DICIAMO LA NOSTRA a cura della Direzione
Questa rubrica promossa dalla Presidenza intende aprire un dialogo costruttivo con gli associati che desiderano dare il loro contributo di idee, suggerimenti e critiche per la crescita della Comunità.
In questo numero ospitiamo l’intervista a Carolyn Dittmeier 1 che ringraziamo per aver accettato di rispondere alle nostre domande. Questa è la terza intervista che pubblichiamo: la prima è stata fatta a Gianmaria Gros Pietro nel numero di luglio 2010 (N° 4) e la seconda a Giovanni Maria Garegnani nel numero di ottobre 2010 (N° 5).
Che cosa non va in Italia nella governance?
Il susseguirsi degli scandali che, come noto, hanno pesantemente segnato lo scenario economico internazionale degli ultimi tempi ha progressivamente indotto il legislatore italiano, ma a dire il vero anche quello sovranazionale e degli altri paesi, a una proliferazione della normativa che, pur ispirata dal sano intento di assicurare maggiore trasparenza e rigore nei mercati a tutela dei diversi stakeholders, sta rendendo sempre più impellente la necessità di trovare soluzioni organizzative e strumenti gestionali idonei a garantire l’integrazione del sistema complessivo, ai fini di un’efficace ed efficiente governance d’impresa.
La frammentazione degli attori con funzioni di governo, vigilanza e controllo societario – talvolta frutto di provvedimenti normativi e regolamentari originati dall’onda emotiva del momento – ha determinato un’inevitabile lievitazione dei costi a carico delle organizzazioni che non trovano giustificazione sempre in un apprezzabile miglioramento dell’impianto di governance aziendale, mentre appaiono sempre più evidenti le aree di potenziale sovrapposizione di competenze tra i diversi soggetti coinvolti (amministratori delegati e non delegati, amministratori indipendenti, Comitato Audit, Sindaci, Organismo di Vigilanza “231”, Società di Revisione esterna, Dirigente Preposto, funzioni di controllo interno di terzo e secondo livello, funzioni di risk management, etc.).
Si tratta di una problematica certamente nota, sollevata già in molti contesti specialistici (associazioni professionali e di categoria) e dalla stampa di settore (ad es., si veda l’articolo del Sole 24 ore del 12 maggio scorso sulle società quotate), ma allo stesso tempo di estrema attualità, soprattutto in una fase – quale quella che stiamo ancora tutti vivendo – in cui la ripresa di molte organizzazioni è fortemente legata alla capacità di rendere maggiormente efficienti i processi aziendali, ivi inclusi quelli di governance, nonché di coniugare gli obiettivi di business con l’etica degli affari.
Ad ogni modo, non dobbiamo mai dimenticare che il buon funzionamento dei sistemi di governo aziendali – qualunque siano gli assetti, gli strumenti e i meccanismi adottati da ciascuna realtà, così come i vincoli normativi esistenti – passa necessariamente attraverso le persone che operano ai diversi livelli dell’organizzazione, i cui comportamenti sono significativamente influenzati dal tessuto culturale che l’impresa ha costruito e alimentato nel tempo. Anche qui è molto sentita la necessità di un’evoluzione verso una maggiore cultura del controllo, diffusa a tutti i livelli, nell’ottica di una sana gestione dei rischi, capace di presidiare gli obiettivi di business e gli obiettivi di governo in modo equilibrato.
Quali rimedi?
Sotto il profilo dell’impianto legislativo e regolamentare vigente, sono certamente auspicabili interventi volti ad armonizzare e a semplificare il quadro complessivo di riferimento, rendendo peraltro più agevole ai destinatari delle norme l’allineamento sostanziale – e non prettamente formale, come avviene in taluni casi – a quanto previsto. Soprattutto quando si parla di aziende, l’azione del legislatore è, a mio avviso, tanto più efficace quanto maggiore è la sua capacità di creare adesione spontanea intorno alle norme – adesione che passa anche attraverso “regole” più chiare e sinergiche tra loro -, inducendo nei soggetti chiamati ad applicare le diverse prescrizioni la consapevolezza dei benefici delle stesse, ad esempio in termini di miglior funzionamento dei mercati. Ciò renderebbe meno rilevante la presenza di un sistema sanzionatorio particolarmente severo che, laddove esacerbato come sta accadendo in alcuni casi (si pensi ad esempio, alla normativa “231” contraddistinta da un apparato sanzionatorio particolarmente pesante soprattutto in fase cautelare) può addirittura rivelarsi controproducente.
Rispetto agli approcci aziendali da seguire, gli studi più recenti condotti dalle principali associazioni di categoria evidenziano segnali positivi in termini di iniziative indirizzate al rafforzamento dei processi di governo societario, risk management e controllo interno (maggiore frequenza delle riunioni, nomina di Comitati di vario tipo, strutturazione di flussi informativi e sistemi di reporting più efficaci, etc.).
Tuttavia, ciò che noto ancora è una scarsa implementazione, da parte delle imprese, di modelli internazionali ispirati a standard di governance evoluti e ad approcci avanzati alle tematiche di rischio/controllo, tra cui il più autorevole è indubbiamente l’Enterprise Risk Management che, pur prendendo atto dell’importanza dei vincoli normativi esterni, va ben al di là di questi, ponendo grande attenzione sull’ambiente interno dell’impresa ampiamente inteso, quale elemento base, pervasivo e trasversale rispetto a tutte le aree di operatività aziendale. In quest’ottica, assumono particolare rilevanza le iniziative formative e di sensibilizzazione volte a diffondere in modo capillare e a consolidare nel tempo le conoscenze, i valori etici e, in generale, la cultura dell’azienda nei diversi ambiti e livelli organizzativi. Analogamente, rivestono un ruolo fondamentale i flussi informativi e comunicazionali – di tipo top-down, bottom-up e trasversali – instaurati a vario titolo tra organi, organismi e funzioni aziendali, orientati a supportare, tra l’altro, la comunicazione degli obiettivi di business e di governo che guidano, in chiave dinamica, l’agire d’impresa, nonché i correlati processi di risk management e di controllo. Un impegno particolare, inoltre, è richiesto al Consiglio di Amministrazione – comprensivo degli amministratori indipendenti – che, operando anche attraverso specifici Comitati (audit, nomine, retribuzioni, etc.), deve mettere in campo tutti gli strumenti necessari per assolvere il proprio ruolo di monitoraggio, guida e direzione rispetto all’effettiva attuazione in azienda degli elementi chiave del modello di governance e di gestione dei rischi prescelto, ponendo al management le opportune domande per verificare se le attività intraprese rispondono effettivamente alle aspettative e agli interessi della società, nonché disponendo di appropriati canali di comunicazione con i diversi interlocutori (Internal Audit, Organismo di Vigilanza “231”, Dirigente Preposto, Società di revisione esterna, etc.).
È appena il caso di ricordare che, in detto contesto, gli amministratori indipendenti giocano un ruolo di indubbio rilievo, contribuendo a disegnare il profilo strategico dell’impresa e partecipando a pieno titolo alle scelte aziendali (così come ha più volte sottolineato lo stesso Presidente di Nedcommunity), scelte che non possono prescindere da un’attenta e strutturata attività di analisi dei rischi.