BIBLIOTECA NED a cura di Paola Schwizer
Un posto in CDA. Costruire valore attraverso la diversità di genere.
a cura di Simona Cuomo e Adele Mapelli
EGEA, Milano, 2012
Il 12 agosto 2012 è entrata in vigore la legge che impone una quota minima di amministratori di genere femminile nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate e in quelle a partecipazione statale. Lo studio di Simona Cuomo e Adele Mapelli, coordinatrici dell’Osservatorio sul Diversity Management di SDA Bocconi, cerca di spiegare in che modo la legge farà la differenza nei sistemi di corporate governance.
La tesi di fondo è che ciò migliorerà il complessivo profilo delle competenze degli organi di amministrazione e controllo delle imprese. La pluralità di competenze e profili professionali in un board, come in ogni altro gruppo sociale e organizzativo, costituisce un antidoto al conformismo dei processi decisionali e una buona garanzia di una maggiore efficacia del funzionamento complessivo del sistema stesso.
Il libro descrive quali sono le competenze distintive e qualificanti un consigliere di amministrazione e quali i meccanismi virtuosi di ingresso e di selezione dei membri del consiglio, con l’idea che partire da una logica meritocratica e non relazionale possa far emergere potenziali profili finora poco considerati, far aumentare la diversity e potenziare l’efficacia decisionale dei consigli. A partire da un sistema di competenze codificato e condiviso è infatti possibile garantire un accesso sempre più funzionale al raggiungimento degli obiettivi di governo dell’impresa.
L’analisi, ampiamente documentata nel volume, dei processi di nomina e di selezione dei candidati a posizioni di vertice mostra come siano stati prevalenti, in Italia, criteri legati all’appartenenza a ad una rete di contatti personali e professionali, a gruppi consolidati – di prevalenza maschile – che detengono posizioni di potere nel sistema economico. Presidente e amministratore delegato esprimono di norma un parere fondamentale ai fini della nomina e la maggior parte dei consiglieri è selezionata da un pool ristretto di persone con cui i primi hanno avuto in comune esperienze, percorsi di carriera, background culturale. E ciò sembra valere anche per gli amministratori indipendenti, spesso ricercati nel network degli stessi “outside directors” in carica.
Un gruppo di amministratori intervistati rileva la presenza di tratti distintivi del comportamento maschile e femminile, sottolineandone l’impatto sulle dinamiche decisionali del consiglio di amministrazione. Ne emerge l’idea di donne che tendono ad atteggiamenti critici esasperanti, facendo spesso pesare osservazioni rispetto ad elementi particolari e specifici, senza cogliere il quadro di insieme. Le donne, inoltre, entrerebbero in conflitto con gli uomini per “onestà intellettuale”e rischierebbero per “purezza di rapporto” di non riuscire a mediare al di fuori delle sedi formali, a fronte di una maggiore capacità diplomatica attribuita ai membri di genere maschile. Alle donne si richiederebbe quindi uno sforzo tattico-psicologico più che tecnico, per sviluppare relazioni forti con i componenti chiave dell’azienda, per acquisire credibilità e supporto.
Le ricerche scientifiche, d’altro canto, ancorché limitate, evidenziano alcuni vantaggi della presenza femminile nei board, legati ad elementi di eccellenza dello stile di direzione femminile, quali: l’attenzione alle persone, la capacità di gestione delle relazioni con gli interlocutori sia esterni sia interni all’impresa, le competenze di prevenzione e gestione dei conflitti, la disposizione a condividere decisioni e la minore propensione al rischio. Si tratta di requisiti che possono incidere positivamente sulle performance e sulla stabilità dei risultati nel medio termine, soprattutto in periodi di crisi.
Le donne come core competence e come asset intangibile, dunque? La risposta è ancora lontana e la complessità dei sistemi di governance unita ai numeri limitati della presenza femminile in consiglio rendono difficile fare generalizzazioni. E’ certo che senza la legge Golfo-Mosca poco sarebbe cambiato nella composizione degli organi di governo, e si sarebbe perso un bacino di talenti inestimabile. E se ciò implica una maggiore diversità di vedute e di approccio ai problemi non può che essere un vantaggio: laddove tutti pensano allo stesso modo, nessuno pensa un gran che.