Banche e Finanza

Gestione crisi bancarie: l’Italia fa scuola anche in Europa

Il Single Resolution Board (SRB) dichiara di aver condotto un'approfondita revisione strategica spostandosi dalla pianificazione e preparazione delle risoluzioni verso una nuova attenzione allo sviluppo degli strumenti per l'operatività e ai piani per i test di risolvibilità delle crisi

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Il passaggio dal tradizionale metodo italiano di salvataggio delle banche in crisi allo schema europeo della “resolution” è stato, come noto, davvero traumatico. Il recepimento della Direttiva 2014/59/UE (Banking Recovery and Resolution Directive, BRRD) è avvenuto con i decreti legislativi 180 e 181 del 16 novembre 2015; il Single Resolution Mechanism (SRM), parallelo al Single Supervisory Mechanism (SSM), è stato istituito dal Regolamento 806/2014/UE e ha preso avvio dal 1° gennaio 2016.

Nel frattempo, però, la vera discontinuità verso il regime di gestione delle crisi di stampo europeo, era avvenuta in occasione del braccio di ferro con la Commissione europea sul salvataggio della Cassa di Risparmio di Teramo, avviato nel 2013 grazie all’intervento finanziario del Fondo Interbancario di tutela dei depositi (FITD)[1], applicando il principio del minor onere rispetto al rimborso dei depositi protetti.

L’operazione era stata avversata duramente dalla Commissione, che il 23 dicembre 2015 aveva stabilito che l’intervento del FITD costituiva un aiuto di Stato illegittimo e doveva essere recuperato (cosa evidentemente irrealistica). L’interpretazione della Commissione è stata nettamente sconfessata dal Tribunale dell’UE che, a seguito dei ricorsi della Repubblica italiana, della banca che aveva incorporato Tercas e del FITD (con l’intervento della Banca d’Italia), con sentenza del 19 marzo 2019[2] ha annullato il provvedimento del 2015, confermando la natura privata del FITD (che aveva agito nell’interesse delle banche consorziate) e la non configurabilità di un aiuto di Stato. La Commissione ha impugnato presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea che, con sentenza del 2 marzo 2021[3], ha riconfermato l’errore di diritto della Commissione.

Un pesante effetto negativo l’interpretazione massimalista della Commissione l’aveva però frattanto avuto, perché, prima che le Corti europee si esprimessero, le vicende delle crisi bancarie in Italia erano state fortemente condizionate dalla messa al bando degli interventi “alternativi” dei Fondi di garanzia che avevano consentito la soluzione positiva delle crisi bancarie italiane, senza perdite per i depositanti e altri soggetti interessati[4]. In particolare, quattro banche (Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Carichieti e Cassa di Risparmio di Ferrara), immediatamente dopo il recepimento della BRRD, sono state sottoposte alla procedura della risoluzione con un duro prezzo pagato dagli stakeholder e dalle banche, che si sarebbe potuto evitare.          

La Commissione sembra ormai aver riconosciuto la necessità di voltare pagina, prendendo anche atto della mancata realizzazione del terzo pilastro della Banking Union e vale a dire di un sistema europeo di assicurazione dei depositi[5].

Il 18 aprile 2023 la Commissione ha, infatti, presentato una proposta di revisione del quadro europeo optando, in estrema sintesi, per modifiche volte a:

  • ricomprendere con chiarezza le banche piccole e medie nella sfera di applicazione della risoluzione delle crisi[6];
  • chiarire maggiormente le condizioni in base alle quali si può dichiarare che la risoluzione della crisi non è nell’interesse pubblico;
  • aumentare la protezione dei depositanti equiparando tutti i depositi con l’eliminazione, in particolare, della seniority dei fondi forniti dai DGS;
  • consentire anche nell’ambito della risoluzione l’accesso a reti di sicurezza finanziate dall’industria, come i DGS, quando ciò è meno costoso che risarcire i depositanti dopo il fallimento, in tal modo proteggendo meglio i fondi dei tax-payers;
  • armonizzare le pratiche di risoluzione in tutta l’UE.

Sembra che, in larga misura, il modello italiano della gestione delle crisi (che ricorre in una fase anticipata a fondi di garanzia dei depositi) stia – per fortuna – ispirando anche il legislatore europeo. Con queste premesse è, dunque, molto importante capire se il superamento dell’impostazione indifferente ai salvataggi sia stato già metabolizzato nei meccanismi europei e verso quale modello di gestione delle crisi si stia andando.

È interessante a questo proposito il recentissimo documento “SRM Vision 2028”[7] del Single Resolution Board (SRB), agenzia che ha il compito di attuare una risoluzione ordinata delle banche in dissesto nell’area euro, preparandola (per quanto possibile) e gestendo il Single Resolution Fund (SRF). Il SRB dichiara di aver condotto un’approfondita revisione strategica che dovrebbe segnare un chiaro cambio di marcia, spostandosi dalla pianificazione e preparazione delle risoluzioni verso una nuova attenzione allo sviluppo degli strumenti per l’operatività e ai piani per i test di risolvibilità delle crisi.

Il lavoro iniziale dell’SRB è stato incentrato sulla costituzione del SRF, sull’elaborazione delle politiche e delle sue “aspettative” per le banche di sua competenza; sulla policy per il MREL (Minimum Requirement for own Funds and Eligible Liabilities).  I casi del Banco Popular Español e della Sberbank (unici in cui il complesso meccanismo della risoluzione ha trovato applicazione) avrebbero dimostrato che il SRB è in grado di agire.

Qualche spunto concreto sulla Vision 2028. L’SRB mira: a rafforzare la gestione centralizzata delle crisi; ad aumentare le ispezioni in loco (rese più profonde); a stringere la collaborazione con le NRA (National Resolution Authorities); a semplificare la pianificazione della risoluzione; ad utilizzare maggiormente le tecnologie. Su un piano più generale l’SRB ha valutato la proposta di riforma della Commissione come equilibrata e fattibile, specie nella prospettiva di ricomprendere le banche di piccole e medie dimensioni[8]. Resta sullo sfondo, finora irrisolta, l’esigenza preliminare di armonizzare i regimi nazionali di liquidazione coatta amministrativa.

Tutto questo è nella logica dell’istituzione della Banking Union; non può non rilevarsi, in ogni caso, che solo a seguito di una profonda revisione del quadro regolamentare europeo sulle crisi bancarie nella prospettiva dei salvataggi (anche attraverso gli interventi volontari dei DGS), e non delle liquidazioni come sbocco privilegiato, l’ulteriore accentramento della gestione delle crisi nell’SRB potrà valutarsi positivamente. Altrimenti il rischio di buttare il bambino con l’acqua sporca resta sempre in agguato.


[1] Il FITD è un sistema riconosciuto di garanzia dei depositanti in base all’art. 96 TUB, quindi un Deposit guarantee scheme (DGS) ai sensi della Direttiva 2014/49/UE.

[2] Cause riunite T-98/16, T-196/16, T-198/16.

[3] Relativa al caso C-415/19.

[4] Nell’ambito delle procedure di liquidazione coatta amministrativa, questi interventi (peraltro previsti anche dalla Direttiva 2014/49/UE, art. 11) agevolano la cessione delle attività e passività ad altra banca o altre operazioni, coprendo lo sbilancio di cessione.

[5] European Parliament, Bank crisis management and deposit insurance – Briefing EU Legislation in Progress – Novembre 2023.

[6] In passato, il mancato accertamento del requisito dell’interesse pubblico aveva portato ad applicare la procedura europea di risoluzione in pochissimi casi (non, ad esempio, nel caso della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca).

[7] SRB, SRN Vision 2028, febbraio 2024.

[8] The Commissional proposal to reform the EU Crisis Managment Framework: A selected Analysis – SRB Working paper Series #3, dicembre 2023.

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