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Tre libri per riflettere su vizi (soprattutto) e virtù del capitalismo e della finanza e sul ruolo della governance, con uno sguardo anche ai punti di svolta ed ai percorsi virtuosi da intraprendere per rimettere al centro della scena le imprese e per
Tra killer e pirañas, chi salverà il mondo dalla cattiva governance? Forse la finanza…
Tre libri per riflettere su vizi (soprattutto) e virtù del capitalismo e della finanza e sul ruolo della governance, con uno sguardo anche ai punti di svolta ed ai percorsi virtuosi da intraprendere per rimettere al centro della scena le imprese e per riportare le banche e la finanza al loro mestiere.
Il primo, La stagione delle nomine di Pier Luigi Celli, edito da ChiareLettere, Milano, 2018, un giallo ambientato a Roma in un momento di cambi al vertice delle aziende di Stato. Due delitti, un commissario, amministratori delegati, presidenti in pectore e in scadenza, uomini politici, i salotti romani, il Vaticano, una poliziotta affascinante. Tutti gli ingredienti giusti per un divertissement dell’autore, che è stato direttore generale dell’Università LUISS Guido Carli di Roma e della RAI e membro dei consigli di amministrazione di Illy e Unipol, nonché presidente dell’ENIT, ed è noto anche per il libro pubblicato una decina di anni fa, “Comandare è fottere. Manuale politicamente scorretto per aspiranti carrieristi di successo”. Un lieto fine? Chissà (essendo un giallo sta al lettore scoprire se c’è…), ma certo il ceto dirigente del paese sembra avere margini di miglioramento.
Il secondo, di Salvatore Bragantini, Contro i pirañas. Come difendere le imprese da soci e manager troppo voraci, Baldini&Castoldi, Milano, 2018, ci spiega perché gli azionisti non sono, o meglio non dovrebbero essere, al centro dell’attenzione dell’impresa e contribuisce a combattere la dominante teoria per cui gli azionisti possono farne quel che vogliono; l’impresa, in questa prospettiva, esisterebbe solo per “creare valore per l’azionista”. La tesi di fondo del libro è tutt’altra: gli azionisti non sono i “”padroni”” dell’impresa. Al verificarsi di determinate circostanze essa non ne ha proprio, di padroni, ma è, invece, un soggetto autonomo, sul quale gli azionisti, come in verità molti altri soggetti, hanno certi precisi diritti.
Una tesi non nuova, ma affrontata dall’autore, che ha un curriculum prestigioso, comprendente anche l’esperienza di commissario Consob, in modo originale, con un percorso di lettura affascinante, ricco di riferimenti alla realtà italiana ed internazionale.
L’obiettivo del libro è smontare alcune delle tesi che hanno sostenuto e costruito questa metamorfosi rovinosa, e provare a suggerire qualche idea per risalire la corrente che oggi minacciosamente trascina verso il basso le nostre democrazie liberali. Il punto chiave su cui si vuol attirare l’attenzione è dunque questo: come e in funzione di quali interessi è – o dovrebbe essere – gestita l’impresa moderna? L’autore, che è attualmente amministratore di società, quotate e non, nonché membro di Ned Community, propone anche con determinatezza alcune soluzioni e direttrici di cambiamento, che certo non mancheranno di far discutere.
Da un’altra prospettiva, qualche soluzione è proposta anche da Bertrand Badré, in E se la finanza salvasse il mondo? Governare il capitale è possibile, Solferino, Milano, 2019.
L’autore è stato managing director presso la Banca Mondiale e CFO a livello di gruppo nella medesima istituzione. Ha avuto analoghi ruoli presso importanti istituti di credito (Societé Generale e Credit Agricole). Ha prestato servizio nella pubblica amministrazione francese. Attualmente insegna presso diverse università francesi e statunitensi ed è CEO di Blue like an orange Sustainable capital, che ha lui stesso fondato.
La tesi di Badré è che la finanza, che ha svolto un ruolo distruttivo nella crisi economica globale, possa essere tenuta sotto controllo e così contribuisca a risolvere molti dei maggiori problemi che affliggono il nostro pianeta, come il cambiamento climatico, la povertà, la realizzazione di infrastrutture.
Il libro, dotato di una prefazione di Emmanuel Macron e di una di Gordon Brown, riduce al minimo l’analisi storica della crisi e del ruolo nocivo della finanza in tale ambito e si concentra sul da farsi: vedere la finanza non come un problema ma come una soluzione, uno strumento al servizio del bene comune, che richiede uno sforzo collettivo di riconversione, in quanto “energia rinnovabile straordinaria”. Un testo sicuramente fuori dal comune, un grido accorato, un appello a scuotersi, che coinvolge coloro che ricoprono incarichi nello stato, le autorità di regolamentazione, gli investitori, i manager.
Tutti, se non vogliamo essere killers o pirañas o, a rotazione, gli oggetti dell’attenzione da parte di questi, possiamo dare l’esempio, con i nostri comportamenti virtuosi. Perché, come ha ricordato nelle proprie conclusioni la Commissione d’inchiesta statunitense sulla crisi finanziaria, citando Shakespeare, “the fault is not in our stars but in ourselves”.
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