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Il capitale umano richiede il presidio del CdA

La successione dell’amministratore delegato (e di altre figure chiave) è motivo di affanno per molte nostre aziende, così come lo sviluppo delle competenze necessarie per stare al passo del cambiamento tecnologico.

di Sandro Catani *

I comitati per la remunerazione

La successione dell’amministratore delegato (e di altre figure chiave) è motivo di affanno per molte nostre aziende, così come lo sviluppo delle competenze necessarie per stare al passo del cambiamento tecnologico.
Questi sono solo esempi sui quali comunemente si conviene nei convegni della complessità del capitale umano e della necessità di un maggiore presidio strategico. Oggi una parte della sua responsabilità è affidata ai comitati per la remunerazione composti ormai da consiglieri indipendenti che si sono diffusi e hanno conquistato un’influenza effettiva sui compensi del capo azienda. Ma in larga misura rimangono ai bordi di alcuni nodi del capitale umano che, come quelli citati, sono centrali per assicurare longevità e crescita all’impresa.
Ed è presumibile che il CdA possa trovarsi nella stessa posizione.
Il Codice di Autodisciplina ha avuto il merito di introdurre nelle nostre aziende tra le “buone pratiche” quella del “Comitato per la remunerazione”.
Secondo Assonime – Emittenti Titoli ( La Corporate Governance in Italia 2016), l’89% delle imprese che aderiscono al Codice hanno costituito un “Comitato per la remunerazione” per sorvegliare i compensi del Ceo, del Presidente e di alcuni ruoli esecutivi. Una pratica che ha una larga applicazione anche nelle aziende non quotate, in quelle a proprietà famigliare, nelle stesse aziende a controllo pubblico. La struttura economica portante del Paese cui Nedcommunity dedica un particolare impegno con i “Principi di corporate governance delle PMI”.
Ma molta acqua è passata sotto i ponti: l’accentuazione della regolamentazione, le forze disruptives che modificano i modelli organizzativi e le stesse forme del lavoro come noi le conosciamo, nonché la messa in discussione della teoria dell’agenzia come unico riferimento, hanno determinato il bisogno di nuovi comportamenti. E il Codice, seguendo l’approccio di “cantiere in progress“, potrebbe utilmente aggiornare i principi e i criteri applicativi in merito alla gestione del capitale umano nel lungo termine.
Peraltro alcuni Comitati (citiamo i casi di Luxottica, Atlantia, Autogrill) hanno già adottato una missione più ampia cambiando il nome in “Comitato risorse umane”, o “Remunerazione e risorse umane”, per poter rappresentare un perimetro di presidio e una tipologia di responsabilità più ampi.
Perché quindi accelerare l’evoluzione proponendo alle aziende qualcosa che suona come un ulteriore elemento di compliance ?

Perché innovare

Perché alcuni cambiamenti, già ben visibili, sostengono la proposta.
Le nuove regole accentuano la responsabilità dei CdA sui fattori non finanziari.
Ne è un esempio l’entrata in vigore dal gennaio 2017 del Dlgs. n. 254 sulla “Comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e sulla Diversità delle imprese di grandi dimensioni”, in attuazione della direttiva 2014/95 del Parlamento Europeo.
Si aggiunga l’azione dei (Soft) Regulators e gli effetti dell’ Integrated Report sulla corporate governance. Inoltre la rete di centri di ricerca quali l’IIRC(International Integrated Reporting Council), il GRI (Global Reporting Initiative) e i suoi standard per la redazione del Bilancio di Sostenibilità di cui il capitale umano è una sezione importante. Così come da anni, con tenacia, il NIBR (Network Italiano per il Business Reporting) offre KPI (indicatori significativi di performance) per settori di business e guide pratiche per la misurazione e il reporting delle risorse intangibili.
Non si dimentichino, poi, i nuovi criteri del mercato dei capitali, ovvero l’attenzione crescente degli investitori istituzionali agli indicatori ambientali, sociali e di governance, i cosidetti “Fattori ESG”. Un elemento decisivo questo, dato che costituisce il motivo principale per sostenere i costi delle indicazioni del Codice. Se ne trovano i segni nei principi di investimento di CalPERS, il potente fondo dei dipendenti pubblici della California e in quelli del Norges Bank Investment Management, il più grande fondo sovrano. Ancora più precisa è la lettera annuale di Larry Fink, Ceo di Black Rock, ai vertici delle società S&P 500 e delle grandi imprese europee. In essa si sottolinea l’imperativo della creazione di valore nel lungo termine e si “promette” una posizione attiva nelle assemblee (oltre ai casi di “misaligned executive compensation“) sulle decisioni inerenti il presidio del capitale umano.

Infine, ci sono alcuni “temi scottanti” che creano rischi di natura diversa per le imprese: nella fattispecie rischi reputazionali, finanziari e operativi.

Per esempio, se la diversità di genere è stata affrontata a seguito della legge Golfo-Mosca nella composizione del Consiglio, nella struttura manageriale essa mantiene arretrate le nostre imprese nei confronti internazionali e le espone a possibili critiche da parte dei consumatori; oppure la retention degli elementi dotati di competenze preziose per il business o il livello di coinvolgimento dei collaboratori. Temi ai quali oggi nel lavoro dei CdA spesso non viene dedicato tempo sufficiente, né specializzazione e responsabilità.

Principi e i criteri applicativi

Un quadro che suggerisce una governance diversa, capace di assicurare una visione di lungo termine del capitale umano. Anche attraverso organi dotati delle competenze e delle informazioni per la valutazione, remunerazione e successione del team di management, la gestione delle diversità, il benessere delle persone, il loro know-how. Se le argomentazioni a sostegno del cambiamento sembrano a questo punto condivisibili, tuttavia rimane aperta l’attuazione. Un problema-obiettivo complesso per gli assetti proprietari, la maturità della cultura di governance nella singola impresa, l’equilibrio tra i poteri del consiglio e quelli degli executives, l’esistenza o meno di altri comitati, nomine, sostenibilità…. Per questi motivi una soluzione unica, un Comitato per il Capitale Umano, apparirebbe scolastica e semplicistica. Avvertito del pericolo, e in attesa di critiche suggerimenti e contributi più articolati, mi limito a formulare tre criteri che il CdA potrebbe adottare: la strategicità delle componenti da presidiare, (per esempio il valore del know how in alcuni settori); una lente di integrated thinking (come non mettere in connessione la politica di remunerazione, gli obiettivi di sviluppo dei talenti e un progetto di internazionalizzazione?); una comunicazione integrata, per esempio, tra la relazione sulla remunerazione e il report di sostenibilità.

In conclusione, una proposta per la gestione del capitale umano non semplice da attuare (come tutti i cambiamenti), finalizzata a modificare una visione parziale del management di un’impresa. Un pensiero confortato dal pioniere della corporate governance. Nel 1992 Sir Adrian Cadbury intuì che le aziende per prosperare devono avere un numero sufficiente di consiglieri non esecutivi di valore, capaci di stimolare e sorvegliare la gestione dei manager.

Cadbury fu l’ispiratore di una definizione chiara, contenuta nella prima versione del Code of Conduct delle imprese quotate a Londra: ” Perciò la Corporate Governance è quanto fa il Board dell’impresa e come fissa i suoi valori. E’ distinta dal management operativo del giorno per giorno degli executives full time “.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

(*) Sandro Catani – Associato Nedcommunity, ricopre ruoli diversi nei Comitati per la remunerazione di Messaggerie Italiane, e-Novia, Marangoni Pneumatici, Cantine Ferrari-Lunelli. Professionalmente è Senior Advisor di Mercer Italia, assiste i CdA delle società quotate e la proprietà delle imprese famigliari sui temi della gestione del capitale umano.
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