Convegni
Questo è il tema dell’incontro organizzato a Milano il 14 Giugno da Assonime e Università Bocconi. La riflessione sul modello monistico nasce a valle di un’analisi dell’ormai complicato sistema dei controlli societari e dall’esigenza di esplorare
Il diritto dei controlli societari guardando al modello monistico
Questo il tema dell’incontro organizzato a Milano il 14 Giugno da Assonime e Università Bocconi. La riflessione sul modello monistico nasce a valle di un’analisi dell’ormai complicato sistema dei controlli societari e dall’esigenza di esplorare modalità di razionalizzazione e semplificazione a beneficio della gestione, ha spiegato Margherita Bianchini di Assonime.
L’apertura dei lavori è stata affidata a Piergaetano Marchetti dell’Università Bocconi, per il quale il legislatore con la riforma Vietti del 2003 ha inteso rendere il sistema italiano aperto, introducendo nel nostro Paese sistemi di governance largamente diffusi e predominanti a livello internazionale. Quello monistico, in particolare, attua un modello di governance semplificato e più flessibile che tende a privilegiare la circolazione delle informazioni tra organo amministrativo e organo deputato al controllo conseguendo risparmi di tempi e costi e un elevato livello di trasparenza. Il modello trova tuttavia una scarsa applicazione nel nostro paese per ragioni culturali, per l’assenza di una disciplina normativa autonoma e il conseguente rimando al sistema tradizionale e, spesso, per via di una serie di opinioni che non trovano riscontri plausibili. Oggi si comincia a guardare con più favore al modello monistico per via dell’intensificarsi del sistema dei controlli e della maggior presenza di investitori istituzionali internazionali sul nostro mercato che conoscono e prediligono sistemi di governace monistici. Tuttavia, le possibilità che il modello monistico offre si possono ben comprendere, secondo Marchetti, solo facendo riferimento agli spazi di autonomia statutaria concessi dal legislatore che, se ben utilizzati, consentono di plasmare questo sistema con notevoli margini di differenziazione e altrettanti vantaggi rispetto al sistema tradizionale.
A Marcello Bianchi di Assonime il compito di illustrare l’evoluzione del sistema di corporate governance delle società quotate italiane attraverso l’analisi dell’evoluzione degli assetti proprietari, intesi come controllo e ruolo degli azionisti di minoranza e guardando all’evoluzione dell’aspetto normativo-funzionale, in termini di ruolo e funzionalità dei diversi organi sociali. L’intento è quello di fornire informazioni per valutare i possibili effetti di queste evoluzioni sul peculiare sistema italiano di corporate governance che presenta un modello ampiamente diffuso -quello tradizionale – e una modalità di nomina degli amministratori, con il voto di lista, che delineano un unicum nel panorama internazionale.
I dati Assonime mostrano che negli ultimi dieci anni crescono le public company e cresce la presenza degli investitori istituzionali sul nostro mercato. Si assiste ad una profonda ricomposizione degli equilibri nelle assemblee dove nei due terzi dei casi l’azionista di controllo (passato da 70% a 40%) risulta oggi in minoranza. Nell’arco del decennio le evoluzioni normative, i principi di autoregolamentazione, la produzione regolamentare sovranazionale, hanno definito un quadro di regole sempre più articolato che richiede un costante sforzo di adattamento.
In questo scenario alcune società stanno sperimentando strade nuove, come il passaggio al modello monistico o la presentazione della lista da parte del board uscente che , sebbene implementati ancora da poche aziende, rappresentano un’evoluzione importante verso un allineamento a sistemi e best practice internazionali. Il modello monistico, adottato nel 60% dei 50 Paesi più importanti, presenta indubbi vantaggi nella flessibilità applicativa e nel consentire una razionalizzazione del sistema dei controlli ma non può essere implementato in forma adattata al modello tradizionale, ha concluso Bianchi, o rischia di non produrre il reale cambiamento che ne determina il valore. Mario Stella Richter dell’Università di Roma ha ribadito l’importanza di preservare il grado ai autonomia statutaria che caratterizza il modello monistico e di evitare di introdurre sul piano interpretativo e applicativo una serie di regole che riducano le sue caratteristiche differenze per riportarlo ad omogeneità con il sistema tradizionale Per Marco Ventoruzzo dell’Università Bocconi il sistema monistico risponde ad una filosofia molto diversa e non è metodologicamente corretto fare paragoni con il sistema tradizionale ma risulta utile in un’ottica di comparazione che fa emergere i punti ancora da chiarire alla luce dell’assenza di precisi criteri normativi e applicativi. Il dubbio sui sistemi di controllo previsti dal sistema monistico, ad esempio, derivano anche dal fatto che nei sistemi dai quali si è mutuato, è previsto un rinnovo annuale del cda a differenza del nostro rinnovo triennale che rende quantomeno comprensibili i dubbi. Il tema della rappresentanza delle minoranze si pone invece in relazione al fatto che passando dal sistema tradizionale al monistico si riduce, almeno potenzialmente, la rappresentanza numerica degli azionisti di minoranza. La domanda se ciò sia opportuno è legittima nella misura in cui non è chiaro se il comitato per il controllo sulla gestione può svolgere anche le funzioni di altri comitati e quindi può dar voce alla minoranza anche in altri contesti. In un’ottica comparativa con il sistema tradizionale, conclude, i nodi da sciogliere restano più di uno ma la flessibilità statutaria consente, come nel caso delle società che hanno già adottato il sistema monistico, di prevedere modalità differenti e adottare quelle ritenute più funzionali. Niccolò Abriani dell’Università di Firenze ha paventato invece il dubbio che il comitato per il controllo sulla gestione, chiamato ad estendere la sua attività di vigilanza anche ai suoi stessi membri, rischia di diventare la longa manus dell’autorità di vigilanza all’interno del cda.
Nell’ambito delle testimonianze di aziende che hanno adottato il sistema monistico, Andrea Moltrasio, Presidente di Ubi Banca, ha raccontato la scelta di passare dal modello dualistico, che ha accompagnato la banca in un periodo di fusioni, al modello monistico perché consente una semplificazione organizzativa ed un processo decisionale più snello e tempestivo. Marco Mangiagalli, Presidente del Comitato di controllo sulla gestione di Intesa Sanpaolo, motiva invece l’abbandono del sistema dualistico con la sopraggiunta necessità di semplificazione del sistema di governance e a seguito della conclusione del processo di fusione che aveva determinato la scelta del modello dualistico.
L’aumento della presenza nell’azionariato di investitori istituzionali e la crescente regolamentazione a livello europeo hanno determinato il conseguente passaggio al sistema monistico, ritenuto più in linea con questi mutamenti di scenario. Paolo Bedoni, Presidente di Cattolica Assicurazioni, ha motivato invece il passaggio al modello monistico con la duplice necessità di adottare un modello di governance che rispondesse alle richieste delle autorità di vigilanza di dotarsi si una struttura di governo societario più efficiente e l’esigenza di aprirsi al mercato e agli investitori istituzionali per far crescere l’azienda.
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