Approfondimenti

Il consigliere indipendente della governance post–covid

Il post pandemia  accelererà il cambiamento in corso nella governance delle imprese italiane e modificherà profondamente ruolo e skills dei consiglieri indipendenti

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La pandemia rischia di dare il colpo di grazia alla nostra economia che un po’ di Covid ce l’aveva già. Si è visto come sono andate le cose dopo l’ultima crisi, quella bancaria iniziata nel 2008: il PIL del nostro Paese è sceso del 5%. Non molto peggio della Germania che aveva perso il 4,5 %. Il peggio è venuto dopo, perché l’economia tedesca (come le altre europee) ha ripreso a crescere, mentre la nostra è rimasta ferma e il gap ha continuato ad allargarsi. Il 2020 sarà forse simile (anche se un po’ peggio: si parla di -10/12% per il nostro PIL e di –6,5% per quello tedesco e –7,5% in media per l’Europa); ma, se le cose andranno come durante l’ultima crisi, il problema rischia di manifestarsi dopo, nei 5-10 anni successivi. E il nostro debito non sarà credibile nei confronti dei mercati. Questa crisi è senz’altro peggiore dell’ultima. 

Il post covid accelererà la transizione alla economia della conoscenza: basta pensare alla trasformazione digitale e alla rivoluzione delle supply chains. Le imprese più grandi e innovative vinceranno questa sfida e assisteremo a un vero e proprio darwinismo delle imprese. Molte tra le italiane, già più vulnerabili e meno pronte ad affrontare l’accelerazione della economia della conoscenza, rischiano di grosso. Il post Covid metterà definitivamente in soffitta il “piccolo è bello” e rivela la debolezza del panorama di imprese italiane fatto di troppe piccolissime e poche grandissime imprese.

Soprattutto accelera un ridimensionamento già in atto, quello del capitalismo famigliare responsabile, assieme all’ecosistema capitalistico italiano (banche, media, associazioni imprenditoriali), della debolezza con cui le imprese italiane affrontano questa enorme sfida. La ritirata del capitalismo famigliare italiano è dimostrata da un’analisi della classifica dell’FTSE mib (ci sono 13 aziende con capitalizzazione superiore ai 10 mdi di Euro.

Tra di esse domina chiaramente l’ex capitalismo pubblico, 6 di loro hanno come azionista principale lo Stato (ENEL, ENI , POSTE, SNAM, ST microeletctronics, Terna), 2 sono banche, controllate da fondazioni (Intesa e Unicredit ) Generali, 3 sono del Gruppo Fiat ( Exor, FCA e Ferrari ), Atlantia (Gruppo Benetton). Poi ci sono 12 aziende tra 5 e 10mdi di capitalizzazione con un ruolo centrale degli aristocratici 2.O (private equity, management), 2 legate a Telecom Italia (la stessa Telecom e Inwit, la società delle torri), CNH del Gruppo Fiat, la vecchia Mediobanca, 3 famigliari controllate dalla famiglia fondatrice (Campari, Tenaris e Amplifon, peraltro fondata da un imprenditore inglese). Infine ben 4 che hanno fondi private equity che le controllano o ne hanno favorito la crescita (Moncler, Nexi, Prysmian, Recordati) e Diasorin, frutto di un MBO.  

Questa trasformazione significa moltissimo per la governance delle imprese italiane. Governance con la G maiuscola perché non ha nulla a che vedere con le buone pratiche di funzionamento del board, ma con la natura degli azionisti e di come cambierà il ruolo dei Cda. Chi scrive ha esperienza di Cda di aziende famigliari italiane quotate e private, di aziende quotate Nasdaq al NYSE e a LSE e di aziende private equity e ha visto con i suoi occhi la differenza tra le loro pratiche di governance. La compliance è il focus dei Cda delle FOB (family owned busiesses) italiane , essenzialmente per evitare i problemi del passato e proteggere gli azionisti di minoranza dai soprusi (e spesso vere e proprie porcherie) dell’azionista di riferimento famigliare. Su questo aspetto la governance ha fatto grandi passi avanti in Italia grazie soprattutto alle quote rosa che hanno portato ottime professioniste nei Cda e hanno messo in crisi gli equilibri di potere del passato. Il significato di “indipendente“ è legato a questo ruolo: indipendente dall’azionista di riferimento. E infatti è eletto in base a “liste” separate.

La protezione delle minoranze (quando ci sono) è meno una priorità delle aziende di proprietà dei PE e delle grandi aziende globali. In queste aziende alla “C” di compliance si aggiungono altre tre “C“. Controllo (capire cosa sta succedendo veramente al business e cosa c’è dietro ai numeri delle trimestrali), Coach (vuole dire fare i Coach dei CEO spesso soli, contornati da yes men e senza qualcuno con cui confrontarsi). Ma soprattutto la C di challenge del CEO (e in qualche caso dell’imprenditore founder) su strategia/M&A, risorse umane, rischi aziendali ecc. La ragione per cui molte imprese famigliari italiane sono finite come sono finite è proprio perché mancata la “C” di challenge che è anche la “C” di Checks and balance che gli azionisti chiedono ai Cda nei confronti del CEO/founder.

Questa “C” di challenge avrà un impatto epocale sul profilo del consigliere “indipendente post” Covid in Italia. Non sarà “indipendente“ dall’azionista di riferimento famigliare, ma dal management/CEO/Founder. E quindi dovrà essere in grado di capire l’essenza del business e della organizzazione – il che vuole dire meno professionisti e più esperti di management – dovrà lavorare di più e con un ruolo più pesante e quindi essere meglio retribuito (oggi i consiglieri italiani sono tra i peggio retribuiti – proprio perché ci aspetta che facciano abbastanza poco). Infine, la sua “ indipendenza” non sarà definita da una selezione elettorale in una lista, ma da caratteristiche personali che peraltro dovranno essere presenti in tutti i consiglieri. Dovrà soprattutto avere il coraggio di dissentire. E se necessario dare le dimissioni. Cosa che in Italia oggi fanno in pochi. 

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