Gli indipendenti “attivatori della governance” nelle Pmi
Alessandro MinichilliChi l’ha detto che le aziende di grandi dimensioni, per la loro complessità, necessiterebbero più delle altre di un governo societario strutturato e ben equilibrato? Come ci spiega Alessandro Minichilli, direttore del Corporate Governance Lab della SDA Bocconi che da anni è in prima fila nello studio delle buone prassi legate a questi temi, non è sempre così. Secondo l’esperto, associato Nedcommunity e componente del Reflection Group sulle aziende non quotate coordinato da Roberto Cravero, sono proprio le imprese più piccole e le non quotate ad avere maggiormente bisogno di un sistema di governance al passo con i tempi, nel quale, neanche a dirlo, sono gli indipendenti a giocare un ruolo di prima piano, di stimolo e di cambiamento.
Come e quando nasce l’idea del Corporate governance Lab e a chi si rivolge?
“Il Corporate Governance Lab è un’iniziativa ampia di ricerca, divulgazione e formazione fortemente voluta da SDA Bocconi nell’ambito di un più ampio rafforzamento dell’offerta sui temi cruciali per lo sviluppo del sistema imprenditoriale italiano. Nasce nel 2019 grazie all’entusiasmo con cui è stata accolta dai nostri due partner fondatori (PwC TLS e Banca Generali), cui successivamente si è unito NUO SpA. La mission del Lab è quella di studiare e diffondere conoscenze e buone prassi relative al tema degli assetti e dei processi di governo delle imprese, con l’obiettivo di creare una “casa comune” per tutti i temi che toccano in modo diretto ed indiretto i processi vitali per la continuità e per lo sviluppo sostenibile delle imprese. Per questo motivo, abbiamo pensato di organizzarlo in ‘Osservatori’ tematici, ma accomunati da un’unica visione ed una metodologia comune. Ad oggi, ad esempio, esistono l’Osservatorio grandi imprese e l’Osservatorio per la crescita sostenibile, l’internazionalizzazione e l’apertura del capitale, ed è in fase di progettazione un Osservatorio sulle donne executive insieme a nuovi potenziali partner. Inoltre, è obiettivo del Lab ampliare progressivamente l’analisi anche alle moltissime imprese di dimensioni progressivamente minori, lanciando uno o più Osservatori tematici dedicati al mondo ampio e variegato delle PMI italiane. Per quanto detto, il Lab si rivolge a tutti gli attori della governance delle imprese quotate e non quotate: imprenditori, soci, amministratori, sindaci, professionisti e studiosi interessati alla crescita sostenibile delle imprese, ed in generale a tutti coloro che hanno una concezione ampia di cosa si intende per assetto di governance”.
Perché, secondo lei, una buona governance non è esclusiva prerogativa delle aziende di maggiori dimensioni?
“Per rispondere a questa domanda credo occorra sgombrare il campo da un equivoco di fondo: la governance non è un insieme di norme e prassi cui occorre conformarsi, ma è la ragione per cui progressivamente tali norme e prassi sono state diffuse nel mondo dai codici di corporate governance e dall’azione dei relativi comitati. Forse la velocità con cui queste richieste si sono diffuse negli ultimi decenni per le società quotate non ha dato sempre il tempo di capirne la portata e l’utilità. Di qui una interpretazione spesso più di ‘compliance’ che sostanziale. Personalmente ritengo che i temi di governance dipendano più da fattori quali il contesto proprietario, l’assetto societario, il contesto settoriale, la complessità organizzativa e di mercati presidiati, che non dallo status di quotata o non quotata o necessariamente dalla dimensione aziendale. Ad esempio, una piccola o media impresa a controllo familiare con base azionaria ampia e magari conflittuale ha problemi di governance molto più complessi di una grande impresa con assetto più compatto. Così come alcune medie imprese ma fortemente internazionali, presentano una complessità organizzativa e necessità di visione e coordinamento dall’alto spesso superiori ad imprese molto più grandi, anche quotate, ma in settori e mercati più stabili”.
“Forti di questa convinzione, il CG Lab di SDA Bocconi ha sviluppato a partire dal 2020 un indicatore molto semplice di qualità della governance per società non quotate, invero includendo anche società di grandi dimensioni, ma comunque non esposte alle richieste del Codice di corporate governance ed alle sollecitazioni del mercato. L’indicatore, che varia da 1 a 5, si propone di catturare alcuni elementi base di una buona governance ampiamente consolidati anche per società non quotate e di minori dimensioni, quali (i) l’avere un CdA (ben il 20% delle aziende sopra i 50M ed il 40% delle PMI non hanno un consiglio ma un amministratore unico), (ii) avere una leadership chiara (evitando di distribuire deleghe per logiche più proprietarie che non societarie), (iii) avere almeno un consigliere esterno senza deleghe, (iv) aver separato le cariche di presidente ed ad, (v) ed aver lavorato sulla diversity. Ebbene, confrontando le aziende con governance migliore (5 punti su 5) rispetto a quelle meno strutturate, i risultati mostrano una forte associazione tra buona governance e migliori risultati economico-finanziari e strategici. Ad esempio, la probabilità di fare una acquisizione è di oltre 6 volte superiore (l’11% delle aziende con governance migliore fanno acquisizioni, rispetto all’1,7% di quelle meno strutturate), così come maggiore è la presenza all’estero con investimenti diretti (il 65% rispetto al 49%), o ancora maggiore la redditività operativa (ROA medio di 6,7% per aziende con governance migliore rispetto al 5,5% delle altre). In realtà i dati non fanno altro che confermare una mia profonda convinzione: l’opportunità ed il vantaggio competitivo di adottare un sistema di governance più aperto, plurale, evoluto sono oggi enormemente superiori per le società non quotate, anche più piccole, rispetto a realtà strutturate dove ormai i processi di governance sono consolidati e talvolta conformati”.
Nel 2023 avete presentato un rapporto dal quale è emerso che la buona governance delle grandi imprese fa crescere anche le Pmi per un effetto emulazione. Su cosa si incentrerà il report 2024, può anticiparci qualche evidenza?
“Sì, ed è stata la conferma di quanto dicevo prima: la vera sfida è quella di affermare e diffondere degli standard minimi di governance anche al mondo ampio e variegato delle PMI. Fortunatamente l’emulazione è un fenomeno ormai chiaro sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo: gli imprenditori tendono ad osservarsi, ad emularsi, e ad ascoltare molto più i loro peer che non advisor di vario tipo. Per questo sono convinto che la diffusione della buona governance avrà una crescita esponenziale: è stato molto difficile partire, ma adesso moltissime PMI si stanno interrogando sui vantaggi di una buona governance, e lo vediamo quotidianamente nel Lab e nelle nostre aule Executive”.
“Anche per questo motivo, per il report 2024 abbiamo deciso di approfondire un tema di sicuro interesse per tutte le imprese di ogni dimensione, ma che forse è addirittura più tangibile per una PMI rispetto alla governance societaria. Abbiamo infatti ricostruito ed analizzato un decennio di cambiamenti della struttura proprietaria, dal 2014 ad oggi, ponendoci domande: quali sono gli assetti proprietari più efficaci? Quali sono i cambiamenti nella struttura proprietaria (riassetti o ampliamenti) che apportano maggiori benefici? Che ruolo ha la Governance in questo contesto? Per circoscrivere l’analisi siamo partiti da circa 14.200 imprese con fatturato superiore ai 20M, isolando 2.592 imprese con proprietà in capo ad un massimo di quattro azionisti persone fisiche. Successivamente abbiamo suddiviso un campione di analisi (1.296 imprese suddivise in tre gruppi, il primo rappresentato da imprese con due azionisti paritetici, il secondo da imprese con tre azionisti, ed il terzo da imprese con quattro azionisti con quote comparabili se non perfettamente identiche), ed un campione di confronto rappresentato da imprese a controllo di maggioranza da parte di un azionista. I risultati, ancora in divenire, saranno presentati il 27 febbraio presso SDA Bocconi previa registrazione nel sito internet. Però posso anticipare un trend chiaro: sembra infatti che le aziende che hanno concentrato la proprietà vadano meglio dopo il riassetto, ed adottino mediamente una governance più strutturata. Siamo convinti e fiduciosi che far capire agli imprenditori l’importanza della governance anche per gestire dinamiche proprietarie complesse rappresenti un ulteriore tassello del percorso che ho descritto”.
L’entrata in vigore della Csrd che effetto avrà sulle nostre Pmi che fanno spesso parte di importanti filiere produttive?
“La CSRD ed in generale tutti i meccanismi di diffusione degli standard di sostenibilità all’interno delle filiere produttive stanno aiutando, e molto, a comprendere che far crescere la filiera conviene a tutti. Conviene alle PMI, perché altrimenti sarebbero escluse dal mercato, e conviene alle grandi imprese ai vertici della filiera, che hanno bisogno che il tessuto di PMI così vasto e frammentato tenga. Purtroppo, siamo il Paese in Europa con un numero di PMI in assoluto maggiore (180.000 rispetto, ad esempio, alle 120.000 della Francia e della Spagna), e dobbiamo fare in modo che questo diventi un punto di forza e non di debolezza. E per quanto la CSRD sia più demanding sui temi ambientali ed in parte sociali rispetto a quelli di governance in senso stretto, sono convinto che l’effetto spillover sarà molto visibile anche sulla qualità della governance proprietaria e societaria che ne risulterà. Già nel report dello scorso anno avevamo osservato che, oltre all’effetto emulazione di cui parlavo prima, esiste anche un chiaro “effetto trascinamento”: nelle filiere in cui sono presenti grandi imprese caratterizzate da un’elevata qualità della Governance, infatti, la qualità della governance delle PMI che operano nella stessa filiera è maggiore, così come maggiore è l’attenzione nella gestione dei rischi”.
Cosa rischia una Pmi che non si doterà di un’adeguata corporate governance?
“Purtroppo, qui la mia risposta rischia di essere molto netta: una PMI che non si dota di un’adeguata governance corre oggi un rischio molto concreto di trovarsi in un forte svantaggio competitivo, se non addirittura di compromettere la propria continuità. Le PMI più lungimiranti stanno infatti già lavorando sulla governance o addirittura lo hanno già fatto da tempo. Basti pensare all’esplosione di società quotate al mercato EGM per capire che tante PMI ragionano tranquillamente “da grandi”. Quelle che non si pongono il problema dovranno competere con risorse e capitale umano immensamente maggiori. Sono fermamente convinto infatti che, quando esploderà definitivamente la domanda di buona governance da parte delle PMI, la domanda ad esempio di consiglieri indipendenti capaci di interpretare questo nuovo ruolo supererà, e di gran lunga, l’offerta. Forse è già in parte avvenuto o sta avvenendo. Ma non solo. Una PMI che non si doterà di un buon sistema di governance farà molto più fatica a gestire ricambi generazionali, tenendo conto che la NextGen è molto più preparata e demanding della SeniorGen, rendendo spesso inefficaci le soluzioni fai da te. Infine, esiste una solida letteratura, e molti dati anche del nostro Lab, che dimostrano come in assenza di governance si corrano più rischi, si abbia minore coraggio di alcune scelte strategiche, si pensi insomma “in piccolo”. Se questo non dovesse bastare, mi ricollego al dato precedente sul numero di PMI in Italia che suggerisce che necessariamente ci sarà una selezione e concentrazione di quelle più capaci di competere: e tutto farebbe pensare che è molto più probabile che sopravvivano e crescano imprese con governance migliore”.
Che ruolo possono giocare gli indipendenti? Esistono prove dell’apporto positivo della loro presenza nei cda anche delle Pmi?
“I consiglieri indipendenti giocano il ruolo decisivo, essendo di fatto coloro che “attivano la governance” attraverso un contributo di contenuto, grazie alla propria esperienza e competenza, ed un contributo di processo, facendo una vera e propria attività di “education” su come rendere un CdA davvero efficace. In maggiore dettaglio, la presenza di consiglieri indipendenti ha una serie molto lunga di effetti positivi tra cui quello di separare per la prima volta il tavolo della proprietà da quello del consiglio e del management, favorendo una maggiore comprensione dei diversi ruoli; apportare una nuova visione strategica, stimolando l’imprenditore a confrontarsi e documentarsi maggiormente prima di decidere; apportare una maggiore cultura del controllo e del rispetto di alcune procedure basilari, a volte del tutto inesistenti nelle PMI; fungere da elementi di mitigazione quando il confronto all’interno della proprietà, o tra la proprietà ed il management, evidenzia visioni diverse; nello specifico, talvolta sono molto utili per facilitare il dialogo intergenerazionale; non ultimo, aiutano a selezionare e guidare meglio consulenti che accompagnano il percorso di crescita dell’impresa. Potrei andare avanti a lungo, perché i vantaggi sono davvero numerosi ed il valore di un buon indipendente spesso difficile da quantificare tanto può essere decisivo in alcuni snodi cruciali. Ovviamente abbiamo provato anche a dimostrare empiricamente l’impatto della loro presenza in consiglio: per quanto il loro impatto positivo sia già indirettamente contenuto nel nostro indice di governance, in uno dei report precedenti abbiamo osservato un impatto diretto della presenza di consiglieri indipendenti sia sulla redditività operativa che netta, ma solo nelle aziende non quotate. Paradossalmente, il loro impatto è limitato nelle quotate, dove la loro presenza è più ampia ed ormai non rappresenta più un differenziale di valore. Questo avvalora il mio ragionamento precedente: la governance è oggi forse uno dei fattori di competitività più importanti, e come tale la sensibilizzazione delle PMI è cruciale per farne comprendere la rilevanza”.