IA: solo le grandi aziende tengono il passo
Il mercato italiano presenta le note difficoltà ad approcciarsi a nuove tecnologie e soluzioni rispetto al resto dell’Europa; tuttavia, la spinta di modernizzazione impressa dall'Intelligenza artificiale sta riuscendo a rompere l'inerzia della burocratizzazione e la resistenza al cambiamento. E gli Indipendenti possono fare la differenza nel cogliere le giuste opportunità
Getty ImagesL’Intelligenza Artificiale (IA) è già presente nella nostra vita quotidiana. Per fare un paio di esempi: l’IA è alla base del motore di ricerca intelligente di Google; ancora, è l’AI che guida i suggerimenti dei Social Network e alimenta le logiche alla base delle pubblicità che vengono proposte agli utenti, in linea con i loro gusti e le ricerche svolte. Situazione più articolata è quella all’interno delle organizzazioni aziendali. A livello nazionale e internazionale assistiamo a dichiarazioni di interesse verso l’adozione di soluzioni di IA (in particolare di IA Generativa) che rivoluzioneranno il modo di fare e gestire i business.
Ma in Italia? I numeri sono ancora troppo pochi e a volte inquinati dal fenomeno dell’AI-Washing, che rischia di rappresentare una situazione migliore del reale quando si includono nel conteggio anche tecnologie che semplicemente impiegano automazioni evolute o smart, ma che di AI hanno poco o nulla.
Polarizzazione dei dati
Al netto di ciò, i dati presentano una situazione polarizzata: da un lato, le grandi (poche) imprese che sono al passo con i big player mondiali; dall’altro, le PMI (tante) restie ad allinearsi. Il Politecnico di Milano, nei suoi Osservatori, quantifica in 6 su 10 le grandi che hanno avviato progetti di IA, contro il 6% nelle PMI.
Le cause principali possono esser ricondotte al basso livello di digitalizzazione di base (decine le statistiche a supporto di tale osservazione), alla mancanza di casi d’uso che agevolino la percezione del valore generato, alle inadeguate competenze interne e, infine, all’incertezza normativa. Urge, se non vogliamo rimanere indietro, lavorare su diversi fronti. Il primo è culturale: training, formazione e competenze sono indispensabili. È l’investimento necessario, sebbene non sufficiente, per eliminare preconcetti contrari all’adozione, evitare scelte strategiche sbagliate e non incorrere in rischi non calcolati.
A seguire, ma non meno importante, è lo sforzo interno per ideare i cosiddetti “casi d’uso”, ambiti concreti di utilizzo di soluzioni di IA per dimostrarne il valore, anche rompendo equilibri e abitudini consolidate.
Da ultimo, la definizione di un modello di governo e controllo che garantisca l’adozione di un’IA responsabile e sostenibile, che consenta di mitigare i rischi connessi al suo utilizzo da parte dell’organizzazione, nonché di monitorarne i malfunzionamenti o errori d’uso in ottica di miglioramento continuo.
In questo contesto, i consiglieri non esecutivi non possono non fare la loro parte vigilando affinché le società non perdano l’occasione di integrare opportunamente e consapevolmente nei propri programmi di digitalizzazione soluzioni di IA in grado di portare valore e ritorno.
Come? Acquisendo dal Management informazioni sulle strategie e sui risultati attesi dai piani di adozione dell’IA nonché sulla gestione dei rischi ad essa connessi, oppure, in caso di loro assenza, stimolando i relativi ragionamenti. Ai presidenti dei Board e dei relativi comitati spetta il compito di integrare gli ordini del giorno degli incontri per includere questi temi, secondo competenza. A tale scopo, sempre più i board dovranno interfacciarsi con i Chief Executive Officer, i Chief Innovation Officer e i Chief Information/Digital Officer per la parte strategico-tecnologica, e i Chief Risk Officer, i Chief Compliance Officer, i Chief Information & Security Officer e i Chief Ethics Officer per le dimensioni rischi, security, etica e compliance ai regolamenti applicabili.