Dura lex
Lo scorso 20 maggio 2019 in occasione dell'Assemblea annuale degli associati di Nedcommunity presso la Sala Convegni di Intesa Sanpaolo è stato conferito il Premio di laurea Gianfranco Negri-Clementi. Ringrazio, insieme ai miei fratelli Antonella e
Premio di laurea Gianfranco Negri-Clementi
Lo scorso 20 maggio 2019 in occasione dell’Assemblea annuale degli associati di Nedcommunity presso la Sala Convegni di Intesa Sanpaolo è stato conferito il Premio di laurea Gianfranco Negri-Clementi. Ringrazio, insieme ai miei fratelli Antonella e Silvio, tutti coloro che hanno pensato, voluto e organizzato questo Premio. Gianfranco (papà) è stato tra i fondatori di Nedcommunity 15 anni fa.
Impossibile non ricordarne l’acutezza di ingegno, l’entusiasmo progettuale, la capacità di comunicazione generosa e accogliente … godimento profondo nel frequentarlo.
Ero presente il giorno della costituzione di Ned. I vecchi saggi (mi perdoneranno se li chiamo così) sono partiti dal domandarsi cosa fosse la nozione di corporate governance con un raffronto sul panorama internazionale. Se dopo quindici anni abbiamo risposto a quella domanda più alta e possiamo affrontare il dettaglio di tante declinazioni derivate (le operazioni con parti correlate, il voto di lista e le liste collegate, la remunerazione dei consiglieri, tanto per citarne alcune), lo dobbiamo anche a loro.
Ho scelto, tra le tesi premiate, quella della dott.ssa Micaela Jerusalmi dal titolo “Composizione e nomina del consiglio di amministrazione di società quotata: il voto di lista come strumento di pianificazione”, perché mi piace il tema del voto di lista (strumento che per anni è stato utilizzato nei patti parasociali e negli statuti delle operazioni straordinarie di acquisizione, nel private equity, prima di sfondare pesantemente nelle società quotate), tanto da trovarmi citata tra le fonti della tesi di laurea vicino a ben più autorevole dottrina. La presentazione di Luigi Arturo Bianchi è stata poi un irresistibile invito alla lettura.
La Governance e gli strumenti di pianificazione del CdA
Gli strumenti di “pianificazione” della composizione del consiglio di amministrazione si pongono su tre diversi livelli: due livelli che possiamo dire appartenere alla prerogativa dei soci e un livello che appartiene solo indirettamente ai soci e direttamente ai componenti del consiglio di amministrazione.
Il primo livello è quello statutario. I soci, nella loro autonomia di redazione dello statuto (purché compatibilmente con le norme di legge primarie e secondarie), inseriscono clausole che disciplinano la fase di proposta assembleare dei candidati amministratori ovvero quelle sulla presentazione delle liste.
Il secondo livello è il comportamento dei soci, i quali, in forza delle regole statutarie, possono proporre le liste dei candidati amministratori nel rispetto dei “posti” che devono essere assegnati al socio di minoranza (ex art. 147-ter TUF) e al divieto del collegamento tra liste che possano avere l’effetto di pregiudicare il controllo (sugli amministratori esecutivi) che compete alle minoranze.
Il terzo livello è quello affidato, in qualche modo, agli amministratori indipendenti nella loro funzione di componenti del comitato nomine. Si tratta di un ruolo di programmazione della composizione del consiglio di amministrazione, che si riferisce anche alle indicazioni sulla successione degli amministratori esecutivi (cfr. Codice di Autodisciplina criterio 5.C.2. raccomanda di valutarne l’adozione).
Nella prassi quest’ultimo si rivela un’attività complessa. L’adozione di piani di successione è uno strumento che ha radici, in considerazione della prevalenza di una compagine sociale diffusa, nel terreno anglosassone.
E’ un esercizio complicato in Italia perché, da un lato, non può prescindere dai piani strategici (più spesso, linee guida di piano) che il consiglio di amministrazione ha adottato (e ciò soprattutto con riferimento alla nomina degli amministratori esecutivi), e, dall’altro lato, deve coordinarsi con le indicazioni che derivano dai soci mediante, appunto, la presentazione delle liste (con riferimento all’intero consiglio). Non possiamo dimenticare, infatti, la differenza del capitale sociale italiano (storicamente concentrato, anche se in progressiva apertura) rispetto al mercato anglosassone (maggiormente diffuso) da cui il comitato nomine deriva. Né possiamo sottovalutare l’esistenza di società quotate che sono sottoposte a direzione e coordinamento o la presenza di patti parasociali (pubblicamente dichiarati ex art. 122 TUF) che eventualmente prevedano clausole sulle indicazioni di presentazione o nomina dei candidati amministratori. E’ poi oggettivamente più facile che il comitato nomine contribuisca in modo efficiente ed efficace in fase di cooptazione da parte del consiglio di amministrazione per sopravvenuto venir meno di un consigliere, piuttosto che in fase di rinnovo dell’intero consiglio di amministrazione.
In tale contesto, lo strumento dell’autovalutazione o board evaluation (anche grazie al rafforzamento indotto dal Comitato di Corporate Governance di Consob, cfr. anche Codice di autodisciplina al criterio applicativo 1.C.1., lett. g) tende ad assumere un ruolo sempre più rilevante, consentendo (quando svolto in modo libero e con autonomia di giudizio da parte degli amministratori) di far emergere criticità, sia in termini di composizione e funzionamento del consiglio di amministrazione sia in termini di flussi informativi endosocietari. Ciò che si vuole dire è che questo esercizio non deve naturalmente limitarsi ad una sorta di paper compliance ma andare alla sostanza della concreta composizione del consiglio di amministrazione; virtualmente infatti dovrebbe avere una funzione di looking-forward.
In merito ai piani di successione degli amministratori esecutivi sappiamo che è molto difficile la loro implementazione nel mercato italiano (tra le società virtuose in termini di adozione di un piano di successione, salvo poi verificare se in concreto ad essi sia stata data concreta esecuzione, vi sono Telecom, Prysmian e, tra le banche, Unicredit).
Il legislatore italiano non ha fornito una normativa primaria che renda i piani di successione obbligatori. Solo per le banche di grandi dimensioni Banca d’Italia (Disposizioni di vigilanza per le banche – Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013) ha previsto che “devono essere formalizzati piani volti ad assicurare l’ordinata successione nelle posizioni di vertice dell’esecutivo (amministratore delegato, direttore generale) in caso di cessazione per scadenza del mandato o per qualsiasi altra causa, al fine di garantire la continuità aziendale e di evitare ricadute economiche e reputazionali”. Il Codice di Autodisciplina (criterio applicativo 5.C.2), norma di autoregolamentazione, prevede che “Il consiglio di amministrazione valuta se adottare un piano per la successione degli amministratori esecutivi.”. Nel Commento al criterio applicativo 5.C.2., il Comitato auspica che nell’adottare i piani di successione vi sia una definizione chiara degli obiettivi, degli strumenti e della tempistica del processo, oltre che una precisa suddivisione delle competenze e un coinvolgimento del consiglio di amministrazione. Cruciale naturalmente diventa il ruolo del comitato nomine e dunque degli amministratori indipendenti.
Ma torniamo al ruolo di pianificazione che l’ordinamento giuridico ha attribuito al consiglio di amministrazione. Da ultimo è stata al centro del dibattito la possibilità che sia il consiglio di amministrazione stesso a poter presentare una propria lista per il rinnovo dell’organo amministrativo. Tale possibilità si comprende solo se si ripensa ai tre livelli di pianificazione della composizione del consiglio di amministrazione sopra descritti. L’ordinamento giuridico italiano non autorizza espressamente tale possibilità (invece consentita in altri ordinamenti quale quello statunitense, dove peraltro si coniuga alla compagine proprietaria diffusa propria delle public companies). Un’apertura può derivare dall’autonomia privata dei soci che prevedano espresse norme statutarie di legittimazione della presentazione di una propria lista da parte del consiglio di amministrazione uscente. Si vuole dire cioè – dal punto di vista sistematico giuridico – che anche qualora si attribuisse ai consiglieri uscenti una facoltà di proporre candidati, tale facoltà troverebbe la sua legittimazione ultima nella determinazione dei soci, così riposizionando correttamente i soci al vertice del processo di nomina dei componenti del consiglio di amministrazione. Naturalmente il dibattito è giuridicamente intrigante, ma poi è necessario confrontarsi con la prassi del mercato e con temi di opportunità o rischi potenzialmente derivanti dall’implementazione di tale opzione. Una clausola di questo tipo e` oggi gia` prevista dagli statuti di alcune società quotate: in alcune società come Prysmian e Yoox già da tempo, tanto che il board in carica e` stato eletto per la maggior parte dal consiglio di amministrazione uscente; in altre come Unicredit, la previsione e` stata introdotta in una recente occasione assembleare (dicembre 2017). Tutto ciò potrà essere legittimo naturalmente a condizione che sia in concreto compatibile con la previsione di cui all’art. 147-ter TUF e dunque con la nomina di amministratori di minoranza.
Altro tema che sta interessando il dibattito dottrinale è quello del capovolgimento dei ruoli tra minoranze e maggioranze nella nomina dei consiglieri di amministrazione. Ci si riferisce a quei casi in cui gli investitori istituzionali (sollecitati da più parti ad aumentare il loro attivismo nella vita societaria ed effettivamente diventati più attivi con le previsioni introdotte dalla Shareholders’ rights directive, quale ad esempio la record date; si pensi anche al ruolo di presentatore di liste di cd. minoranza da parte di Assogestioni) abbiano presentato una cd. lista di minoranza (indicando un numero limitato di candidati, cd. liste corte) e poi in sede assembleare ottengano la maggioranza dei voti.
Non avendo presentato una lista “completa” di nominativi, non si vedranno attribuiti la maggioranza dei seggi consiliari che invece andrà necessariamente attribuita alla lista del socio (seppure di maggioranza) che si è posizionato secondo dopo la minoranza. In questo contesto si è inserita l’assemblea di rinnovo degli organi sociali di Telecom nel 2014, dove i candidati della lista di Telco sono “rimasti fuori” dal riparto dei seggi; per l’occupazione delle posizioni vacanti si e` ritenuto di applicare quanto previsto dallo statuto e quindi di votare in assemblea con le maggioranze di legge, peraltro in assenza degli investitori istituzionali.
In casi di questo genere, infatti, l’attivismo degli investitori istituzionali è ben visto ma l’effetto pratico del voto di lista potrebbe essere distorsivo consentendo per ipotesi di far acquisire agli stessi il controllo (che essi non vogliono) del consiglio di amministrazione. Ed è proprio perché gli investitori istituzionali non vogliono il controllo del consiglio di amministrazione che presentano le cd. liste corte. Per l’effetto, potrebbe dunque sorgere la possibilità che la forma non corrisponda alla sostanza e che candidati che non hanno ottenuto il consenso secondo le procedure applicabili siano poi invece eletti. Ecco perché dopo il caso del Telecom del 2014, Unicredit ha introdotto in statuto la previsione del ripescaggio dei candidati non eletti dalla lista completa risultata seconda dopo la lista di minoranza. Altra soluzione, de jure condendo, è il voto di lista non su liste bloccate (come nell’attuale impianto normativo e regolamentare italiano) ma sui singoli candidati (come previsto nel Regno Unito).
In conclusione, diversi sono gli spunti di riflessione che ruotano ancora intorno al tema del voto di lista, sia da un punto di vista sistematico-giuridico, sia da un punto di vista delle implementazioni da parte del mercato delle società quotate. Il ruolo degli indipendenti continua così ad essere determinante nella fase di programmazione della composizione del consiglio di amministrazione (si pensi alla loro funzione di proponenti di singoli nominativi in seno al comitato nomine, si pensi alla possibilità che il consiglio di amministrazione proponga una propria lista, si pensi ai piani di successione degli amministratori esecutivi). A bene vedere si tratta di una pianificazione dell’organo amministrativo, quindi della gestione dell’impresa.
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