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I Consiglieri Indipendenti dovrebbero essere compensati per la performance

A quasi vent’anni dal Codice Preda, mentre il numero e il peso dei consiglieri è cresciuto sino a rappresentare il 43,8% del totale degli amministratori delle aziende quotate a Milano, il loro compenso non sembra al passo con l’aumento delle

di Sandro Catani (*) e Susanna Stefani (**)
  

A quasi vent’anni dal Codice Preda, mentre il numero e il peso dei consiglieri è cresciuto sino a rappresentare il 43,8% del totale degli amministratori delle aziende quotate a Milano, il loro compenso non sembra al passo con l’aumento delle responsabilità né tanto meno con l’andamento dei compensi del management. Infatti i consiglieri indipendenti – 940 secondo l’ultima analisi Assonime – hanno ricevuto nel 2017 un compenso fisso annuale, commisurato in qualche misura alla dimensione e alla complessità dell’Emittente: dai 32mila euro delle Small Caps ai 101mila euro medi nelle società del FTSEMIB. La media del compenso totale, inclusi gli incarichi nei Comitati Endoconsiliari, è stato di 56mila euro, con un trend sostanzialmente stabile negli ultimi anni.

Una politica dettata dalla preoccupazione di contenere i costi della governance? La sottovalutazione del valore di “attrarre, trattenere e motivare persone dotate delle qualità professionali richieste”? Non proprio: la prassi italiana del compenso fisso è guidata da un criterio di prudenza, una sorta di ovvio non dimostrato, che paventa rischi per l’autonomia di giudizio e per il ruolo di garanzia verso gli azionisti. La pregiudiziale abbraccia tutte le forme di compenso variabile, sia esso basato sul cash che sugli strumenti finanziari. Un’argomentazione poco convincente.

Come diceva un Maestro del diritto “l’indipendenza è una categoria dello spirito” e, peraltro, in termini economici la dimensione delle opportunità di compenso variabile è ben inferiore alle opportunità economiche dei consiglieri indipendenti. Una politica retributiva, al contrario, che rende deboli le nostre imprese, in particolare le piccole e medie, nell’attrarre le competenze necessarie e nell’assicurarsi il loro impegno.
Una soluzione illustrata nel 2011 su questa Rivista suggeriva di pagare il tempo dedicato, stabilendo un’equivalenza con le fees riconosciute ad alcune professioni comparabili. Un contributo utile per il dibattito, ma che, a parte l’arbitrarietà sottesa alla scelta del panel di confronto, lascia irrisolto il nodo della responsabilità sulla performance. Perché la chiave della remunerazione di un Consigliere Indipendente è se si possa configurare, oltre la funzione di controllo, una sua performance individuale e, in caso affermativo, come la paghiamo. Non si esaurisce nella determinazione del suo quantum, basso o alto che sia.

Forse è meglio confrontarci con altri paesi e “scoprire” quanto siano variegate le politiche di remunerazione dei consiglieri non esecutivi e che un compenso variabile può essere compatibile con le regole. L’esempio più illuminante è quello americano dove nel 1995 un “Blue Ribbon Commission Report” ha impresso una svolta nel ruolo e nel compenso del Director. Abbandonando le pensioni, i benefits e le stock options, la Commissione ha promosso l’assegnazione di strumenti finanziari diversi ai consiglieri non esecutivi, bilanciati da un’impegnativa politica di “Stock Ownership”. L’Europa, dal canto suo, presenta politiche disomogenee nel quantum: un‘indagine 2016 evidenzia un emolumento per il Board mediano annuo di 76mila euro in UK, 90mila euro in Germania, sino ai 197mila della Svizzera! Ma è nel come che si riscontrano le differenze sostanziali. In Svizzera e in Finlandia una parte delle fees annuali è pagata in azioni, così come in Germania è diffuso un variabile basato sul cash e su strumenti finanziari, a condizione che siano legati a obiettivi di sostenibilità dell’impresa.
Perciò una prima evidenza: le prassi internazionali non confortano la politica italiana della remunerazione fissa. Anche se le guideline dell’International Corporate Governance Network (ICGN) e la politica europea dell’International Services Shareholder (ISS) sconsigliano le Performances Award.

In secondo luogo, una ricognizione della normativa che regola una società quotata italiana sulla materia evidenzia adempimenti e prudenze più che divieti. Le Raccomandazioni comunitarie consentono una remunerazione agli amministratori in termini di strumenti finanziari, purché legati al valore creato nel lungo termine e all’obbligo di conservare le azioni sino al termine del mandato. Mentre l’articolo 114 bis del TUF sul punto non differenzia tra gli amministratori, limitandosi a fissare l’obbligo che i piani di compenso basati su strumenti finanziari per i componenti del consiglio di amministrazione, dipendenti e collaboratori siano approvati dall’Assemblea dei Soci.

Infine, l’articolo 6 del Codice di Autodisciplina contempla la possibilità di erogare una parte variabile, purché risulti una componente “non significativa” legata ai risultati economici dell’Emittente e non sia basata su azioni, salvo motivata decisione dell’Assemblea dei Soci. In definitiva il quadro normativo italiano non preclude (salvo nei settori finanziari regolati) un compenso performance-based.

Alla luce di queste evidenze sosteniamo l’ipotesi che il compenso possa essere ripensato in funzione delle specificità dell’impresa: il settore in cui opera, il modello di proprietà, la sua fase strategica. Riusciremo in tal modo a meglio allineare l’interesse dell’azienda e dei suoi stakeholders ad attrarre le competenze necessarie e la motivazione degli individui al riconoscimento della performance realizzata. Nella situazione attuale, caduti o in via di estinzione i vecchi meccanismi della cooptazione tipici del nostro capitalismo relazionale, sono le competenze e la reputazione delle persone che siedono nei consigli di amministrazione a fare la differenza per gli investitori, per i partner, per gli stessi dipendenti. Perciò l’attrazione di nuove diversità, in primis quella dei consiglieri “stranieri” dopo il rafforzamento della componente femminile, richiede un’offerta più competitiva in un mercato che non si ferma a Chiasso!

Quale potrebbe essere una soluzione? Tenuto conto dello spazio disponibile ci limitiamo a sintetizzare cinque criteri: definire una performance del Board, esempio la crescita del valore nel ciclo di mandato, con indicatori pubblici quali il TSR Assoluto, più indicatori legati all’impatto ambientale e sociale; secondo, escludere gli indicatori gestionali di breve e preservare la responsabilità di watchdog sul management; terzo, fissare un compenso variabile basato su strumenti finanziari con adeguati cicli di vesting e di lock-up o in cash, a seconda dell’azienda. Quarto criterio, la ragionevolezza del compenso variabile massimo rispetto al valore e al livello di sfida degli obiettivi. Infine, decisiva, la disclosure con la narrazione dei razionali e dei benefici per l’impresa delle condizioni poste a base del compenso variabile. Criteri generali che volentieri offriamo al dibattito e, speriamo, ad Azionisti e a Board coraggiosi che decidano di intraprendere una nuova strada.

Ricordando Melchiorre Gioia, che già nel 1818 scriveva “Del Merito e delle Ricompense”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

(*) Sandro Catani Associato Nedcommunity, Senior Advisor Mercer. Ricopre ruoli diversi nei Comitati per la remunerazione di Messaggerie Italiane, e-Novia, Cantine Ferrari-Lunelli. Assiste i CdA delle società quotate e la proprietà delle imprese famigliari sui temi della gestione del capitale umano e dell’executive remuneration ([email protected]).

(**) Susanna Stefani, Associata Nedcommunity, fondatrice di GC Governance Consulting, dà consulenza di governance e organizzazione a società quotate sia a capitale pubblco che familiare. E’ Presidente di una azienda quotata; Consigliere e componente del Comitato Nomine e Remunerazione di una grande società infrastrutturale; docente di corporate governance.([email protected])

Riferimenti

  • Assonime -Note e Studi 2-2018 – La Corporate Governance in Italia: autodisciplina, remunerazioni e comply-or-explain
  • Cera M., Le società con azioni quotate nei mercati, Zanichelli editore, marzo 2018
  • Jensen Michael C. – Murphy Kevin J., Ceo Incentives: it is not how much you pay but how; Harvard Business review, May–June 1990
  • Codice di Autodisciplina della aziende quotate, luglio 2015
  • Effective Governance Outlook (EGO), Il punto sugli Amministratori Indipendenti, n.3 gennaio
  • International Corporate Governance Network (ICGN), Guidance on Non-Executive Director Remuneration for ICGN Member approval at the Annual General Meeting, 2016
  • International Shareholder Services – (ISS) European Policy – Non-Executive Director Remuneration
  • Mercer Italia, 6° Studio sui compensi dei consigli di amministrazione delle società FTSE-MIB, 2018
  • National Association Corporate Directors (NACD), Blue Ribbon Commission Report on Director Professionalism, 1996
  • Pay Governance, Board of Directors Compensation: Past, Present and Future; March 2017
  • Raccomandazione 2009/385/UE in materia degli amministratori delle società quotate
  • Taranto F., I compensi degli Indipendenti, in La voce degli Indipendenti n.6, gennaio 2011

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