Il nuovo umanesimo nella post modernità e il ruolo degli amministratori indipendenti
E’ su questo concetto neoplatonico che poggia tutta l’architrave del pensiero rinascimentale. Il ritorno dell’uomo a ciò che è stato: la riscoperta della civiltà greco - latina, ove vi era una compiuta pienezza dell’uomo, che l’umanesimo – la prima fase
“Il ritorno agli antichi, inteso come ritorno al principio, è ciò che da forza e vita ad ogni cosa”
E’ su questo concetto neoplatonico che poggia tutta l’architrave del pensiero rinascimentale. Il ritorno dell’uomo a ciò che è stato: la riscoperta della civiltà greco – latina, ove vi era una compiuta pienezza dell’uomo, che l’umanesimo – la prima fase del rinascimento – voleva far rivivere. L’essere nani sulle spalle dei giganti, massima di Bernardo di Chartres, aiuta a comprendere la dialettica del nuovo che sale sulle spalle del vecchio maestro e vede, alzando lo sguardo, oltre e più lontano, potendo quindi conoscere il segreto della verità figlia del tempo.
L’occidente è il risultato di una grande avventura dello spirito nella conquista del mondo e della libertà dell’uomo. Ma, oggi, l’occidente, come realtà definita storicamente, non esiste più; esiste, invece, una forma di pensiero planetario in cui siamo tutti coinvolti. Permangono, tuttavia, nelle civiltà, peculiarità ed incongruenze che alcuni prevedono concretizzarsi, addirittura, in uno scontro, ma – e ce lo auguriamo – si risolveranno in uno sviluppo evolutivo di omologazione generalizzata.
In occidente la conoscenza, fin dai tempi dell’illuminismo, ha cercato di identificarsi con le sole categorie della ragione, eclissando tutto ciò che non le era coerente e funzionale. Ma solo nel secolo scorso si è identificata, entrando così nella post-modernità. La società auto-referenziale istituita dalla modernità ha perduto la sua legittimità, ed ora la società post-moderna è costretta a reinventarsi i propri valori, aspirando ad una trascendenza sociale. Ne emerge un contesto sociale globalizzato, in cui i valori si stemperano in mode successive e fluide, da qui la definizione di una società liquida. Ma una società, comunemente intesa, non può reggersi senza un minimo di trascendenza sociale non più assicurata, né dalla divinità né dai valori, o dal senso della storia. Gli Stati Uniti hanno la possibilità di fondare la loro vita pubblica su una religione civile, su un cristianesimo edulcorato ed ottimista. L’Europa, che non ha questa possibilità, si trova a dover risolvere la crisi dei valori, la caduta della speranza e della fiducia. La sua cultura si è appoggiata inizialmente sulle ideologie politiche del XX secolo, poi l’economia con i suoi modelli, i suoi interpreti, i suoi profeti – ancora oggi decani del segreto della pietra filosofale – e le sue illusioni, non trovando mai soluzioni stabili.
Il ritorno alle antiche virtù versus la globalizzazione e la crisi
La crisi economica e finanziaria del 2009 in Occidente ha coinvolto il pianeta. E’ la globalizzazione; in questo caso, la globalizzazione dell’economia. Ogni cambiamento è dovuto ad una crisi culturale, la globalizzazione ne ha evidenziato le luci e le ombre, e la consapevolezza della continua erosione del principio identitario sta condizionando il comportamento odierno dell’individuo.
Ora entra prepotente l’esigenza di recuperare l’antico. L’attenzione all’etica e allo sviluppo, evocati dal nostro Presidente della Repubblica, in occasione della Giornata mondiale del risparmio dello scorso 29 ottobre, altro non è che una conferma di un’esigenza del ritorno alle virtù antiche dell’uomo, all’etica ed a un nuovo umanesimo.
Ed è qui che si apre una riflessione, obbiettivo di questo articolo, percependo come oggi l’etica abbia perso i suoi confini e i suoi punti di riferimento, nell’edonismo culturale individualista e relativista, della ricerca del benessere. Come l’uomo rinascimentale ricercò nei classici la sua dimensione, oggi la ricerca filologica può aiutarci. Si è riscoperto il trattato di fine cinquecento del Padre gesuita Pedro de Ribaydaneira, Il Principe Cristiano, scritto in contrapposizione al Principe del Machiavelli. Perché il principe rinascimentale non è altro che il manager, lo statista, l’imprenditore di oggi. Ove si governavano gli stati, oggi si governano le aziende. La lettura rapisce – come in déjà vu – e non possiamo non segnalare alcuni passi che fanno aprire la nostra mente ad antichi insegnamenti. Giustizia e meritocrazia, declinate, rispettivamente, nella tassazione equa e nella salvaguardia e protezione del lavoro dei sudditi (dipendenti), solo per citare le prime virtù etiche, alle quali si aggiungono quelle di lealtà, clemenza, liberalità, magnificenza, moderazione, fortezza, temperanza e prudenza. Su questa ultima mi soffermerei richiamando il capitolo 24° : “la vera prudenza è anche saper trarre giovamento dagli altrui consigli”.
Il ruolo degli amministratori indipendenti
Emerge il ruolo dei consiglieri a cui vengono dedicati ben tre capitoli, dal 25° al 27°. “Un consigliere deve essere dotato di grande esperienza, carità e libertà di parola”. La prima dote di un consigliere è l’esperienza e la competenza. “Nessuno può esprimere un giusto parere se non è competente, e di cui è a conoscenza. E’ dimostrata dunque la necessità di una grande esperienza per poter fornire un consiglio. e per ogni necessità e campo diversi consiglieri ed esperti”. Questo “comporta da parte dei consiglieri, di tenersi informati e di approfondire i problemi che non conoscono, perché nessuno è così sapiente di non aver nulla da imparare da un altro”. Ma “chi fornisce buoni consigli in tempo di pace non necessariamente è in grado di dare giuste valutazioni in tempo di guerra. Conviene dunque che i principi si avvalgano di vari consiglieri, ciascuno specializzato in un particolare genere di problemi.” La seconda dote necessaria è la benevolenza o carità, intendendo per essa “il desiderio di aiutare per quanto è possibile e di far del bene con il proprio aiuto, senza pensare al proprio interesse personale”: “nessuno infatti potrà consigliare meglio di colui che ha un animo disposto al giovamento della società, allontanando ogni cosa dannosa, decidendo senza minimamente considerare il profitto personale, gli onori ed il prestigio derivante, o la paura. Il consigliere sia un esempio di virtù.” Osserva, infine, l’autore, “come avere queste doti, l’esperienza e la benevolenza, non serve a nulla se poi – ed ecco la terza dote – non si ha il coraggio e la libertà di esporre le proprie idee. L’uomo infatti è sempre pervaso dal timore di perdere il bene raggiunto per se stesso, e su questo timore, a volte per non offendere, a volte per compiacere, “succede che il consigliere taccia o si esprima con parole fredde e sibilline, oppure, ed è la peggior cosa, dice il contrario di ciò che pensa. I consiglieri diventano quindi deboli e compiacenti, per guadagnare di più o per non perdere quanto si è guadagnato. Lo stesso principe molte volte mal sopporta di essere contraddetto, spingendo i consiglieri a dir solo ciò che al principe fa piacere”. Già allora veniva evidenziata come l’indipendenza del consigliere fosse elemento essenziale, l’indipendenza è la libertà di parlare.
“Se i consiglieri sono veramente dotati di prudenza, esperienza, benevolenza e libertà nel parlare è praticamente superfluo soffermarsi nella descrizione del loro comportamento”. In questa frase vi è l’essenza del consigliere indipendente e l’etica profonda che lo deve sempre guidare. “la prudenza lo renderà consapevole della importanza, difficoltà e segretezza degli affari trattati. Il consiglio sarà ponderato e non terrà conto del profitto personale, ed il voto verrà espresso senza essere condizionato da amicizie o inimicizie, ma in conformità alla coscienza, …giacché l’autentico onore consiste nell’abbracciare la verità anteponendo ad ogni cosa il bene della società (…) perché egli indirizzerà (…) tutte le sue parole verso il pubblico bene, fine specifico cui ogni consiglio deve mirare”.
Uno stimolo alla riflessione
Chiudo questo articolo, sperando di aver stimolato la riflessione del lettore e dei colleghi, aprendo un dibattito culturale, sulla domanda sorta all’aurora della modernità di cui si cerca ancora la risposta: come sostituire Dio senza fabbricare idoli, quali successo e potere? dopo questa lettura la risposta, può essere solo la conferma della necessità di un’etica rinascimentale ed umanistica.
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(*) Gianluigi Longhi – Associato Ned, Dottore commercialista e Revisore contabile, esercita l’attività professionale presso lo Studio Longhi Associato di Lugo (Ravenna) e Milano. Expertise nelle operazioni di finanza straordinaria di impresa di M&A, ristrutturazione aziendale e liquidazione di società; asseverazioni piani di ristrutturazione L.F. E’ Consigliere di Amministrazione della Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A. e Sindaco di gruppo di GVM S.p.A..e delle sue partecipate, secondo operatore italiano nel health care clinico ospedaliero, maturando una esperienza specifica del settore. Membro del C.d.A. della Fondazione Pontificia Centesimus Annus Pro-Pontifice. ([email protected])