DURA LEX a cura di Negri-Clementi Studio Legale Associato
Riflessioni critiche sull’assetto di corporate governance di Banca MPS in essere prima della nomina del nuovo CdA avvenuta in data 27 aprile 2012
Le vicende del Monte Paschi di Siena riempiono da diversi giorni le pagine dei giornali.
Nel mare magnum della letteratura prodotta nelle ultime settimane sul tema sono stati chiamati in causa: alcuni comportamenti censurabili del management, l’ingerenza della politica, un sistema di potere occulto e cosi via.
Con il presente contributo si vogliono invece offrire alcuni spunti di riflessione partendo dall’impianto di corporate governance adottato dalla Banca più antica del mondo. Ed invero, più che sul merito o sulla rischiosità di talune operazioni poste in essere nell’“interesse” di MPS1 (opinabili, soprattutto ex post e ove queste abbiano manifestato massima sconvenienza economica, ma in astratto lecite) pare opportuno un esame degli elementi di corporate governance che hanno mostrato come sia ancora oggi possibile – nonostante i sempre maggiori presidi formalmente previsti e normativamente imposti o raccomandati – compiere operazioni, senza che gli organi strutturalmente deputati possano correttamente valutarne i rischi correlati.
Più in generale ci si è chiesti se la struttura di corporate governance adottata dalla Banca fosse corretta oppure se già potessero ritenersi manifesti elementi indicatori e premonitori di quanto successivamente emerso.
I. La competenza a decidere le note operazioni
Stando a quanto si legge nei comunicati stampa diffusi al mercato da MPS, con riferimento alle operazioni “Alexandria”, “Santorini” e “Nota Italia”, “non risulta che alcuna delle operazioni […] sia stata sottoposta all’approvazione del Consiglio di Amministrazione della Banca, in quanto ciascuna” sarebbe rientrata “nei poteri delle strutture preposte alla gestione operativa”2.
Detta asserzione incuriosisce se si esaminano quelle che nell’impianto di corporate governance sono state individuate come “strutture preposte alla gestione operativa”. Ed invero, dalla disamina della relazioni sul governo societario e gli assetti proprietari relativa all’esercizio 20083, nel periodo di riferimento in cui fu posta in essere l’operazione “Santorini”, sembra che il Consiglio di Amministrazione fosse l’unico organo ad avere poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, assumendosi esso ogni responsabilità per scelte di rilevanza strategica.
Risulta altresì che nel 2008 nessuno degli amministratori fosse dotato di deleghe gestionali. In particolare, su un Consiglio di Amministrazione composto da 10 consiglieri, tutti si dichiaravano non esecutivi e indipendenti, ad eccezione del Presidente Giuseppe Mussari che, pur non esecutivo, non si dichiarava indipendente. Non era stato nominato un Amministratore Delegato né era stato costituito un Comitato Esecutivo. Alle riunioni del Consiglio di Amministrazione partecipava regolarmente il Direttore Generale Antonio Vigni, senza che peraltro – secondo quanto risulta dalla visura storica della Banca – al Direttore Generale medesimo fossero stati conferiti particolari poteri. Risulta invece, ai sensi dell’art. 24 dello Statuto, che il Direttore Generale “provvede alla esecuzione delle deliberazioni del Consiglio di Amministrazione […] nel rispetto degli indirizzi generali e secondo i criteri stabiliti dal Consiglio di Amministrazione”.
Considerato dunque che l’acquisizione di Banca Antoveneta S.p.A. e le operazioni “Alexandria, “Santorini” e “Nota Italia” possono ben ritenersi operazioni strategiche e/o di importanza rilevante, e considerato – secondo quanto riportato nei documenti ufficiali della Banca – che l’unica struttura preposta alla gestione operativa era il Consiglio di Amministrazione della Banca medesima, ci si chiede come sia stato possibile che le operazioni siano state compiute “nei poteri delle strutture preposte alla gestione operativa”se non furono state neppure vagliate dal Consiglio di Amministrazione.
II. Il sistema delle deleghe
La struttura di corporate governance e il sistema delle deleghe (stando alle relazioni di corporate governance relative agli esercizi successivi al 2008 e da ultimo quello del 2011), non paiono poi particolarmente evolutesi con il passare del tempo.
Ancora nel 2011, infatti, il Consiglio di Amministrazione era composto solo da consiglieri non esecutivi (in numero di 13), non vi era il Consigliere Delegato né un Comitato Esecutivo.
Tale strutturazione già pareva disattendere le best practice in tema di ripartizione delle deleghe, così come ridisegnate nell’impianto post-riforma del diritto societario incentrato sull’articolo 2381 cod. civ. (che non a caso si intitola “Presidente, comitato esecutivo e amministratori delegati”). Ove infatti l’assetto dell’impresa è particolarmente complesso (come nel caso di specie) vi è l’esigenza di rendere più efficiente e razionale la gestione e il controllo dei rischi. In questo senso è raccomandabile che l’organo di amministrazione sia strutturato in una pluralità di organi interni ai quali siano delegate talune delle proprie attribuzioni. E d’altra parte si esclude l’ammissibilità di una delega generale delle competenze consiliari, tanto più se a persone formalmente esterne all’organo di amministrazione, come può essere un Direttore Generale.
Tale raccomandazione era peraltro già contenuta nella stessa relazione di corporate governance 2011, con riferimento alle risultanze dell’attività di self–assessment svolta dal Consiglio di Amministrazione sotto la supervisione degli Amministratori Indipendenti, dove si legge (a pag. 22) che risulta “auspicabile […] la presenza di un Presidente non esecutivo […] e di un Amministratore Delegato” e che “per agevolare i lavori consiliari potrebbe essere valutata l’introduzione di un Comitato Esecutivo con deleghe specifiche”. Ed invero, la Banca MPS è riuscita nel corso del 2011 a tenere 27 riunioni del Consiglio di Amministrazione, prevedendone 10 per il 2012, ma avendone già tenute 7 nei primi tre mesi dell’esercizio 2012.
Non è un caso che il nuovo management (sotto la guida del Presidente Alessandro Profumo) abbia nominato un Amministratore Delegato con funzione altresì di Direttore Generale ed abbia anche istituito un Comitato Esecutivo. Inoltre, anche per quanto riguarda il sistema organizzativo, secondo quanto ufficialmente riferito a partire dal “mese di luglio è cambiata in modo radicale l’organizzazione della Direzione della Capogruppo” e “tra l’altro sono cambiate proprio le responsabilità in quelle aree critiche, dove sono emersi problemi […] abbiamo rinnovato completamente le persone che operavano appunto sulla Direzione Finanziaria”4.
III. I Comitati interni
Anche a livello di comitati risultano taluni elementi di attenzione.
Dai documenti ufficiali risulta infatti che ancora nel 2011 non era stato istituito il Comitato Nomine, lasciando affidato il ruolo di verifica del cumulo massimo agli incarichi ricoperti in altre società al “Consiglio di Amministrazione, nel momento in cui provvede a effettuare le designazioni – o [al] Presidente nel caso delle procedure di consultazione” che “vigila affinché tal limite venga costantemente rispettato dal punto di vista sostanziale, e, con esso, la salvaguardia della caratteristica di indipendenza dell’amministratore”.
Si osserva al riguardo che il Comitato per la Corporate Governance che ha revisionato il Codice di Autodisciplina (edizione 2011) ha rafforzato il ruolo del Comitato Nomine raccomandandone l’istituzione (e non solo la valutazione in ordine all’opportunità di costituzione del medesimo). Infatti “anche negli emittenti caratterizzati da un elevato grado di concentrazione della proprietà, il Comitato per le Nomine svolge un utile ruolo consultivo e propositivo nell’individuazione della composizione ottimale del Consiglio, indicando le figure professionali la cui presenza possa favorirne un corretto e efficacemente funzionamento e eventualmente contribuendo alla predisposizione del piano per la successione degli amministratori esecutivi”5: ricordiamo che nella fattispecie la struttura di proprietà di Banca MPS prevede un socio di maggioranza relativa, la Fondazione Monte dei Paschi di Siena, titolare del 34,94%. Al riguardo si rileva che il nuovo management in carica a partire dall’assemblea del 27 aprile 2012 ha provveduto a istituire e a rendere operativo un “Comitato Nomine e Remunerazioni”.
IV. Organismo di Vigilanza ex D. Lgs. n. 231/2001
Altro spunto di riflessione è poi la circostanza per la quale nell’impianto di corporate governance prescelto da MPS si è addivenuti a far coincider l’Organismo di Vigilanza ex D. Lgs. n. 231/2001 “Disciplina della Responsabilità Amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica” (art. 6, c. 1, lett. b) con il Comitato per il Controllo Interno. Si osserva che tale Comitato non è composto integralmente da amministratori indipendenti: il che, di per sé, non sarebbe contrario alle raccomandazioni di autoregolamentazione, ma pone profili di attenzione se si considera che allo stesso Comitato è attribuita altresì la funzione di Organismo di Vigilanza.
Criticità di struttura sorgono infatti dalla circostanza che agli artt. 5, c. 1, lett. a) e 6, c. 1, lett. b), del D. Lgs. n. 231/2001 si legge che l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio “da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione […] dell’ente” fra cui senz’altro sono annoverati gli amministratori della società e che l’Organismo di Vigilanza è “un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo”.
Com’è dunque possibile che un organo interno del Consiglio di Amministrazione avente il compito di assistere il Consiglio di Amministrazione medesimo nel definire le linee di indirizzo del sistema di controllo interno e nel valutare, con cadenza almeno annuale, l’adeguatezza, l’efficacia e l’effettivo funzionamento del sistema stesso possa essere anche quell’organo “dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo” incaricato del compito di vigilare l’osservanza del modello adottato ex adesione al D. Lgs. n. 231/2001 da parte, fra gli altri, degli stessi membri del Consiglio di Amministrazione ?
E’ come se si fosse chiesto ai controllati di controllarsi da soli.
Ulteriori perplessità emergono se si considera che il Comitato per il Controllo Interno, facente funzione di Organismo di Vigilanza, “non dispone di un autonomo budget di spesa per l’assolvimento dei suoi compiti ma si avvale della collaborazione e del supporto delle funzioni della Banca”6. Come noto, invece, l’ Organismo di Vigilanza deve poter disporre di adeguate risorse finanziarie, al fine di garantire e rendere concreto quell’autonomo “potere di iniziativa e di controllo” che l’art. 6, c. 1, lett. b) del D.Lgs. 231/01 gli riconosce.
Viene da chiedersi come possa essere assicurata l’indipendenza di comportamento di quest’organo se lo stesso deve dipendere per l’assolvimento dei propri compiti dalla collaborazione e dal supporto delle altre funzioni della Banca ?
A comprova di quanto appena rilevato basti considerare che anche la novella della Legge di Stabilità 2012, che ha introdotto la facoltà dell’organo di controllo di sostituirsi all’Organismo di Vigilanza ex D. Lgs. n. 231/2001, aveva sollevato non poche critiche. In occasione dell’approvazione del provvedimento legislativo poc’anzi citato si era infatti evidenziata l’inconciliabilità delle competenze richieste ai propri membri e delle funzioni e delle responsabilità connaturate a tali due organi. Ciò detto, considerato che in quel caso non vi era nemmeno la commistione di organo controllato e organo controllore, ci si domanda quali reazioni si sarebbero registrate se il legislatore avesse facoltizzato la possibilità per un comitato interno al Consiglio di Amministrazione di sostituirsi all’Organismo di Vigilanza.
Anche in questo caso il Consiglio di Amministrazione guidato da Alessandro Profumo ha “ristrutturato” il Comitato Controllo e Rischi, eliminando la sopraesposta coincidenza del Comitato medesimo con l’Organismo di Vigilanza che oggi risulta composto solo da personalità esterne.
V. L’Amministratore Esecutivo incaricato del Sistema di Controllo Interno
Ulteriore lacuna pare ravvedersi poi nella mancata individuazione dell’Amministratore Esecutivo incaricato del Sistema di Controllo Interno7.
Tale ruolo è espressamente raccomandato dall’art. 7 del Codice di Autodisciplina (edizione 2011), con funzione di curare, tra l’altro, l’identificazione dei principali rischi aziendali e di dare esecuzione alle linee di indirizzo definite dal Consiglio di Amministrazione in materia di controllo interno e di gestione dei rischi. Questi, se istituito, avrebbe forse potuto contribuire a presidiare la configurazione degli assetti decisionali e dei flussi informativi.
VI. La Funzione Compliance e la Funzione di Internal Audit
Stando ancora a quanto risulta dalla relazione di corporate governance 2011, e proprio in assenza di un Amministratore Esecutivo incaricato del Sistema di Controllo Interno, la funzione Compliance (parte integrante e rilevante del sistema di controllo interno) è stata assegnata a una struttura “posizionata a stretto riporto del Direttore Generale, con specifici meccanismi relazionali con il Consiglio di Amministrazione, il Comitato per il Controllo Interno, il Collegio Sindacale.”. Non è dato conoscere quali siano i “meccanismi relazionali” effettivamente adottati.
La Funzione di Internal Audit (centrale nel sistema di controllo interno) è solo superficialmente presa in considerazione nella relazione di corporate governance 2011, dove si legge che essa “interagisce con il Dirigente Preposto nella valutazione dell’adeguatezza del sistema dei controlli interni”. E’ invece istituito, con diretto riporto al Consiglio di Amministrazione, il Preposto al Controllo Interno.
La vicende sopradescritte di MPS relative alla gestione anteriore al 27 aprile 2012, evidenziano la fondamentale importanza di un adeguato e funzionale assetto di corporate governance e della prevalenza della sostanza sulla forma. In questo senso MPS rappresenta l’ennesimo caso in cui le relazioni di corporate governance, l’implementazione di procedure per il controllo dei rischi e di modelli ex D. Lgs. n. 231/2001 rischiano di essere stati più esercizi formali che veri e propri presidi a tutela degli stakeholders della società.
L’assetto di corporate governance concretamente prescelto non dev’essere valido in termini assoluti; un “buon governo” societario, infatti, non può che essere assicurato da una disciplina in grado di evolversi con il passare del tempo a fronte del mutare della realtà dei suoi affari. E’ essenziale definire e monitorare il livello di rischio accettabile per l’azienda in continuum.
Si tratta di favorire una “nuova” corporate governance che sia in grado di tradurre quegli esercizi formali in effettivi e “sentiti” strumenti di protezione, tali da attrarre sempre più investitori istituzionali che dall’assetto di governo societario traggono elementi “qualitativi” di rating della società, e tali anche da consentire una misurazione dei comportamenti in un più radicale mercato reputazionale.
In questo contesto diventa cruciale anche il ruolo degli investitori istituzionali e dei proxy advisors che mediante una politica di indipendenza e trasparenza (ci si riferisce, ad esempio. alle regole contenute nei cd. stewardship code) possano contribuire – rendendo il management, quasi con una funzione “educativa”, sempre più consapevole di quelle che sono le esigenze degli stakeholders – a far maturare quella “nuova” corporate governanceche sia la reale raffigurazione del sistema organizzativo dell’impresa.
Note
1. Ci si riferisce ovviamente all’acquisizione di Banca Antoveneta S.p.A. avvenuta nel 2008, alle operazioni – rispettivamente del 2005 e 2008 – di pronti contro termine su titoli di Stato italiani note con il nome di Alexandria e Santorini e all’operazione Nota Italia del 2007 (l’unica che, a dispetto di quanto si è letto diffusamente, incorpora effettivamente strumenti derivati).
2. Cfr. Comunicato Stampa di MPS del 23 gennaio 2013 ore 18.35.
3. Avendo MPS aderito solo con delibera del 27 marzo 2008 al Codice di Autodisciplina per le Società Quotate approvato nel marzo 2006 dal Comitato per la Corporate Governance delle Società Quotate sono disponibili solo le relazioni che concernono gli esercizi sociali a partire dal 2008.
4. Cfr. verbale assemblea dei soci del 25 gennaio 2013.
5. Cfr. commento all’articolo 5 “Nomina degli amministratori” del Codice di Autodisciplina (edizione 2011).
6. Cfr. Relazione di corporate governance 2011 (p. 35).
7. Cfr. art. 8 del Codice di Autodisciplina versione 2006 e art. 7 del Codice di Autodisciplina versione 2011.