decorrenza 1° giugno 2015.
La spinta alla revisione del Codice di comportamento delle società quotate in Giappone è stata impressa dal primo ministro Abe, quale misura (fra le altre) ritenuta necessaria per scongiurare il ripetersi di nuovi eventi simili ai recenti scandali finanziari, che hanno impattato in misura non marginale, oltre che sui risultati economici delle società che li hanno subiti, sul rapporto di fiducia fra la Società e il mercato, gli azionisti e i vari stakeholders.
Lo scandalo del Gruppo Toshiba
Ultimo in ordine temporale (e primo forse in ordine di importanza) è stato lo scandalo che ha coinvolto il Gruppo Toshiba, secondo conglomerato per importanza in Giappone, le cui attività economiche spaziano dai televisori LCD alla produzione di impianti nucleari e che dà lavoro a oltre 200.000 persone. Alla fine mese di luglio 2015 il chairman e CEO ad interim Masashi Muromachi, prima di rassegnare le proprie dimissioni e chiedere scusa a tutti con il tipico inchino, ha annunciato che il Gruppo ha sovrastimato negli ultimi esercizi i propri profitti operativi per una somma complessiva pari a 156,2 miliardi di yen, ossia 1,26 miliardi di US $ e che il bilancio al 31 marzo 2015, a causa dei writedown a ciò connessi, si sarebbe chiuso con una perdita d’esercizio. Dopo l’annuncio, metà dei consiglieri in carica hanno rassegnato le dimissioni e per rafforzare i meccanismi di governance è stata proposta all’assemblea la nomina di sette nuovi amministratori indipendenti, nell’ambito di un nuovo Consiglio composto da 11 membri.
Ancora una volta si è appalesata la connessione esistente tra una cattiva governance societaria e le negative performance economico patrimoniali della Società che la subisce. Non vi è dubbio sul fatto che i codici e le norme, da soli, non possono essere garanzia di una corretta gestione aziendale, ma non sempre sono stati percepiti nella loro reale portata i potenziali negativi effetti di tali carenze. Finalmente l’attenzione degli investitori – in primis di quelli istituzionali – sembra si stia invece sempre più concentrando su tali regole, avendo essi identificato la connessione esistente tra la possibilità di creazione di un valore sostenibile per gli azionisti nel medio termine e la presenza di buone regole di governo, con un Consiglio di Amministrazione “attivo” e indipendente nel controllo e nella gestione della società.
Una graduatoria di 25 Paesi in base alla C.G.
ACCA (Association of Chartered Certified Accountants) e KPMG Singapore hanno di recente elaborato uno studio sulla Corporate Governance in 25 diversi Paesi, per giungere poi a stilare un rapporto con il ranking dei Paesi più e meno virtuosi, proprio sulla base della qualità media della loro Corporate Governance.
A tal fine è stata operata una prima suddivisione del mondo in tre macro aree, ASIA&PACIFIC, AMERICAS (US, Canada e Brasile) e EMA (Europa, Middle East e Africa) e un’ulteriore ripartizione fra Paesi sviluppati e non sviluppati, applicando i criteri IMF per operare tale selezione. E’ stata quindi prima sottoposta ad esame, e poi misurata, la qualità della CG dei diversi Paesi sulla base di alcuni requisiti predefiniti, fra i quali, oltre all’esistenza o meno di un Codice di Autodisciplina, la frequenza del suo aggiornamento, la presenza di efficaci Comitati (per la Remunerazione, per le Nomine e per l’Audit), la valutazione dei criteri di indipendenza per gli amministratori, la qualità della disclosure nell’informativa societaria resa e altri parametri oggettivi. Dai risultati emersi da tale studio, pubblicato a dicembre 2014, si è potuto constatare da un lato la leadership di Inghilterra e Stati Uniti, collocati rispettivamente al primo e secondo posto e dall’altro – forse non in modo casuale – il posizionamento del Giappone all’ultimo posto fra i Paesi sviluppati. Nella classifica assoluta dietro al Giappone si sono infatti posizionati il Vietnam, il Myanmar, il Laos e il Brunei, Paesi notoriamente molto meno noti agli investitori finanziari di quanto non lo sia il mercato nipponico.
Va peraltro segnalato che in Giappone il Codice di Autodisciplina con regole mandatory – ossia non derogabili – risale al lontano 1997, con l’ultimo aggiornamento al 2009 e che Toshiba oltre alla propria conformità al Codice, ha sempre dichiarato l’adozione di un sistema di governance cosiddetto “ibrido”, ossia basato sulla convivenza (a detta della Società) delle migliori regole giapponesi e occidentali. Tale sistema, che avrebbe dovuto garantire un elevato standard di CG in quanto caratterizzato dalla presenza di Comitati endoconsiliari composti in larga misura da amministratori indipendenti, proprio sullo stile anglosassone.
Ma come si è potuta allora verificare in Toshiba una tale falla?
Dai report emessi dal panel di legali e accountants incaricati di revisionare i dati del gruppo giapponese, si evince un “sistematico e deliberato ” tentativo di aumentare i profitti, per la presenza di una cultura d’impresa che induceva il top management del gruppo a imporre alle singole divisioni target di profitto troppo aggressivi e poco verosimili, ma che queste ultime erano quasi impossibilitate a rifiutare. A ciò va aggiunto il fatto che l’audit Committee, istituito secondo la best practice e responsabile della verifica dei processi di controllo, era composto da un presidente interno e da due amministratori che, seppur indipendenti, erano ex-diplomatici con scarsa esperienza del business.
L’adeguamento di Toshiba alle regole del nuovo Corporate Governance Code in vigore da giugno e la nomina di un nuovo board con la presenza di una maggioranza di consiglieri indipendenti, potranno senza dubbio migliorare la corporate governance del Gruppo, ma per ridare ampia fiducia al mercato e agli investitori sarà necessario che tali misure siano caratterizzate da una effettiva prevalenza della sostanza sulla forma, elemento di non sempre facile misurazione.
Il recente endorsment da parte del G20, che nella recente riunione di settembre ad Ankara ha promosso l’aggiornamento dei principi di corporate governance dell’OCSE – risalenti anch’essi alla fine degli anni novanta – facendoli propri, va certamente considerato un’ulteriore elemento positivo nella direzione della trasparenza e della chiarezza, che sempre più i mercati vanno cercando.
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