Dall’affaire Grande Stevens al caso Banca Profilo: luci e ombre del procedimento sanzionatorio CONSOB
La Corte europea dei Diritti dell’Uomo con la sentenza 4 marzo 2014, resa all’esito del contenzioso conosciuto come “affaire Grande Stevens et autres c. Italie” e divenuta definitiva il 7 luglio, ha inferto un duro colpo alla normativa italiana in materia
La Corte europea dei Diritti dell’Uomo con la sentenza 4 marzo 2014, resa all’esito del contenzioso conosciuto come “affaire Grande Stevens et autres c. Italie” e divenuta definitiva il 7 luglio, ha inferto un duro colpo alla normativa italiana in materia di abusi di mercato (insider trading e manipolazione del mercato) contenuta nel Testo Unico sull’intermediazione finanziaria, n. 58 del 1998 (TUF), e alle regole che governano i procedimenti amministrativi CONSOB. La Corte di Strasburgo ha infatti statuito, da un lato, che il procedimento che si svolge avanti alla Commissione nazionale per le società e la borsa per l’accertamento dell’illecito amministrativo di manipolazione del mercato (ma lo stesso vale per l’illecito di insider trading) non garantisce l’equo processo prescritto dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950 (CEDU) e, dall’altro, che la disciplina italiana in tema di abusi di mercato – adottata in attuazione della Dir. 2003/6/CE e recepita nel TUF – contrasta con il divieto di bis in idem sancito dall’art. 4 del Protocollo 7 alla CEDU, che vieta di perseguire e punire il medesimo fatto illecito due volte.
I fatti che hanno dato origine alla pronuncia sono noti: nel 2005 le società Giovanni Agnelli SAPA e IFIL INVESTMENT SPA (successivamente divenuta Exor SPA) utilizzarono un contratto di equity swap, previamente stipulato con una banca d’affari (la Merill Lynch) da una società collegata al gruppo, per mantenere il controllo di FIAT, ottenendo un quantitativo di azioni FIAT sufficiente a contrastare l’effetto diluitivo dell’aumento di capitale che nel settembre 2005 portò all’ingresso nella sua compagine sociale di otto banche finanziatrici.
Senonchè la CONSOB, il 23 agosto 2005, avendo rilevato un andamento anomalo dei titoli FIAT, aveva chiesto alla IFIL e alla Giovanni Agnelli SAPA di comunicare al mercato se fosse allo studio in quel momento una qualche iniziativa per evitare la perdita del suo controllo, che sarebbe stata ineluttabile conseguenza del progettato aumento di capitale, in agenda per il mese successivo; le due società ottemperarono alla richiesta pubblicando il 24 agosto 2005 un comunicato che, ad avviso della CONSOB, non conteneva però le dovute informazioni, in particolare in ordine al possibile utilizzo dell’equity swap. La CONSOB contestò quindi alle due società e ad alcuni suoi manager e consulenti di non aver correttamente informato il pubblico e di aver dunque commesso l’illecito amministrativo di manipolazione del mercato, contemplato dall’art. 187-ter TUF. La procedura sanzionatoria si concluse con l’adozione della Delibera CONSOB n. 15760 del 9 febbraio 2007, con cui furono applicate agli incolpati severe pene pecuniarie oltre a sanzioni accessorie, quali la sospensione dalle cariche sociali. La sussistenza dell’illecito amministrativo venne confermata da cinque coeve sentenze del 23 gennaio 2008 della Corte d’Appello di Torino, avanti alla quale furono impugnate le sanzioni irrogate dalla CONSOB; i successivi ricorsi in Cassazione contro le stesse furono rigettati dai Giudici di legittimità, a sezioni unite, con cinque decisioni del 30 settembre 2009, nn. 20935-20939.
Parallelamente venne avviato anche un procedimento penale per le stesse condotte, ai sensi dell’art. 185 TUF, che punisce con la reclusione e la multa il corrispondente reato di manipolazione del mercato; il procedimento penale si è concluso nel dicembre 2013 con la pronuncia della Cassazione che ha dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Le statuizioni della Corte di Strasburgo
Nelle more del procedimento penale i soggetti sanzionati ricorsero alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo, lamentando che il procedimento amministrativo svoltosi avanti alla CONSOB non avesse offerto le garanzie dell’equo processo imposte dall’art. 6 della CEDU e che fosse stato violato l’art. 4 del Protocollo 7 alla CEDU poiché l’intervenuto passaggio in giudicato delle sanzioni amministrative irrogate dalla CONSOB (per effetto del rigetto dei ricorsi pronunciato dalle Sezioni Unite della Cassazione civile il 30 settembre 2009) avrebbe dovuto impedire la prosecuzione del procedimento penale per il corrispondente reato.
La Corte europea ha in parte accolto i ricorsi proposti.
In primo luogo, prendendo atto che le sanzioni CONSOB erano divenute definitive a seguito della pronuncia della Cassazione del 30 settembre 2009, ha accertato la violazione del citato art. 4 del protocollo 7, in forza del quale “1. nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva […]“. Richiamando la propria giurisprudenza in materia, i Giudici di Strasburgo hanno infatti ritenuto che le sanzioni CONSOB per l’illecito di manipolazione del mercato previsto dall’art. 187-ter TUF, benché formalmente amministrative, dovessero ritenersi sostanzialmente penali. Di conseguenza ha ordinato allo Stato italiano di vigilare affinché nel più breve tempo possibile fosse posto termine al procedimento penale contro i soggetti già sanzionati sul piano amministrativo. In realtà, come si è anticipato, alla data della pronunzia della Corte di Strasburgo il procedimento penale per manipolazione del mercato si era concluso con una sentenza che aveva accertato l’intervenuta prescrizione.
In secondo luogo, i Giudici europei hanno ritenuto che il procedimento celebrato avanti alla CONSOB non avesse garantito il principio del contraddittorio e che la CONSOB non potesse considerarsi un Giudice imparziale e indipendente ai sensi dell’art. 6 della Carta internazionale, che impone tra l’altro lo svolgimento di un’udienza pubblica.
Per meglio comprendere il rilievo, occorre ricordare che all’epoca dei fatti i “processi” celebrati avanti all’Autorità di Vigilanza erano disciplinati dall’art. 187-septies TUF e dalle delibere CONSOB n. 15086 e n. 12697 del 2 agosto 2000 (recentemente sostituite dalla delibera n. 18750 del 28 dicembre 2013 che non ha tuttavia emendato i vizi stigmatizzati dalla Corte EDU); mentre l’art. 187- septies, tuttora in vigore, al 2° comma dispone che il procedimento sanzionatorio è “retto dai principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione nonchè della distinzione fra funzioni istruttorie e funzioni decisorie“, le norme adottate dall’Autorità di Vigilanza non prevedevano né la celebrazione di un’udienza pubblica avanti ai Commissari CONSOB né la trasmissione agli incolpati della relazione conclusiva formata dall’ufficio inquirente (l’Ufficio Sanzioni Amministrative della CONSOB, l'”U.S.A.”); neppure era assicurata una netta separazione fra gli uffici “inquirenti” della CONSOB (la Divisione Insider Trading e l’U.S.A.) e i “giudici”, ovvero i Commissari CONSOB, chiamati a pronunciarsi sulla sussistenza dell’illecito amministrativo contestato.
La Corte di Strasburgo ha ritenuto che il procedimento così articolato non avesse offerto le garanzie dell’equo processo, anche se ha introdotto il temperamento di cui si darà conto fra breve. Con particolare riferimento al mancato invio agli incolpati della relazione conclusiva dell’U.S.A. e all’assenza di un’udienza di fronte ai Commissari, i Giudici europei hanno statuito che “la procédure devant la CONSOB ne satisfaisait pas à toutes les exigences de l’article 6 de la Convention […]“. Analoghe conclusioni sono state espresse con riferimento all’imparzialità e indipendenza della CONSOB: i Giudici di Strasburgo hanno infatti affermato che, benché la normativa prevedesse una certa separazione fra gli organi incaricati dell’inchiesta (Ufficio Insider Trading e U.S.A.) e l’organo competente a decidere sull’esistenza dell’infrazione (i Commissari), nondimeno si trattasse di divisioni di una stessa Autorità amministrativa, che agisce sotto l’autorità e la vigilanza di uno stesso Presidente.
I Giudici hanno tuttavia mitigato la portata delle statuizioni, affermando che affinchè sussistesse una violazione dell’art. 6 CEDU era necessario verificare che le garanzie dell’equo processo non fossero state assicurate neppure nel successivo procedimento giurisdizionale di opposizione alle sanzioni irrogate dalla CONSOB, celebrato avanti alla Corte d’Appello di Torino. E nel caso di specie i Giudici hanno accertato che neppure in quel giudizio era stato rispettato l’art. 6, in quanto l’udienza tenutasi di fronte alla Corte d’Appello di Torino non era stata pubblica, ma si era svolta in Camera di Consiglio.
I riflessi della sentenza della Corte EDU
La decisione della Corte europea dei Diritti dell’Uomo sembra imporre due ordini di interventi. In primo luogo, per evitare la violazione del principio del ne bis in idem occorrerà una modifica delle norme italiane che reprimono gli abusi di mercato, norme che prevedono espressamente il concorso fra illeciti amministrativi e corrispondenti reati, in contrasto con l’art. 4 del protocollo 7 alla CEDU. I necessari interventi riformatori dovranno tenere conto del nuovo quadro comunitario conseguente all’entrata in vigore della direttiva 2014/57/UE del 16 aprile 2014 relativa alle sanzioni penali in caso di abusi di mercato e al coevo regolamento n. 596/2014 che abroga, a far data dal 3 luglio 2016, la direttiva 2003/6/CE. Nel frattempo, però, la V sezione penale della Corte di Cassazione ha già sollevato al Giudice delle leggi la questione di legittimità costituzionale delle norme del TUF che consentono di punire due volte, a titolo di illecito amministrativo e a titolo di reato, l’insider trading, per contrasto con la CEDU.
In secondo luogo, con riferimento ai vizi del procedimento CONSOB, occorrerà vedere come i nostri Giudici interpreteranno le statuizioni della Corte EDU, che sono già state invocate nella battaglia giudiziaria in atto tra la Banca Profilo SPA e l’Autorità di Vigilanza; in quella vicenda la Banca, proprio sulla scorta della sentenza europea, sostiene l’illegittimità del procedimento avviato nei suoi confronti (e non ancora conclusosi) per pretesa manipolazione del mercato. La tesi è stata respinta dal Tar Lazio (con la sentenza 27 novembre 2014), ma sembra essere stata accolta – sebbene per ora solo in sede cautelare – dal Consiglio di Stato, che lo scorso 2 dicembre 2014 ha sospeso l’efficacia della sentenza del Tar Lazio e che è chiamato a pronunciarsi sul merito della vicenda il prossimo 3 febbraio.
Occorrerà quindi attendere le pronunce dei nostri Giudici (sia amministrativi, Tar Lazio e Consiglio di Stato, sia civili, Corti d’Appello e Cassazione) per vedere come sarà interpretata la decisione della Corte EDU e in particolare il requisito dell’udienza pubblica: essi potrebbero infatti ritenere “sanati” i vizi del procedimento CONSOB ove nel successivo giudizio di impugnazione delle relative sanzioni amministrative avanti alla Corte d’Appello venga celebrata un’udienza pubblica. Si tratterebbe però di una soluzione di corto respiro, posto che in questo modo il giudizio di fronte alla CONSOB apparirebbe, per così dire, “dimezzato” e non conforme, di per sé, ai requisiti dell’equo processo, oltre che, probabilmente, in contrasto con l’art. 187-septies TUF, che impone il rispetto del principio del contraddittorio e della separazione fra funzioni istruttorie e funzioni decisorie e dunque la piena conoscenza da parte degli incolpati di tutti gli atti del procedimento, compresa la Relazione dell’USA e la proposta sanzionatoria. La soluzione preferibile sembra quella adottata dal vicino ordinamento francese che, anche a seguito di analoghi rilievi mossi dalla Corte EDU al procedimento avanti all’Autorité des Marchés financiers (omologo della nostra CONSOB), ha introdotto maggiori garanzie a favore degli incolpati, prevedendo tra l’altro la celebrazione di un’udienza pubblica e una più accentuata separazione fra “accusatori” e “giudici” in seno alla stessa Autorità.
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