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Il digitale entra nei cda

I board sempre più consapevoli dell’importanza della tecnologia come leva di creazione del valore. Ma attenzione ai rischi

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La leva della trasformazione digitale è quella su cui i cda e le aziende sono chiamati ad agire per continuare a essere competitivi nel medio e lungo periodo. Una verità ormai assodata e condivisa da tutti ma ancora difficile da mettere in pratica.

Come è emerso nel corso del webinar “Trasformazione digitale del consiglio di amministrazione”, il primo evento organizzato dal Reflection Group “Digital Innovation and Transformation” di Nedcommunity “la grande problematica – per usare le parole del coordinatore Enrico Maria Bignami – è quella di mettere a terra i concetti legati all’innovazione: capire come fare trasformazione digitale, infatti, non è semplicissimo. Di certo, il primo passo da compiere per i consiglieri di amministrazione consiste nel conoscere profondamente la propria azienda e poi adottare le iniziative necessarie per utilizzare le nuove tecnologie come driver di crescita”.

Del resto, la consapevolezza su queste problematiche è cresciuta notevolmente negli ultimi anni e questo rappresenta di per sé un passo avanti. Lo dimostra la survey realizzata da Stefano Modena, associato Nedcommunity, dalla quale emerge che oltre la metà delle aziende tratta il tema della trasformazione digitale almeno trimestralmente, di cui oltre un quarto ad ogni consiglio. Rispetto al 2017, anno della prima edizione della ricerca, si è ridotta alla metà, dal 27,7% al 12,3%, la percentuale dei consigli di amministrazione che non discutono mai questo argomento. Ma non solo: “Le aziende hanno la consapevolezza che la ricerca tecnologica costituisce il punto di partenza per il mantenimento o il miglioramento delle posizioni competitive. Il 69,6% delle società, rispetto al 64,7% del 2017, alloca risorse per l’innovazione tecnologica, analizzando le ricadute sul proprio modello di business. Quasi due terzi delle società valuta inoltre Molto alto o Alto il grado di verifica dell’impatto dell’utilizzo delle tecnologie digitali ai prodotti, ai servizi e ai processi, in termini di riduzione costi, aumento dei ricavi, miglioramento della brand awareness e della reputazione”. In questo scenario il ruolo dei ned è fondamentale: “Un quarto del panel – continua Modena – considera che gli amministratori indipendenti abbiano una maggior sensibilità rispetto alla trasformazione digitale”. Aumenta anche la consapevolezza dei rischi connessi a questa evoluzione: quasi due terzi delle società (63,9%) si preoccupa in modo attivo dei cyber risk mentre rispetto al 2017 si è ridotta dal 20,5% al 6,7% la percentuale di società che non considerano i cyber risk una minaccia.

Tutto ciò è sufficiente? Non proprio. Come ha sottolineato nel suo intervento Marcella Logli, lecturer LUISS University, non executive director Avio spa, membro del RG “Digital” è necessario ancora uno sforzo di semplificazione: “Credo sia chiaro a tutti noi che lavoriamo nei board che non occorra essere ingegneri o informatici per portare avanti istanze in merito al percorso di trasformazione digitale. Probabile che la comprensione di cui un’azienda necessita veramente nel breve e nel lungo termine abbia bisogno di essere aumentata e allo stesso tempo semplificata. La semplicità, come sappiamo, è complessità risolta. Tutti conosciamo bene l’organizzazione e la value chain delle aziende in cui operiamo. Ma adesso proviamo a dare una visione chiara degli effetti positivi della trasformazione digitale. Questo sarà il punto di partenza per una reale evoluzione”.

Le fa eco Severino Meregalli, associate professor of Practice di Information Systems – SDA Bocconi School of Management che ha coordinato una tavola rotonda con esperti del mondo industriale: “Viviamo immersi in un sistema molto complesso. Grazie alle tecnologie digitali si può creare valore ma lo si può anche distruggere molto velocemente. Nel mondo del digitale mancano oggi i punti di riferimento che dicano cosa va fatto e perché. Lo sviluppo dell’innovazione digitale spesso non ci dà il tempo per comprendere: si tratta di un rischio intrinseco dell’innovazione. Inoltre, sono ancora scarsi i riferimenti legislativi e regolatori e in queste condizioni non si può gettare il cuore oltre l’ostacolo. Tutto ciò porta a un fenomeno di hype, a un effetto moda: ‘dobbiamo fare qualcosa di digitale’. Serve quindi un approccio concreto se si siede nelle stanze dei bottoni: è necessario mantenere una forte voglia all’innovazione ma con maturità. Ciò che serve è una logica post digital e rifuggire dai numerosi luoghi comuni come l’idea che si debba creare un percorso rapido per Millennials e Digital Natives o che il digitale crei sempre valore o renda una mansione di per sé qualificata soltanto perché prevede l’uso di specifici supporti tecnologici. Altro luogo comune è che l’Italia sia fanalino di coda negli investimenti digitali. Sintesi finale: chi è chiamato ad aiutare imprese a prendere decisioni deve sapere di cosa parla e fare le domande giuste”.

Del resto, come ribadisce Stefano Russo, head of Internal audit, EssilorLuxottica “la trasformazione digitale va considerata anche con i rischi specifici che un progetto di questo tipo può comportare oltre che sul fronte della creazione di valore. Per questo motivo è necessario bilanciare rischi e innovazione nei progetti molto innovativi ed è fondamentale che la gestione del rischio diventi integrante del processo”.

Stefano Mategazza, senior vice president, NTT DATA Italia, pone l’accento sul processo di innovazione che va affrontato consapevoli del fatto che “il rischio dell’innovazione è spesso insito nell’ambito della ricerca. Questo vuol dire che devo permettermi di sbagliare per migliorare. Fa parte del modello di innovazione che ci siamo dati”.

Gianmarco Montanari, board member Finecobank, membro del RG “Digital Innovation and Trasformation”, associato Nedcommunity, ha concluso ponendo l’accento sull’importanza del ruolo dei consiglieri: “Credo che la competenza fondamentale richiesta ai board member sia la curiosità unita alla motivazione, alla passione e allo studio. In questa area forse ancora di più, perché stiamo parlando di un ambito in continua evoluzione. Una difficoltà in più soprattutto quando il consigliere lavora in società quotate molto innovative e regolamentate come quelle che operano nel mondo della finanza. Tutto ciò comporta la necessità di adempiere a numerosi obblighi relativi all’aggiornamento e all’adeguamento dei sistemi informatici: uno sforzo continuo che non ammette errori anche perché i board member poi ne rispondono anche personalmente”.

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