Dura lex

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Il “successo sostenibile” e la remunerazione variabile degli organi esecutivi e dei dirigenti con responsabilità strategiche Agli amministratori indipendenti è richiesta una nuova conoscenza ed è attribuita una nuova competenza, siano essi riuniti in

Nuovo codice di autodisciplina e obiettivi ESG: l’impatto sulle remunerazioni

Il “successo sostenibile” e la remunerazione variabile degli organi esecutivi e dei dirigenti con responsabilità strategiche

Agli amministratori indipendenti è richiesta una nuova conoscenza ed è attribuita una nuova competenza, siano essi riuniti in Comitato controllo e rischi o in Comitato remunerazione: quella di esaminare e valutare gli obiettivi ESG o performance non finanziarie nell’ottica del livello prescelto di esposizione al rischio, della creazione di valore di lungo periodo per azionisti e stakeholder, esprimibili sotto la formula “successo sostenibile”, cui legare una quota percentuale di remunerazione variabile.

1. Lo scorso gennaio 2020 il Comitato per la Corporate Governance ha approvato il nuovo Codice di Corporate Governance delle Società Quotate 2020, che sarà applicabile a partire dal primo esercizio che inizia successivamente al 31 dicembre 2020.

Il nuovo Codice ha introdotto la nozione di “successo sostenibile” quale “obiettivo che guida l’azione dell’organo di amministrazione e che si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società” (Definizione, art. 1).

Nella definizione di “piano industriale” il Codice non solo introduce l’obiettivo di promuovere il “successo sostenibile” e lo parifica con gli altri obiettivi strategici dell’impresa, ma fa di più: rende gli obiettivi strategici di piano e il livello di esposizione al rischio prescelto “interpretabili” nell’ottica del “successo sostenibile”, elevando quest’ultimo a paradigma.

Che cosa intendiamo allora per “successo sostenibile”? Possiamo riferirci alla responsabilità delle società che devono prefiggersi non più e non solo “l’obiettivo prioritario di creazione di valore per gli azionisti in un orizzonte di medio-lungo periodo” (questa era la formulazione contenuta nel previgente Codice di Autodisciplina), ma anche obiettivi di ESG (Enviromental, Social and Governance) che si riferiscono a fattori ambientali, di lavoro e di governance che contribuiscono a determinare il profilo di rischio e di rendimento di una società pur restando integrati nell’obiettivo di massimizzazione del valore azionario.

Tutto ciò, infatti, con l’obiettivo ultimo della creazione di valore a lungo termine non solo per gli azionisti ma anche per gli stakeholder.

Sono dunque mutati l’orizzonte temporale (da medio-lungo a lungo), gli interessi tutelati (non solo quelli degli azionisti ma anche quelli degli stakeholder) e il contenuto del valore (non solo finanziario ma anche non finanziario).

2. La responsabilità del “successo sostenibile” è inequivocabilmente incardinata in capo all’organo di amministrazione.

Il Codice prevede, infatti, che “L’organo di amministrazione guida la società perseguendone il successo sostenibile” (Art. 1, Principio I) e “definisce la natura e il livello di rischio compatibile con gli obiettivi strategici della società, includendo nelle proprie valutazioni tutti gli elementi che possono assumere rilievo nell’ottica del successo sostenibile della società.” (Raccomandazione 1, lett. c).

E naturalmente, in coerenza con l’impianto normativo in materia societaria e in materia di corporate governance, è responsabilità del Presidente dell’organo di amministrazione che tutti i componenti degli organi di amministrazione e controllo possano partecipare a iniziative finalizzate a fornire loro un’adeguata conoscenza dei settori di attività in cui opera la società, delle dinamiche aziendali e della loro evoluzione “anche nell’ottica del successo sostenibile” (Art. 3, Raccomandazione 12, lett. d).

3. Ma facciamo un passo avanti. Per assicurare concretezza all’obiettivo di “successo sostenibile” – per sua natura non strettamente e direttamente finanziario – la Direttiva UE 2017/828 del Parlamento Europeo e del Consiglio, c.d. Shareholders’ Rights Directive 2 (art. 9-bis) e il Codice per la Corporate Governance hanno legato il “successo sostenibile” alla politica di remunerazione e in particolare alla componente variabile delle remunerazioni degli organi esecutivi e dei dirigenti con responsabilità strategiche.

In tema di remunerazione, infatti, il Codice dopo avere posto il principio per cui “La politica per la remunerazione degli amministratori, dei componenti dell’organo di controllo e del top management è funzionale al perseguimento del successo sostenibile” (Art. 5, Principio XV), prevede che detta politica definisce gli “obiettivi di performance, cui è legata l’erogazione delle componenti variabili, predeterminati, misurabili e legati in parte significativa a un orizzonte di lungo periodo. Essi sono coerenti con gli obiettivi strategici della società e sono finalizzati a promuoverne il successo sostenibile, comprendendo, ove rilevanti, anche parametri non finanziari.” (Art. 5, Raccomandazione 27).

In questa formulazione c’è tutto: (i) la remunerazione variabile (ii) per amministratori esecutivi e top management (iii) per il raggiungimento di obiettivi di successo sostenibile e di performance non finanziarie (comunque coerenti con gli obiettivi strategici) (iv) in un orizzonte di lungo periodo.

4. Da un lato, dunque, il “successo sostenibile” e le performance non finanziari diventano obiettivi cui legare la componente variabile della remunerazione degli executives e del top management, dall’altro lato anche il sistema di controllo interno e di gestione dei rischi si pone lo scopo di una effettiva ed efficace identificazione, misurazione, gestione e monitoraggio dei principali rischi, sempre “al fine di contribuire al successo sostenibile della società” (Art. 6, Principio XVIII).

Ne consegue che agli amministratori indipendenti è richiesta una nuova conoscenza ed è attribuita una nuova competenza, siano essi riuniti in Comitato controllo e rischi o in Comitato remunerazione: quella di esaminare e valutare gli obiettivi ESG o performance non finanziarie nell’ottica del livello prescelto di esposizione al rischio, della creazione di valore di lungo periodo per azionisti e stakeholder, esprimibili sotto la formula “successo sostenibile”, cui legare una quota percentuale di remunerazione varabile.

5. Conseguenza logica di questo ragionamento è l’ingresso degli obiettivi ESG nei questionari di self-assessment dei componenti dell’organo di amministrazione. Oggi dunque quali componenti dell’organo di amministrazione ci viene chiesto quali siano i fattori ESG (Enviromental, Social and Governance) che l’organo amministrativo della società dovrebbe prendere in considerazione nella definizione delle strategie e della politica di remunerazione; e ci vengono indicati, a titolo esemplificativo, i seguenti obiettivi: consumo responsabile dei materiali; risparmio energetico; condizioni e standard di lavoro sostenibili; iniziative di solidarietà; adozione di sistemi anti corruzione; cultura della diversity.

E’ in quest’ambito che sorgono anche le iniziative di c.d. “social impact investing” o “social impact banking”; si pensi all’attività promossa a questo riguardo da Unicredit con un approccio mirato a generare sia ritorni economici degli investimenti sia un più diffuso benessere sociale.

Si tratta di prassi in via di implementazione rispetto alle quali costituiranno benchmark gli emittenti “grandi” (anche a questo riguardo il nuovo Codice di Corporate Governance ha inserito una nuova definizione) e più strutturati. Si pensi per fare un esempio a Mediobanca che nel nuovo piano strategico 2019-2023 ha inserito obiettivi ESG qualitativi e quantitativi nella politica di remunerazione a breve e a lungo termine del top management, quali: investimenti responsabili (valutazione ESG sul 100% dei nuovi investimenti/finanziamento del gruppo); pari opportunità (garanzia di un’equa rappresentanza di genere); supporto alla transizione energetica (emissioni obbligazionarie ESG); riduzione impatto ambientale diretto e contributo alla crescita economica; sostegno alla comunità economica, fissando a ogni obiettivo qualitativo un target quantitativo.

Ma con questi temi dovremo confrontarci tutti, anche imparando a comprendere il significato degli obiettivi ESG e a valutare il “peso” corretto degli obiettivi di performance non finanziari (ESG) espresso in percentuale (le società sembrano attestarsi in media tra il 5% e il 20% – fonte Integrated Governance Index 2019), sulla misura della componente variabile della remunerazione degli organi esecutivi e dei dirigenti con responsabilità strategiche.

6. In conclusione e de jure condendo, quindi, si viene a consolidare una nuova responsabilità per le società, che non è semplicemente etica, è qualcosa di più: è il “successo sostenibile” delle società raggiungibile mediante obiettivi strategici di performance sia reddituale e finanziaria sia non finanziaria o ESG, tutti parimenti degni di essere presi in considerazione nel piano industriale e tutti parimenti suscettibili di creare valore e, per tale ragione, fonte di remunerazione incentivante per amministratori esecutivi e per dirigenti con responsabilità strategiche.

Si introduce, infatti, a sistema una previsione (che ha fonte normativa nella c.d. Shareholders’ Rights Directive 2 e fonte di autodisciplina nel nuovo Codice per la Corporate Governance) che in quanto finisce per toccare interessi concreti – la remunerazione del capo azienda e del top management, da un lato, e le valutazioni in tema di scelte di investimento da parte degli investitori istituzionali, dall’altro lato – è dotata di una sorta di enforcement interiore.

In questo contesto, gli amministratori indipendenti giocano un ruolo cruciale nel cambiamento (e non sarebbe la prima volta se si pensa alla funzione degli indipendenti nella valutazione delle operazioni con parti correlate e nelle politiche di remunerazione), a condizione che essi siano disponibili ad accrescere, ancora una volta, la loro competenza e specializzazione, ad aprire la loro visuale valutando l’impatto dell’agire aziendale su ambiente, sociale e governance e di essere dunque in grado di comprendere, valutare e misurare gli obiettivi del “successo sostenibile”.

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Annapaola Negri-Clementi associata Nedcommunity e curatrice della rubrica Dura Lex, è Managing Partner dello Studio Legale Associato Negri-Clementi

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