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Governance del futuro: indipendenti al centro di una profonda evoluzione

Le imprese hanno dovuto rispondere con modelli di governance e gestione dei rischi più complessi e multidisciplinari alle sfide attuali e future, come quelle legate alla sostenibilità e all’avanza dell’intelligenza artificiale, con un impatto su responsabilità e ruolo degli amministratori ancora tutto da valutare. Serviranno più indipendenti nei cda per governare questa evoluzione?

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È inequivocabile che ci si stia confrontando anche nel mondo della governance con un’accelerazione nel cambiamento degli scenari di riferimento con conseguenti riflessi sugli organi di governo delle imprese che debbono essere capaci di rapide prese di posizione e decisioni conseguenti a tutela del patrimonio e degli obiettivi aziendali.

Un nuovo contesto altamente sfidante

Se vogliamo solo per chiarezza elencare i fenomeni a cui si fa riferimento ricordiamo la pandemia, gli eventi bellici e due fattori che sicuramente caratterizzeranno sempre più il dibattito è il confronto nella governance societaria: la sostenibilità e la tecnologia. Questo nuovo contesto richiederà una revisione completa del codice di corporate governance o semplicemente una estensione che tenga conto del nuovo scenario? Come qualcuno sostiene, il fatto di tener conto di come l’universo di riferimento stia cambiando, non può far dimenticare alcuni aspetti di governance che restano capisaldi del sistema anche nella nuova evoluzione come le relazioni tra azionisti, azionisti e board, le liste del Cda, il ruolo dell’operazioni con parti correlate e così via.

La novità è rappresentata soprattutto dalla evidenza che per una progettualità solida nel tempo, una impresa deve essere sempre più capace di una visione e di una gestione conseguente che non possa prescindere da una valutazione del contesto esterno e da una evoluzione del ruolo d’impresa che la vede evolvere da soggetto che massimizza il profitto del capitale – come nel caso di imprenditori illuminati capaci di nazioni di “generosa liberalità” – a soggetto attento alla “corporate social responsibility“ che oggi ponga al centro della sua progettualità l’attenzione alla società e all’ambiente in un concetto di “sostenibilità“. Quindi personalmente ritengo che un’attenta analisi di aggiornamento del codice sia opportuna ma integrando le nuove sfide con le regole esistenti, se ancora attuali, cercando come sempre cosa utile di sfrondare e quindi rendere la materia completa e coerente con le nuove sfide ma non ridondante.

Ci chiediamo poi se gli amministratori indipendenti saranno il volano che favorirà questa evoluzione di governance. Sicuramente l’introduzione della figura del consigliere indipendente ha imposto nei consigli di amministrazione un dibattito più serrato una presa di decisioni più condivisa e quindi nel confrontarsi con questi nuovi scenari, a cui abbiamo fatto prima riferimento, saranno sicuramente di stimolo e di supporto. Perché questo avvenga, però, il consigliere indipendente deve essere capace di competenza, autorevolezza, proattività, visione strategica e coraggio.

Ecco, un buon consigliere e a maggior ragione un consigliere indipendente, deve possedere un buon mix di hard (competenze) e soft (comportamenti) skills per rendere il suo contributo particolarmente significativo. Quindi, a maggior ragione venendo ai fattori di disruption a cui ho fatto riferimento prima è evidente che la presenza nei consigli di figure indipendenti portatrici di competenze adeguate ai tempi sarà sempre più necessaria. Le statistiche ci dicono tra l’altro che le aziende più innovative capaci di operazioni di acquisizione e di internazionalizzazione siano quelle al cui interno siedono a un certo numero di consiglieri indipendenti.

Credo che questo derivi anche dal fatto che tale figura che appare sulla scena in maniera sempre più “evidente” negli ultimi decenni sia stata portatrice di confronti ad ampio raggio in ambito consiliare a cui prima le aziende non erano avvezze. I consigli di amministrazione, infatti, un po’ di anni fa, erano formati in maniera un po’ più “conservativa “. E spero che questa definizione sintetica sia chiaro a tutti. Adesso, forse, l’ampiezza delle necessità di competenze favorisce il ricorso a figure professionali più attuali e magari indipendenti.

L’importanza di una corretta induction e del risk assessment

Non vorrei, però, che questo portasse a una conformazione di consigli di amministrazione di specialisti poco integrati nello specifico business della società in cui siedono in consiglio. Ecco, quindi, che una costruttiva attività di “induction” per creare una cultura comune dell’impresa amministrata sarà un complemento sempre più necessario per mantenere gli organi di governo aggiornati e capaci di prendere opportune decisioni sulle varie tematiche che verranno proposte in consiglio.

Come anche credo che oggi, più di ieri, nel confrontarsi con questi nuovi scenari sia evidente che un’attenta capacità di risk assessment periodica debba fare parte della cultura di un consiglio di amministrazione. E questo a mio avviso dovrebbe essere patrimonio di ogni azienda e non solo di quelle che ne sono obbligate dalle regole di settore.

Un tale approccio lo immaginavo già più o meno vent’anni fa quando interessandomi di una società di brokeraggio assicurativo avevo immaginato di spacchettare il servizio in attività di risk assessment/risk management e trasferimento del rischio sostenendo che il servizio di risk assessment sarebbe stato di grande utilità per un consiglio di amministrazione che avrebbe dovuto richiederlo ed esaminarlo almeno una volta all’anno.

Vorrei concludere con qualche riflessione pratica con riferimento soprattutto a come affrontare il tema della sostenibilità promuovendola in stretta correlazione con gli obiettivi di sviluppo e redditività delle aziende sempre come consiglieri di amministrazione. Gli obiettivi che si pongono le nuove regole di governance che derivano dall’invito dell’ONU con l’agenda 2030 ripresa a livello europeo dall’accordo di Parigi sono molto ambiziosi.

La storia ci ha insegnato che il mondo non procede in maniera lineare ma, al contrario, in modo assolutamente irregolare. Quindi penso che anche il perseguimento di questi obiettivi dovrà subire nel corso del tempo l’accettazione di difficoltà inattese ed essere anche coerente con un allineamento agli interessi di sviluppo delle singole aziende.

Per cui anche gestendo questo tema, un consiglio di amministrazione, pur mantenendo alta l’asticella degli obiettivi a riguardo, non potrà non tener conto di alcune necessità di adattamento che forse dovranno ritardare o modificare gli obiettivi a suo tempo fissati. E qui la sensibilità dei consiglieri con o senza deleghe farà sicuramente la differenza. I 17 development goals sono la raffigurazione di un mondo ideale a cui dobbiamo tendere ma non possono essere un sogno che faccia perdere di vista la concretezza delle azioni necessarie per un buon equilibrio tra obbiettivi sfidanti e quelli raggiungibili.

 

 

 

 

 

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