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I ned motori della buona governance alla ricerca di una definizione

La crescita della buona governance è andata di pari passo con l'aumento della presenza di consiglieri indipendenti che da sempre fanno della professionalità e della competenza il loro cavallo di battaglia. La loro figura al centro dell'evento per i venti anni di Nedcommunity

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Un’evoluzione costante quella della corporate governance, anche in Italia, dove il processo di maturazione di cui è stata protagonista è testimoniato anche, se non soprattutto, dall’accresciuto ruolo dei consiglieri indipendenti dei quali, però, ancora non si è riusciti a dare una definizione “in positivo”: il Tuf, ovvero il Testo unico della finanza, individua per esempio i casi in cui gli amministratori non possono essere definiti indipendenti.

L’evidenza di questo cambiamento è stata al centro dell’evento L’evoluzione della governance e il ruolo degli indipendenti organizzato il 30 ottobre scorso a Roma presso la sede dell’Abi (Associazione bancaria italiana) da Nedcommunity per festeggiare i venti anni di fondazione. Il tutto in una fase storica molto delicata e in evoluzione, come ha ricordato il presidente Alessandro Carretta, che ha parlato di “forte discontinuità anche dal punto di vista normativo” riferendosi al decreto Capitali e all’imminente riforma del Tuf.

Venti anni di impegno per la buona governance

“Anche in questo scenario Nedcommunity – ha spiegato il numero uno dell’associazione – partecipa al dibattito con i suoi esperti e i suoi gruppi di lavoro che coinvolgono centinaia degli oltre 800 associati. Il nostro impegno, grazie al contributo dei nostri corporate partners su temi di forte attualità, si è allargato negli anni fino a includere il clima attraverso ChapterZero, l’attività formativa con NedValue e la collaborazione internazionale attraverso la nostra adesione a ecoDa, la federazione europea dei directors. Lavoriamo, inoltre, a un costante scambio fra giovani e meno giovani protagonisti della governance grazie a un progetto di mentoring che consenta ai nostri associati con più primavere alle spalle di condividere le loro esperienze con i soci che desiderano avere un quadro di riferimento generale”.

Da questo scambio continuo di idee e di contributi è emerso chiaramente come evoluzione della governance e sviluppo del ruolo degli indipendenti siano strettamente legati nel nostro Paese. Eppure, come ha ricordato la padrona di casa, Chiara Mancini, vicedirettrice Generale ABI, “in questi due decenni la normativa non è riuscita a dare una definizione in positivo di questa figura. Vorrei ricordare un articolo del 2008 del professore Paolo Ferro Luzzi che per primo ha cercato di cimentarsi nell’impresa sottolineando in primo luogo che ‘è indipendente l’amministratore che ha una reputazione personale e professionale da salvaguardare superiore a quella della carica conferitagli’.

La professionalità e la competenza riconosciuta sono, quindi, ciò che in primo luogo contraddistingue questo ruolo perché grazie a tali strumenti l’indipendente è in grado di accorgersi di un problema e di un rischio e di sollevare la questione a prescindere dagli interessi in questione. Non a caso, in un contesto storico come quello in cui viviamo, ricco di sfide e rischi, il peso degli amministratori indipendenti è cresciuto nel tempo: nelle quotate è salito dal 43% del 2013 fino al 51% nel 2023. Nelle grandi aziende è pari al 60%, molto importante la loro presenza anche nelle società di medie dimensioni dove si è oltre il minimo richiesto di due ned a cda. Se la governance delle società italiane è una buona governance, allora una buona parte del merito lo si deve agli indipendenti”.

Esg: terza lettera al centro

Di certo ne è convinto il coordinatore della tavola rotonda al centro del convegno, Fabrizio Rindi, vicepresidente e cofondatore di Nedcommunity: “Quando nel 2004 abbiamo capito la necessità di formare un’associazione che rappresentasse questa figura evocata da altri organismi internazionali, i nostri grandi riferimenti erano il codice Cadbury che già da un decennio faceva scuola nel mondo anglosassone. Nel 2000 il Codice di autodisciplina aveva tracciato i contorni di questa figura e noi abbiamo iniziato a fornire il nostro contributo con dei quaderni inaugurando un percorso che arriva fino a oggi. Dopo venti anni di attività mi chiedo personalmente se sono soddisfatto e la mia risposta è positiva. Aggiungerei una riflessione che condivido abbastanza spesso ultimamente: oggi il concetto di sostenibilità – che trova nell’acronimo Esg la sua sigla – è al centro del dibattito. Quando parlo con i giovani amo sottolineare che la ‘g’ di governance dovrebbe stare per prima o al di sopra del sistema, perché proprio la governance rappresenta il motore di questo cambiamento. Dove si prendono le decisioni perché la sostenibilità inizi il suo percorso? Nel board. Chi si occupa di monitorare i passi avanti compiuti nel su questo terreno? Ancora una volta il board”.

Chiara Mosca, commissario Consob, ha ricostruito l’evoluzione della figura dell’indipendente dalla sua nascita negli Usa negli anni Cinquanta fino alla diffusione in Europa e in Italia dove è regolata da principi di soft law. “L’analisi del comitato sulla Corporate governance di Consob ha messo in evidenza che nel nostro Paese si è registrato soltanto il 2% di casi di disapplicazione sistematica dei criteri del Codice di corporate governance ed è ormai da tanti anni che registriamo un miglioramento della governance nelle imprese italiane. Ritengo quindi di poter affermare che in questo momento di riforma del Tuf la governance abbia raggiunto una buona architettura complessiva, condizione necessaria per il rilancio del mercato di capitali e di incremento di capitalizzazione in Borsa. La governance non è più un alibi per alcune lamentate inefficienze del nostro mercato”.

La governance misura dei profili di rischio

Anche per Alessandra Perrazzelli, membro del Direttorio della Banca d’Italia e vicedirettrice generale la “governance rimane nel mirino”, sempre al centro dell’attenzione della vigilanza. “Se andiamo a guardare la parte nevralgica del processo di valutazione prudenziale come lo SREP (Supervisory Review and Evaluation Process) emerge come sia associata a valutazioni che hanno alla base analisi orizzontali strettamente legate al governo societario come diversità di genere e di competenze o capacità di conoscere i mercati. Le analisi confermano che sono stati compiuti passi avanti significativi. Negli ultimi cinque anni, a fronte di un aumento della dimensione media delle nostre piccole banche, i board sono rimasti invariati (8 membri), coerentemente con le previsioni normative; le donne presenti sono aumentate dal 17 al 28% anche se nelle posizioni manageriali siamo fermi al 5%; la quota di amministratori nel medesimo board per più di nove anni è scesa dal 29 al 24%. Altri indici di buona governance acquisiti sono ovviamente il 25% di indipendenti nei cda“.

Certo non mancano i margini di miglioramento, anche in Europa, come ha messo in evidenza Mario Nava, direttore generale della Commissione europea. Partendo proprio dalla diversità di genere Nava ha sottolineato come abbia “un impatto positivo, eppure in Europa si registra un pay gap del 12/13% tra uomini e donne e un pension gap del 25%; inoltre la presenza femminile nel board si attesta intorno al 30% ma l’UE ambisce ad arrivare al 40%. In questo senso l’Italia fa scuola. Bassa la percentuale di donne ceo”.

Maurizio Leo, viceministro dell’Economia e delle Finanze, infine si è soffermato sul rischio fiscale che può avere un impatto non indifferente sull’azienda e sulla stessa reputazione degli amministratori: “Per tale motivo già dal 2015 anche in Italia è prevista la cooperative compliance, ovvero la possibilità per le imprese strutturate di fare un accordo collaborativo con l’obiettivo di instaurare un rapporto di fiducia tra amministrazione e contribuente che miri ad un aumento del livello di certezza sulle questioni fiscali rilevanti”. Leo in chiusura del suo intervento ha affrontato anche il tema dell’adozione dello strumento delle stock option, molto diffuso all’estero, come elemento di remunerazione degli indipendenti, ipotizzando un loro utilizzo per gli indipendenti con l’avvertenza che “ne deriverebbe sul versante fiscale un effetto impositivo sulla base del valore normale”.

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