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Contrasto al cambiamento climatico: a che punto siamo? Il ruolo delle aziende

Le emissioni di gas serra continuano ad aumentare e ogni anno le temperature medie battono nuovi record. Servono più investimenti a livello globale e un maggiore coinvolgimento delle imprese. In Italia cresce la consapevolezza circa la necessità di una governance adeguata ad affrontare e vincere la sfida

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Il contrasto al cambiamento climatico continua a essere al centro delle politiche globali, come testimoniano gli impegni assunti durante la COP28 dello scorso dicembre e il recente G7. Gli obiettivi stabiliti sono ambiziosi: si va dal discusso “transitioning away” dai combustibili fossili nei sistemi energetici alla conferma dell’impegno a mantenere entro 1,5°C (entro fine secolo) l’incremento del riscaldamento terrestre medio rispetto al periodo preindustriale. Ma nel Global Stocktake approvato a Dubai, ci sono anche impegni concreti, ribaditi in occasione del G7 Clima, Energia e Ambiente svoltosi a Venaria a fine aprile; segnatamente: triplicare la capacità mondiale di energia rinnovabile entro il 2030 (da 3.600 a 11.000 GW) e raddoppiare il tasso annuale di miglioramento dell’efficienza energetica (dal 2% al 4%). A queste sfide se ne aggiungono altre, condivise a Dubai, come: triplicare la capacità di produzione di energia nucleare globale entro il 2050, impegno in realtà assunto solo da 22 Paesi, o ridurre le emissioni di metano, impegno privo però di scadenze o di valori-obiettivo, nonostante l’Agenzia Internazionale dell’Energia ritenga fattibile una riduzione del 75% delle emissioni di metano entro il 2030, che porterebbe a evitare un riscaldamento di 0,3°C entro il 2040.

A fronte di questi impegni, a che punto siamo? Due evidenze su tutte. La prima: le emissioni GHG in realtà sono ancora in crescita: nel 2023 le emissioni globali di (sola) CO2 sono aumentate dell’1,1%, raggiungendo un nuovo massimo di oltre 37 miliardi di tonnellate. E sarebbe stato tre volte peggio se non fossero subentrate le tecnologie abilitanti la transizione, in particolare fotovoltaico, energia eolica, energia nucleare, auto elettriche e pompe di calore. La seconda: secondo i dati Copernicus, gli ultimi 12 mesi sono stati i più caldi di qualsiasi periodo di 12 mesi precedente: +0,73°C rispetto alla media del periodo 1991-2020 e +1,61°C rispetto alla media del periodo preindustriale.

Come rispondere a queste sfide? Anzi tutto accrescendo le risorse disponibili: servono più investimenti pubblici e privati, dell’ordine di 4.300 miliardi di dollari per anno entro il 2030, in luogo dei 1.800 attuali (stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia). E va posta una particolare attenzione alle scelte strategiche: cresce infatti il rischio di accumulare stranded asset, stimati dall’Intergovernamental Panel on Climate Change in almeno 1.000 miliardi di dollari come valore degli asset legati ai combustibili fossili non recuperabili entro il 2035. Valore destinato a crescere fino a 4.000 miliardi ove venissero realmente applicate politiche climatiche in grado di contenere il riscaldamento entro 1.5°C.

Venendo alle aziende italiane, il secondo Rapporto Deloitte sull’attuazione delle Raccomandazioni TCFD nelle società quotate italiane (2023) mostra dei segnali di miglioramento nella capacità di affrontare il tema del cambiamento climatico.

La disclosure relativa a rischi e opportunità climatici è aumentata, ad esempio, del 17% mentre è aumentato, rispettivamente del 9% e 7%, il numero di aziende che si sono dotate di una governance e di obiettivi quantitativi in materia di clima. È cresciuto anche il numero di aziende che rendiconta le emissioni GHG Scope 1 e Scope 2, mentre solo il 59% del campione rendiconta le emissioni Scope 3. Aumentano infine (dal 18% al 41% del totale) le aziende nel cui board siede almeno un consigliere dotato di competenze relative al cambiamento climatico e alla sostenibilità in senso lato, anche se tali competenze risultano generiche o quanto meno non ben specificate.

Emerge infine che solo 1 società su 4 ha sviluppato un’analisi di scenario come da Raccomandazioni TCFD. Un’analisi – come quella sviluppata da Deloitte con la metodologia LTSA (Long Term Scenario Analysis) – che permetterebbe non solo di evidenziare gli impatti che i rischi climatici, fisici e di transizione potrebbero generare sull’organizzazione, basandosi sulle proiezioni degli scenari utilizzati dalla comunità scientifica e dai policymakers (IPCC, IEA; NGFS), ma anche di identificare e pianificare strategie di decarbonizzazione che minimizzino l’impatto di tali rischi sull’organizzazione.

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