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I ned: protagonisti della buona governance alla ricerca di riconoscimento

Crescono responsabilità e soprattutto domanda di competenze in chiave Esg da parte delle aziende. I consiglieri indipendenti sono ormai dei professionisti ma i loro sforzi, spesso, non sono adeguatamente remunerati. L’evoluzione di questa figura al centro del Forum del Ventennale di Nedcommunity

Un ruolo dalle crescenti responsabilità e competenze in attesa di un vero riconoscimento, anche economico. Sembra questo il profilo del consigliere indipendente emerso nel corso di una delle tre sessioni di lavoro organizzate il 26 novembre in occasione dell’ultimo evento/convegno per il Ventennale di Nedcommunity, organizzato al Westin Palace di Milano.

Il dibattito è partito proprio dall’assunto della moderatrice Alessandra Stabilini, consigliere di amministrazione Enel e associata di Nedcommunity, che ha subito messo in evidenza come la figura degli indipendenti sia cresciuta di importanza in questi venti anni e continui a farlo. Tale evoluzione, però, ha fatto emergere un nodo che va sciolto: il mix fra ruolo, rischi e responsabilità è difficile da comporre anche per l’ampliamento proprio di quest’ultima.

Oggi il ned è un professionista dalle tante virtù: indipendenza, competenza, professionalità, capacità di portare nel board un punto di vista diverso, coraggio. Inoltre, deve affrontare sfide crescenti: la sostenibilità con la nuova funzione che le grandi corporation sono chiamate a ricoprire nella società e, di conseguenza, anche il nuovo ruolo che i board devono assumere; l’evoluzione tecnologica in termini di opportunità e di rischi.

Un contesto complesso e in continua evoluzione che vede ancora gli indipendenti in una posizione “quasi ai margini” del processo decisionale. Per Marco Ventoruzzo, presidente AMF Italia, e membro del comitato scientifico di Nedcommunity, non esiste una vera differenza fra il ned e l’amministratore “non esecutivo che non sia non indipendente”: l’unica consiste nel fatto che l’indipendente svolge il suo lavoro in una posizione che, da un punto di vista probabilistico, più raramente annovera motivazioni diverse da quella esclusivamente di amministratore di una specifica società. Né si possono evidenziare differenze sul piano della diligenza e degli obblighi di lealtà: lo standard è identico. Diverso è il discorso quando si parla di compiti concretamente affidati che di certo possono incidere sul fronte della responsabilità: da questa prospettiva è indubbio che gli indipendenti e i non esecutivi siano messi alla “frontiera” di tutta una seria di tematiche complesse e in evoluzione, alcune tra le più delicate, inerenti alla tenuta dei sistemi.

Per Roberta Pierantoni, consigliere Indipendente e Lead Independent Director Banca Mediolanum S.p.A., oltreché associata Nedcommunity, il ruolo centrale di indipendente impone una conditio sine qua non: arrivare in cda con una conoscenza delle tematiche da trattare. Per questo motivo l’interazione pre-consiliare è centrale, anche con l’amministratore delegato. Mettere il dito nella piaga durante il consiglio non paga e aumenta la conflittualità: l’indipendente, in sostanza, deve riuscire a intervenire laddove ce ne è bisogno, alzando la bandierina rossa se necessario, ma con il dovuto tatto e con tempi ben calibrati. Per questo motivo centrale diventa la collaborazione con i colleghi: in tale ottica la distinzione fra indipendenti di maggioranza e di minoranza dovrebbe essere messa da parte perché porta a inasprire i rapporti e finisce per alimentare dinamiche dannose per la società e il lavoro.

Si pensi all’espressione del dissenso. Uno dei compiti dei ned consiste nel fare monitoraggio e dare stimoli, ma a un certo punto può essere necessario assumere una posizione difforme su situazioni strategiche. Nel momento in cui si agisce come amministratore di minoranza non si hanno vincoli di comportamento e di preparazione del terreno quando in consiglio si dovrà dire un “no”. L’amministratore di maggioranza, invece, è chiamato a dare segnali, ma anche lui, a un certo punto, in forza della sua indipendenza, sarà chiamato a non allinearsi a una situazione non condivisa.

Quel che è certo è che la figura dell’indipendente sta rafforzando il proprio ruolo di monitoraggio e valutazione anche grazie al momento storico che stiamo attraversando, caratterizzato dalla transizione vero un modello sostenibile. Silvia Stefini, consigliere Indipendente Leonardo, e presidente Chapter Zero Italy – The Nedcommunity Climate Forum, lo dice chiaramente.

Ci sono molte sfide rispetto alle quali al ned sono richieste competenze molte ampie: la sostenibilità è una di queste, perché ha a che fare con il business puro e con la sopravvivenza dell’azienda stessa nel lungo periodo. Il ned è distaccato dal day to day e quindi è in grado di vedere con occhi diversi, porta la propria esperienza lavorando con gli altri, è libero di focalizzarsi sulla comprensione di quello che è il business model. L’indipendente, secondo Stefini, deve fare il proprio lavoro con serenità anche sul fatto di non essere rinnovato: servono quindi capacità di dissenso, di negoziazione, il coraggio di fare un passo indietro se si ha torto ma anche di essere irremovibili se necessario.

Capacità di analisi e di mettere in dito nella piaga, meglio prima che l’azienda intraprenda una strada sbagliata, sono quindi competenze richieste all’indipendente. Secondo Antonella Negri Clementi, consigliere direttivo Nedcommunity, un ned svolge un ruolo fondamentale in questa direzione, soprattutto nelle aziende familiari dove il suo contributo può aiutare a evitare situazione di crisi o a gestirle nel modo migliore se ormai conclamate. Un compito non facile ovviamente: nel cda di queste imprese il ned è spesso solo ma se inizia a intravedere tutti i sintomi di una gestione errata (incapacità di fornire dati sistematici, previsionali e finanziari, cali duraturi del business, fuga di talenti), deve agire e forzare una presa di posizione, facendo quadra con gli altri consiglieri più avveduti e con il collegio. Soltanto così sarà in grado di far prendere coscienza al board e all’imprenditore della situazione.

All’indipendente è richiesta, quindi, visione strategica che si sposi con un approccio forward looking. Si tratta di un obiettivo difficile da raggiungere soprattutto nelle situazioni di crisi, quando le informazioni a disposizione sono ondivaghe e opache. Per tale motivo è necessario avere coraggio e capacità di esprimere il dissenso: se non lo si fa, vuol dire che non si è in grado di svolgere questo mestiere per il quale sono necessarie doti personali ed etica, capacità di equilibrio e determinazione per andare dritto al punto.

Non a caso quando un’azienda cerca un consigliere oggi richiede ai recruiter caratteristiche ben differenti rispetto al passato. La conferma viene da Nicola Gavazzi, partner di Russell Reynolds Associates che sottolinea come prima si preferisse per questo ruolo un “bel nome”. Oggi, sempre di più, si parte dal bisogno di disporre di buone abilità e di una comprovata esperienza. Le chiedono il 99,9% degli azionisti. In particolare, si cercano consiglieri che portino una grande competenza verticale ma sappiano allo stesso tempo interagire a livello orizzontale con tutti e su tutto. In Italia c’è bisogno anche di profili internazionali, esigenza che si scontra, però, con compensi eccessivamente bassi. Un tema molto caldo che ha attraversato trasversalmente tutti gli eventi organizzati per il Ventennale di Nedcommunity. Gavazzi lo dice senza mezzi termini: “Se vuoi fare seriamente il consigliere devi leggere tutto ed essere preparato, quindi dedicare a questa attività molto tempo: di conseguenza devi essere remunerato in modo corretto”.

Questo, però, ancora non accade, come conferma anche Andrea Melis, direttore del Journal of management and governance, almeno in Italia. A fronte di un cambiamento epocale del ruolo e di un forte aumento delle responsabilità, infatti, non sembra esserci un aumento corrispettivo dei compensi nel nostro Paese. Melis racconta di aver indagato la relazione fra rischio, responsabilità e remunerazione trovando che uno dei driver è proprio la responsabilità formale e come viene percepito il rischio per l’amministratore indipendente in un dato Paese: questo è, per esempio, elevatissimo negli Usa dove, infatti, i compensi sono molto alti. Secondo aspetto è che il rischio reputazionale Esg a livello di impresa conta: le aziende che legano eventuali danni alla reputazione ai principi ambientali, sociali e di governance, sono costrette a offrire cifre più alte perché il rischio reputazionale può riflettersi sulla responsabilità degli amministratori. Tranne le grandi aziende, in Italia le remunerazioni sono molto basse e tendenzialmente scollegate dal rischio reputazionale.

Un altro studio ha poi messo in evidenza che le imprese che danno più voce ai ned integrano maggiormente i criteri Esg nei compensi degli amministratori. Questo accade anche in Italia? Sì, ma soltanto nelle aziende che hanno un maggior numero di indipendenti a conferma che la presenza dei ned incentiva le buone pratiche.

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