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Questa rubrica promossa dalla Presidenza intende alimentare un dialogo costruttivo con gli Associati che desiderano dare il loro contributo di idee, suggerimenti e critiche per la crescita della Comunità. In questo numero ospitiamo l'intervista a

Questa rubrica promossa dalla Presidenza intende alimentare un dialogo costruttivo con gli Associati che desiderano dare il loro contributo di idee, suggerimenti e critiche per la crescita della Comunità.

In questo numero ospitiamo l’intervista a Karina Litvack (*) che ringraziamo per aver accettato di rispondere alle nostre domande.

(Traduzione dall’inglese all’italiano a cura del Direttore)


L’intervista

Qual è, secondo lei, il livello della governance in Italia rispetto agli altri paesi europei aderenti ad EcoDa?

Questa è una domanda delicata (e per uno straniero anche pericolosa), non solo perché non esiste uno standard europeo unico ed uniforme al quale paragonare la prassi italiana, ma anche perché non avrebbe senso giudicare tutte le società quotate italiane come se avessero un livello univoco di governance.

Ciò detto, vorrei azzardare alcune osservazioni sul funzionamento del sistema di “voto di lista” (di cui anch’io sono il prodotto): innanzittuto lo ritengo un prezioso strumento di checks and balances che rafforza il rapporto di accountability fra amministratori e azionisti.  Questo vale chiaramente per mercati come quello italiano, dove in oltre 90% delle società quotate sono presenti uno o più azionisti di controllo; ma vale altrettanto per mercati con dispersed ownership, specie in quelli, come l’America, dove non è diffuso il principio del majority vote, cioè un voto contro un candidato al board conta in effetto come se fosse un’astensione. Ciò spiega l’impulso negli Stati Uniti per le recenti riforme del Dodd Frank Act sul proxy access, che ha creato un meccanismo per gli azionisti di nominare candidati, ove siano rispettate determinate condizioni.

Il sistema di voto di lista italiano offre dunque una soluzione ingegnosa per rafforzare il legame di accountability fra azionisti di minoranza e amministratori, tanto è vero che sta servendo da modello per altri mercati.  Ma nello stesso tempo, ci sono due fattori in Italia che rischiano di indebolire questo stesso legame: in primo luogo, il fatto che la partecipazione degli amministratori, che siano “di maggioranza” o “di minoranza”, avvenga tramite due “block vote” separati l’uno dal altro, anziché voti individuali per ogni singolo candidato; e in secondo luogo, l’assenza di dialogo diretto tra amministratori e azionisti, un aspetto che distingue la prassi italiana da quella di un numero crescente di altri mercati.

Nei mercati in cui l’elezione di ogni singolo amministratore viene sottoposta a un voto individuale, gli investitori hanno, contrariamente all’Italia, la possibilità di esprimere un giudizio sulla performance di quell’individuo.  Se il suo lavoro non è all’altezza delle aspettative di questi ultimi, rischia di non essere confermato, anzi, in molti casi, a partire dalle prossime elezioni annuali. Ciò porta a chiedersi come gli azionisti possano valutare il contributo di ciascun amministratore.

È proprio qui che entra in gioco la pratica dello shareholder engagement, svolto fra amministratori indipendenti e azionisti, senza la mediazione del management. Questo fenomeno è diventato ormai prassi comune nel Regno Unito e sta diffondendosi in altri mercati, mentre in Italia continua ad essere meno conosciuto (Vedasi il box  Why board engagement with shareholders  in calce alla risposta).  Ma è questa mancanza di dialogo con gli investitori che riduce la capacità dei board di sviluppare una “shareholder culture”, quanto meno nel senso in cui viene intesa nel mondo anglo-americano.

Questo è dovuto al fatto che, nonostante la presenza in CdA di membri scelti e votati direttamente dagli investitori istituzionali, gli amministratori dipendono per la loro market intelligence dai media, dagli intermediari e dall’informazione fornita dalla struttura stessa.  Il fatto di essere privati di contatto con gli azionisti cui devono le loro poltrone rende più difficile non solo il loro compito di interpretare le loro aspettative, ma anche la loro capacità di fornire al management dei pareri costruttivi e indipendenti.

Viceversa, per gli azionisti  ai quali è vietato l’accesso agli amministratori indipendenti, non è facile valutare la performance di questi ultimi, nonostante che abbiano proprio il compito di tutelare i loro interessi. A parte i canali informali, che rischiano di favorire alcuni a scapito di altri poiché spesso gli investitori esteri percepiscono uno svantaggio rispetto ai colleghi locali, oppure il contenuto molto formale e minimalista dei rapporti annuali di governance (il cosidetto “boilerplate”), gli investitori dispongono di ben pochi strumenti. Perciò un approccio di accountability svolto attraverso un programma strutturato di discussioni aperte, di ascolto e di dialogo (visto dagli azionisti come il modo naturale per costruire rapporti di fiducia) potrebbe essere di grande aiuto nel colmare questo di gap di comunicazione e rafforzare l’efficacia del sistema italiano di voto di lista.

Ed ora veniamo alla vexata quaestio: tutto ciò rende migliore o peggiore il governo societario italiano?

In un mondo in cui gli azionisti sono spesso frammentati fra di loro, volubili e ossessionati dai guadagni a breve termine, non pretenderei che l’engagement fra amministratori e azionisti sia la panacea per risolvere tutte le sfide della governance. Guidare una società in base a ciò che viene richiesto dagli azionisti – per non dire quelli con la voce più grossa – finirebbe per assomigliare alla guida di un governo sulla base di sondaggi: una specie di populismo azionario che non gioverebbe ad alcuno e che sicuramente non favorirebbe gli interessi degli azionisti long-term.  Il buon governo – sia politico, sia societario – richiede lungimiranza, leadership e fermezza nel tenere la barra, specialmente in tempi di grandi mutamenti quando i board si trovano a dover assumere decisioni che influiscono sul modello economico degli anni futuri.
Detto tutto ciò, in politica, e in quell’altra cosa imperfetta che chiamiamo democrazia, l’accountability deriva da un forte e trasparente legame tra governanti e governati, e lo stesso principio si deve applicare ai board e a coloro che li eleggono. In questo senso, la consapevolezza che gli investitori hanno una buona comprensione del contributo degli organi do controllo e hanno l’informazione voluta per esercitare il potere di richiamare o sostituire gli amministratori, in definitiva serve a garantire un controllo salutare e vitale che aiuta i board a fare il loro mestiere e a farlo bene.

Per ora nessun paese ha il monopolio della perfezione, e l’Italia non fa eccezione. Ma è anche giusto dire che alcuni mercati, in particolare quello del Regno Unito che vanta più di quindici anni di esperienza di dialogo fra amministratori e azionisti, hanno assimilato il valore di una maggiore accountability, di un impegno attivo con gli azionisti, mentre gli amministratori e gli azionisti italiani rimangono tuttora chiusi nel loro guscio. La buona notizia è che un dibattito ha avuto inizio, e la cosa è senz’altro di buon auspicio poiché accende l’interesse degli azionisti per le imprese italiane, sprona un maggior dinamismo nei board e finisce per aumentare l’attrazione per il mercato dei capitali italiano.

WHY BOARD ENGAGEMENT WITH SHAREHOLDERS?

Much has happened over the last decade or so, when the concept of direct engagement between shareholders and boards began to spread beyond the borders of the United Kingdom, where it had long been a routine feature of the investment landscape. Given a big boost with the UK’s introduction of formal Say on Pay votes in 2006, discussions have quickly evolved beyond the narrow topic of remuneration, to encompass board governance, composition and succession planning; strategy – particularly over the long term; capital allocation; risk management; audit quality; corporate culture and ethical values; and environmental and social issues.

A leading institutional investor’s view on shareholder access to board directors in key markets:

UK – High
US – High
Netherlands – Medium
Switzerland – Medium
Germany – Medium
Italy – Medium (getting better)
Spain – Low
France – Low (worst)
Nordics – Low for non-domestic investors

Are boards intruding on the job of investor relations?

Why should companies invest in building direct relations with investors when management has an investor relations team dedicated to that very purpose? The answer is that the two fulfil entirely different functions. The board’s dialogue with investors should never duplicate or compete with the remit of management. Rather, the purpose in this case is enable all directors to do their job better by gaining a better sense of what the market expects of them. In the words of one investor, “engagement increases the expectations that NEDs (non-executive directors) have of themselves”.

A board that has good relations with its investors, earned by building trust through responsiveness to their feedback, will find that it can draw on the loyalty of long-term owners in difficult times.


Quali azioni suggerirebbe a Nedcommunity per migliorare la Corporate Governance in Italia?

Il mio auspicio è che Nedcommunity incoraggi una maggior accountability del CdA nei confronti degli azionisti facilitando un dialogo diretto tra le due parti, ovviamente in linea con appropriate regole relative alla selective disclosure. Ciò potrebbe comprendere anche l’assistenza agli amministratori con lo sviluppo di strumenti e di know how per un dialogo efficace, prevedendo anche un forum in cui gli amministratori possano scambiarsi le proprie esperienze.

C’è anche molto da guadagnare nel promuovere contatti con i colleghi amministratori di altri paesi in cui l’esperienza e l’utilizzo di altri strumenti, che siano sull’engagement o altri temi, possono essere di grande valore, e nel contempo creare maggiori possibilità per gli amministratori italiani di entrare a far parte di board esteri.
Il tema della diversità in Italia sembra esser stato fortemente orientato verso la questione della diversità di genere che, pur essendo assai importante per aprire nuove prospettive e accedere a nuove fonti di talento, costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente per rafforzare l’efficacia dei board. Infatti, un importante elemento di diversità che richiede l’attenzione dei CdA italiani è quello della nazionalità. Tale questione solleva però il problema della lingua di lavoro dei board che rappresenta spesso un ostacolo all’integrazione di amministratori stranieri.

Sono comunque assolutamente convinta che, specie per un gran numero di imprese italiane operanti sulla scena mondiale, l’influenza di un approccio internazionale nel board rappresenti un’iniezione di nuovo salutare dinamismo, possa arricchire l’esperienza degli stessi amministratori italiani e possa aiutare i CdA italiani ad esprimere la loro massima potenzialità mettendo le loro imprese in condizione di eccellere.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

(*) Karina Litvack, Associata Nedcommunity, fa parte di numerosi boards e advisory bodies, nel Regno Unito, in Italia e negli USA, a seguito di una carriera di 25 anni in finanza, nella quale ha sviluppato una specifica expertise, in Corporate Governance, Business Ethics and Sustainability. In Italia, come amministratore indipendente, fa parte del CdA dell’ENI, di cui è anche membro del Comitato Controllo & Rischi e dei Comitati di Compensazione e di Sostenibilità & Scenari ([email protected]).

Le precedenti interviste sono state fatte ai seguenti associati Ned:

Gianmaria Gros Pietro _luglio 2010 (N° 4);
Giovanni Maria Garegnani _ottobre 2010 (N° 5);
Carolyn Dittmeier _gennaio 2011 (N°6);
Mario Noera _aprile 2011 (N°7);
Maria Luisa Di Battista _luglio 2011 (N° 8);
Ferruccio Carminati _ottobre 2011 (N° 9);
Salvatore Maccarone _gennaio 2012 (N° 10);
Giancarlo Pagliarini _luglio 2012 (N° 12);
Marco Cecchi de’ Rossi _ottobre 2012 (N° 13);
Alberto Battecca _gennaio 2013 (N° 14);
Roberto Cravero _aprile 2013 (N° 15);
Marco Rescigno _luglio 2013 (N° 16);
Elisabetta Magistretti _ottobre 2013 (N° 17);
Marco Onado _febbraio 2014 (N° 18);
Enrico Maria Bignami _maggio 2014 (N° 19);
Laura Iris Ferro _luglio 2014 (N° 20);
Elisabetta Oliveri _novembre 2014 (N° 21);
Piero Manzonetto _febbraio 2015 (N° 22);
Ferdinando Superti Furga _ maggio 2015 (N° 23).


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