Cda e imprese centrali contro la violenza di genere
Aziende e board possono e devono fare molto per diffondere una cultura rispettosa della diversity
Getty ImagesTutti in prima linea, nessuno escluso. La violenza contro le donne impone una partecipazione corale di istituzioni, cittadini e ovviamente di imprese con i loro board. Un fronte variegato come ampia e complessa è oggi la tipologia di abusi e costrizioni di cui è oggetto il genere femminile. Come è emerso nel corso del webinar “Cda per un cambiamento della cultura aziendale”, organizzato dal Reflection Group “Donne, Diversity, Disruption”, alla violenza fisica e psicologica è necessario aggiungere anche quella economica, da troppo tempo dimenticata.
Claudia Segre, presidente e fondatrice di Global Thinking Foundation, specializzata nel patrocinio di progetti di alfabetizzazione finanziaria rivolta a soggetti indigenti e a fasce deboli, snocciola i dati di quella che è una vera e propria emergenza, non soltanto umana. “L’Istat parla di 7milioni di donne che hanno subito una forma di violenza fisica o sessuale nel 2014, ma secondo una stima oggi si potrebbe parlare di una decina di milioni. Impressionanti i costi economici che sono stati quantificati da We World in 16,7 miliardi soltanto in Italia. Una cifra che secondo l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere tocca i 366 miliardi nella Ue. In questi numeri vanno inclusi anche gli atti di violenza economica che mirano a limitare l’autonomia e l’indipendenza di scelta delle donne in merito alla situazione finanziaria propria e della propria famiglia. Moltissimi governi come quello inglese, spagnolo, francese, portoghese hanno inserito la violenza economica nel codice civile. In Italia, invece, a testimonianza di una sottovalutazione del fenomeno, nulla si muove. Del resto secondo un recente studio il 44% dichiara di non aver mai sentito parlare di violenza economica che è altrettanto pericolosa di quella fisica perché esclude la donna dalla società impedendole di fornire il suo contributo relegandola in una situazione di subalternità”.
Eppure di passi in avanti normativi ne sono stati fatti anche se rimane molto da fare. Ad evidenziarli Maria Pia Romita, dirigente polizia di Stato a riposo, già responsabile Divisione anticrimine della Questura di Piacenza che racconta la genesi della legislazione partendo dal “lontano 1993, data di nascita della Convenzione Onu in cui viene data una prima definizione di violenza contro le donne a quella di Istanbul del 2011, poi ratificata nel 2013, dove si passa al concetto di violenza domestica come violenza sessuale, psicologica ed economica. Per arrivare infine alla legge Codice rosso del 2019 che prevede la cosiddetta corsia preferenziale: entro i tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato il pubblico ministero deve sentire direttamente la vittima o dare delega alla polizia giudiziaria”.
Secondo Laura Cavatorta, co-coordinatrice del Reflection Group, il “fenomeno della violenza di genere è già nei radar del cda. Possiamo contare su diversi strumenti come il codice etico dove si sancisce la tolleranza zero nei confronti delle discriminazioni o le policy in tema di diversity e inclusion o il whistleblowing. Ma è sufficiente? La risposta è no. I governi e le istituzioni sovranazionali hanno individuato il mondo del business, le aziende e i luoghi di lavoro anche come motori di cambiamento sociale e culturale di una potenza incredibile. Ed ecco che i cda possono e devono svolgere un ruolo attivo mettendo in campo azioni e iniziative che vadano oltre la mera compliance”.
“Un impegno che deve coinvolgere – secondo quanto affermato da Sara Fornasiero, coordinatrice RG Donne, Diversity, Disruption – tutte le realtà produttive, a prescindere dalle dimensioni e dall’essere quotate o meno. E l’impulso non può che venire dai board e in particolare dagli indipendenti”.
Un esempio tangibile di quanto il nodo sia culturale e di come una buona prassi possa uscire dai confini aziendali, è rappresentato dall’impegno di Bricoman Italia per il rispetto della parità di genere e di ogni forma di diversity. Nel corso dell’incontro ne ha parlato il ceo, Maria Tamborra. “La nostra azienda – racconta – si rivolge a una clientela puramente maschile ma il nostro team di collaboratori è caratterizzato da una perfetta parità di genere. Per questo motivo ci siamo dotati di un organismo di sorveglianza che monitora l’applicazione del modello organizzativo derivante dalla legge 231. Inoltre abbiamo ideato un percorso formativo sul codice etico erogato al 100% del personale spiegando quali siano le regole di comportamento da adottare e cosa sia una molestia. Partiamo dall’assunto che conoscere ci rende consapevoli e che quanto appreso in azienda avrà ripercussioni positive anche al di fuori. Inoltre l’azienda ha attivato un portale di segnalazioni: nel 2021 abbiamo registrato 7 segnalazioni di molestie e preso anche severi provvedimenti arrivando a dei licenziamenti. Nel 2022 stiamo pensando di creare un comitato etico con referenti antimolestie e anticorruzione e di lanciare una campagna di comunicazione interna per sensibilizzare ulteriormente sulla parità di genere. Già nei nostri negozi c’è una panchina rossa nella zona fumatori con un bel 1522 riportato sopra”.
Questo webinar rappresenta il primo passo di un progetto di riflessione e sensibilizzazione di board e società al quale seguiranno anche documenti informativi e formativi che cda e imprese potranno usare in concreto. Il progetto si chiuderà nella seconda parte dell’anno con un evento pubblico di discussione, analisi e approfondimento.