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In occasione della recente scomparsa di Adrian Cadbury, numerosi sono i riferimenti apparsi sulla stampa sul suo pensiero e sul suo contributo al tema della governance. Tra i tanti, un articolo apparso a settembre sul Financial Times a proposito del
Alberto Lavin Fernandez e Carmelo Mazza
Boards under crisis. Board action under pressure
Palgrave MacMillan, Houndmills, Basingstoke, Hampshire, 2014
In occasione della recente scomparsa di Adrian Cadbury, numerosi sono i riferimenti apparsi sulla stampa sul suo pensiero e sul suo contributo al tema della governance.
Tra i tanti, un articolo apparso a settembre sul Financial Times a proposito del rischio di un eccesso di enfasi sulla compliance, che minaccia l’autonomia decisionale dei board, cita così il suo pensiero: “Noi dobbiamo tentare di porre in essere un sistema di regole generali ed una struttura in grado di dare la migliore protezione possibile contro l’imprevedibile, ma non esiste una protezione assoluta. Ciò è parte della vita stessa”.
“Boards under crisis” parla proprio della “vita” dei consigli di amministrazione e si legge come un romanzo, anche se si presenta come un manuale ben articolato e documentato, che fa trasparire anche la sua origine scientifica (il lavoro di dottorato di ricerca dei due autori, oggi rispettivamente consulente ed accademico). Il libro parla dei comportamenti delle persone che siedono nei consigli di amministrazione e del modo di prendere le decisioni. L’idea di fondo è semplice ma efficace: andiamo a vedere se e come la crisi, che ha costituito un fattore permanente di influenza sui mercati e sulle imprese per diversi anni, ha avuto effetto sul funzionamento dei board.
Come segnalano gli stessi autori, una valutazione compiuta è oggi difficile sia perché le implicazioni della crisi non si sono ancora probabilmente manifestate in pieno, sia perché sarebbe necessario lavorare, per rispondere all’interrogativo di fondo del volume, utilizzando anche strumenti di indagine differenti, quali un’analisi quantitativa delle performance.
In ogni caso, l’occasione è buona per affrontare temi di grande rilievo relativi all’efficacia dell’attività dei board, quali il modo con il quale i problemi vengono percepiti e metabolizzati, la scelta di un orizzonte temporale di riferimento, l’atteggiamento verso il classico problema del grado di centralizzazione dei controlli, la gestione dei conflitti, la necessità di dare fluidità ed efficienza alle attività del board, attraverso il consolidamento di protocolli procedurali e di comportamento, senza però compromettere la creatività e la capacità di reazione a eventi imprevisti.
Su questi temi Fernandez e Mazza offrono una buona ricognizione sul frame teorico, corredata anche da riferimenti alla letteratura, presentano i principali fronti di dibattito e propongono il proprio punto di vista. Ad esempio, come è stato alterato l’orizzonte temporale di riferimento dei board in conseguenza della crisi? Secondo gli autori si è decisamente ridotto, sia per l’esigenza di produrre “presto” risultati tangibili (ad esempio riduzione dei costi, senza pensare agli effetti nel medio termine sugli equilibri aziendali) in un contesto sempre più difficile, dove sovente è l’urgenza del management che detta il ritmo, sia per la difficoltà di tracciare e “fruire” scenari di più ampio respiro, nei quali condividere ipotesi sottostanti comuni è, in momenti di crisi, sempre particolarmente difficile.
Una osservazione interessante riguarda la percezione della crisi da parte del board: a quest’ultimo arriva spesso una visione “mediata” della crisi (e ciò è accentuato dalla difficoltà di avere a che fare con scenari ampi e complessi). La “vera crisi” per il board, quella di cui vale la pena occuparsi davvero, è quella – e spesso solo quella – che riguarda il board medesimo (ad esempio, uno stallo decisionale, oppure rapporti difficili con i vari stakeholders), ma a quel punto spesso è tardi per reagire. In uno scenario di crisi, una tendenza all’accentramento da parte del board di decisioni e attività è spesso inevitabile, in quanto collegata ad una accresciuta avversione al rischio e comporta un reporting più serrato e dettagliato e controlli più incisivi. Tutto ciò può provocare costi e allungamento dei tempi decisionali e non necessariamente si traduce in effetti positivi per il buon funzionamento del board. Molto dipende in questi casi dal ruolo del CEO, che si troverà ad agire da moderatore tra l’intensità della crisi e il grado di centralizzazione delle decisioni. Come è logico attendersi, la crisi fa anche emergere contrasti tra diverse priorità aziendali, che si scaricano sul board provocando conflitti, che possono essere affrontati e risolti con la strumentazione classica utilizzabile nei contesti organizzativi.
Si potrebbe concludere che più la crisi (ma potrebbe valere anche per altre discontinuità forti dello scenario o dei mercati) esercita pressione sul board più quest’ultimo rischia di prendere decisioni di bassa qualità, con un effetto contrario a quanto dovrebbe invece accadere.
Esistono rimedi?
Gli autori propongono soluzioni, già piuttosto dibattute oggi nel mondo della governance (ma che è sempre utile sottolineare… magari aiuta…), tra le quali principalmente: l’indipendenza del board, consolidata anche da meccanismi di selezione e sviluppo professionale dei consiglieri; lo sviluppo di “sensori” per cogliere l’evoluzione esterna e non chiudere in se stesso il board; il solito kit di check&balance rispetto al CEO; la capacità di mantenere la “presa” sulle strategie aziendali, anche nei momenti di forte turbolenza, con l’aiuto di una strutturazione intelligente delle attività di consiglio (le routine aiutano anche in questo caso). “Boards under crisis” è una lettura piacevole, che con grande sollievo del lettore non ha la pretesa di offrire “la” soluzione al tema della governance, ma offre sicuramente un contributo, in alcuni tratti anche originale, al tema e soprattutto non tratta praticamente mai di adempimenti formali e di compliance.
E di questi tempi anche questo è un pregio non da poco.
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