Consigli di lettura – Dicembre 2023
La regolamentazione Esg e l'importanza di una buona governance anche nelle aziende di dimensioni medie e piccole. Le due idee di lettura per questo mese sono focalizzate su temi da tempo al centro del dibattito alimentato da Nedcommunity. Il primo testo, infatti, pone l'accento sull'approccio regolatorio voluto dalla Ue e sui suoi vantaggi; il secondo entra nel vivo di una questione a noi molto vicina, ovvero l'importanza strategica di sostenibilità e responsabilità nelle Pmi
Credit: Bruno Mira/Unsplashrecensione a cura di Sabrina Bruno
Anna Genovese, La Gestione ecosostenibile dell’impresa azionaria, Il Mulino, 2023
Il titolo di questo bel libro “La gestione ecosostenibile dell’impresa azionaria” di Anna Genovese sottolinea quanto l’interesse del legislatore europeo, nel disciplinare la sostenibilità, sia stato indirizzato prevalentemente all’ambiente. L’autrice nella prima parte ricostruisce la disciplina internazionale ed europea sia in tema di gestione sostenibile che di finanza sostenibile: dall’Agenda ONU del 2015 con i 17 obiettivi di sostenibilità da raggiungere entro il 2030 all’Accordo climatico di Parigi del 2015 in cui gli stati firmatari si sono impegnati a far sì che la temperatura globale non superi i 2° (poi diventati 1,5°) entro fine secolo, al Green Deal del 2019 (con il piano di investimenti conseguente), al Regolamento su European Green Bonds, all’Action Plan del 2018, alla SHRDII per investitori istituzionali e gestori di attivi e alla disciplina per le banche di EBA e BCE, etc.
Rispetto alle due tesi principali che si fronteggiano sul tema della gestione sostenibile in generale (necessità di regolamentare le “società del rischio”, cioè le grandi imprese azionarie che hanno privilegiato i profitti anche al prezzo di uno scarso contenimento dei rischi di impresa e delle esternalità negative cagionando una crescita economica “tossica” per ambiente e persone; o viceversa privilegiare il libero mercato, che indurrebbe le stesse a non inquinare o a non licenziare i lavoratori laddove qualunque imposizione regolatoria metterebbe a repentaglio la sostenibilità economica-finanziaria delle stesse, anche considerando che il potere pubblico deve occuparsi di proteggere l’ambiente o le persone), l’autrice sottolinea che l’Unione Europea ha scelto la prima strada. Qualcuno ha parlato criticamente, privilegiando il pensiero liberale, di “imperialismo regolatorio europeo”, ma l’autrice ribatte che invece questa politica europea possa essere conveniente e migliorativa della traiettoria dello sviluppo europeo e globale. In ambito di trasparenza la regolazione è stata avvertita come necessaria sin dalla Direttiva 2014 in tema di dichiarazione non finanziaria: obblighi di trasparenza su politiche perseguite con riferimento ai fattori ESG, individuate sulla base dei rischi che dalla mancata considerazione di essi possano scaturire alle grandi imprese azionarie o delle opportunità cui viceversa potrebbero dare luogo con la previsione del “comply or explain”; anche se però se c’è rischio (e su ambiente c’è rischio) cade la volontarietà della trasparenza. In generale, l’explain può essere molto rischioso per la società.
Spiega l’autrice che però questo tipo di regolamentazione ha influenza modesta sulla gestione se non si migliorano standard e dati della trasparenza. Il baricentro, rispetto all’impostazione del codice civile, comunque non si sposta sugli stakeholders diversi dagli azionisti: resta la considerazione prevalente degli azionisti; i benefici degli stakeholders sono presi in considerazione quando ciò è anche nell’interesse degli azionisti; però la disciplina include anche obblighi di mitigazione proattiva di tali rischi con conseguente responsabilità. Nel 2022 la Corporate Sustainability Reporting Directive ha modificato la disciplina della dichiarazione non finanziaria. Nell’impostazione del libro il Regolamento Tassonomia 2020 è il fulcro della disciplina europea in quanto identifica il contrasto e l’adattamento al cambiamento climatico come priorità nel contenimento dell’impatto ambientale nell’iniziativa economica. Molto importante è stata la modifica della Costituzione: il nuovo testo dell’art. 41 ha introdotto, come ulteriore limite all’iniziativa economica privata, l’ambiente che diventa bene giuridico protetto e un obiettivo rispetto al quale la legge può determinare programmi e controlli. La riserva di legge ha margini di diretta applicazione se vi sia una base normativa per bilanciare ecosostenibilità e iniziativa economica; la disciplina europea fornisce questa base normativa per lo meno per le imprese ivi contemplate. Per cui quando le imprese destinatarie della disciplina non perseguono gli obiettivi del Regolamento Tassonomia e le politiche in tema di cambiamento climatico stanno in concreto recando un danno antigiuridico all’ambiente, impattando negativamente su di esso, danno non consentito dall’art. 41 e quindi ingiusto, anche per violazione della salute, della libertà e della dignità umana.
A fronte di un dibattito antico che riguarda la finalità della s.p.a., il confronto tra amministratori e shareholders o anche stakeholders, la teoria istituzionalistica vs quella contrattualistica, la responsabilità sociale di impresa, dibattito che è riaffiorato difronte a questa disciplina europea, il libro ha il notevole pregio, come dichiarato a pag. 70, di “essere ancorato al diritto positivo”. L’approccio teorico, sottolinea l’autrice, svia l’attenzione dalle esigenze di comprensione ed inquadramento della regolazione che invece è fondamentale sia da un punto di vista pratico che teorico. L’autrice parla infatti di “dimensione normativa di sostenibilità”.
Quali obblighi scaturiscono per gli amministratori da questa disciplina? Sin dal criterio di selezione delle informazioni da pubblicare, il riferimento è al rischio, per cui individuato un rischio bisogna gestirlo in base all’art. 2381 c.c. che prevede l’adeguatezza degli assetti amministrativi, organizzativi e contabili. I rischi relativi al cambiamento climatico sono rischi fisici e di transizione. Quindi gli amministratori hanno l’obbligo di mitigare e adattare la gestione al cambiamento climatico come rischio d’impresa e come opportunità di crescita e innovazione e quindi nell’interesse degli azionisti e dei creditori sociali ed inoltre l’obbligo di pianificare la strategia climatica. L’obbligo di gestione, di cui all’art. 2380-bis c.c., oggi, richiede iniziative di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico sindacabili in termini di correttezza societaria e con il criterio della business judgment rule anche se con maggiori vincoli.
Dalla disciplina europea discendono doveri di correttezza imprenditoriale riferita al contenimento dei rischi ESG; fermo l’art. 2247 c.c., si individua una tutela rafforzata anche extraterritoriale di determinati beni collettivi come la mitigazione del cambiamento climatico, i diritti umani, la salubrità dell’ambiente, anche se estranei allo scopo del contratto sociale. La nuova disciplina richiede di promuovere nelle scelte manageriali i più elevati standard di allineamento alla Tassonomia UE. Con la conseguenza che sono giuridicamente sindacabili le scelte gestorie che, pur non violando alcuna legge, impattano negativamente sull’ambiente, cioè accettano di sacrificare sull’altare del profitto un disallineamento dal Regolamento Tassonomia. La sindacabilità può portare a riconoscere in capo alla società e agli amministratori anche una responsabilità verso i terzi (oltre che verso società e creditori sociali) non potendosi invocare, alla luce dell’art. 41 Costituzione, lo scopo di lucro della società per giustificare tali danni all’ambiente (per le società soggette alla disciplina europea). La disciplina è assistita dai controlli CONSOB oltre che dal private enforcement. Quindi iniziative giudiziarie potrebbero essere autonome e basate non solo sul deficit di trasparenza ma sul merito della gestione qualora abbia arrecato un pregiudizio economico (incluso il danno reputazionale) a tali soggetti.
recensione a cura di Roberto Cravero
Daniela Montemerlo, Alessandro Minichilli, Valentino D’Angelo, La buona governance, Scelte e strumenti per le imprese non quotate, EGEA, SDA Bocconi, 2023ù
In un contesto generale caratterizzato da una crescente attenzione alle tematiche ESG, “la buona governance”, che da sempre fornisce un supporto importante per la continuità ed il successo delle imprese, diventa determinante anche nell’assicurare sostenibilità e responsabilità sociale d’impresa. Per gli autori del testo, docenti, studiosi ed esperti di governance, tale tema è rilevante soprattutto per le imprese non quotate, che essendo meno soggette a normative e obblighi di divulgazione, risultano essere, di converso, più esposte al rischio di mantenere “i loro assetti di governance un passo indietro”.
Una lucida analisi, svolta con il supporto ed il conforto di dati tratti da un osservatorio qualitativo e quantitativo privilegiato (il Corporate Governance LAB di SDA Bocconi) e arricchito di testimonianze qualificate, accompagna il lettore lungo un percorso, ricco di dati, informazioni e casi concreti.
La significatività delle PMI e delle aziende famigliari per il nostro Paese viene ricordata attingendo ai dati Eurostat, dal quali si evince che le imprese sopra i 50 milioni di euro di fatturato rappresentano solo lo 0,1% (1 per mille) del totale. Tutto ciò porta il nostro Paese ad essere fra quelli con la minor percentuale in Europa di imprese con fatturato superiore al miliardo di euro (sono meno di un terzo di quelle francesi e la metà di quelle inglesi e tedesche).
Nella prima parte del libro, dopo una esposizione ricca di dati e teorie, si trova un conforto “quantitativo” della tesi che vede fra le difficoltà delle imprese nazionali a completare il salto dimensionale, proprio la scarsa attenzione alla buona governance. Gli autori, infatti, attraverso alcuni dati tratti dall’Indice di Corporate Governance, un indicatore costruito con l’ausilio di varie tecniche econometriche, validano la diretta correlazione esistente tra il potenziamento dell’assetto di governance, da un lato, il maggior ricorso a strategie di crescita per acquisizione, il maggior numero di scelte di innovazione e, infine, il potenziamento di strategie di internazionalizzazione delle imprese, dall’altro.
Per fornire risposte pratiche alla necessità di individuare regole utili ad indirizzare comportamenti e atteggiamenti degli organi di governo aziendale delle imprese non quotate, vengono citati codici o decaloghi cui fare riferimento e, fra essi, le “Linee Guide e i Principi di corporate governance applicabili alla società non quotate” elaborato da Nedcommunity sulla base dei principi europei elaborati da EcoDa, la Confederazione europea delle associazioni degli amministratori indipendenti.
Nella seconda parte del libro troviamo approfondimenti su prassi ed elementi distintivi della governance proprietaria e, in particolare, delle imprese a controllo famigliare, sia per la loro rilevanza quantitativa, sia perché spesso la governance assume per loro massima criticità e rilevanza. Vengono così esaminate regole statutarie, meccanismi di nomina, patti parasociali e quant’altro le imprese famigliari hanno adottato per aumentare i benefici della governance.
Resta una considerazione di fondo: la buona governance e la cultura aziendale sono componenti diversi, ma interdipendenti. Solo attraverso un loro sviluppo integrato si potrà creare quel rafforzamento vicendevole, indispensabile per l’ottenimento di quegli obiettivi etici e organizzativi che sono alla base del successo di ogni azienda. Un libro utile per imprenditori e professionisti, ma soprattutto per tutti coloro che ancora oggi stentano a credere che la buona governance possa essere determinante per le imprese non quotate e, in particolare, per quelle famigliari.